Assistiamo a una perdita di senno collettiva dei politici di lungo corso che reggono il governo del Molise. Il meccanismo cui hanno dato vita li sta portando sull'orlo di un baratro. I casi si moltiplicano, ma lo Zuccherificio è emblematico. Il baratro del fallimento incombe, il tempo stringe.
A quattro mesi dalla ricapitalizzazione decisa con procedura d'urgenza, chiamato un manager "esperto" a gestire la "exit strategy", ci troviamo tra le mani solo un piano insensato. A parte la richiesta, finalmente, di un concordato preventivo, auspicato dall'opposizione quattro mesi fa, non c'è lo straccio di un'idea, salvo quella, balzana e in odore di illegittimità, di una Newco, e quella di tagliare più di trenta teste di incolpevoli lavoratori. Eppure si potrebbe salvare ...
Trovarsi sull’orlo del baratro ed essere attratti dalla vertigine del vuoto
Non ho potuto fare a meno di pensare a
questo “topos” classico esaminando le fasi conclusive – e convulsive – della
ultra-decennale esperienza di governo della Regione Molise. Che cosa può
portare alla perdita di senno collettiva un gruppo di politici di professione, di
lungo corso, che hanno avuto sulle spalle la responsabilità di reggere le sorti
di una Regione per tanti anni? (Sul modo in cui le hanno rette non ho bisogno
di aggiungere commenti).
Che cosa, se non un’attrazione fatale, ipnotica, verso il disastro? Appaiono vittime del meccanismo cui
hanno dato vita e che ora li inghiotte in un abisso senza fondo.
I casi si moltiplicano ma intendo
continuare a battere sul tasto dello Zuccherificio, quello per il quale il
paragone del baratro è più calzante. Siamo agli sgoccioli, l’istanza di
fallimento sarà discussa tra pochi giorni. Centinaia di lavoratori dello
stabilimento, migliaia di coltivatori, trasportatori, commercianti sono
coinvolti. E con loro i contribuenti molisani, cui sono state sottratte risorse,
QUELLE DA LORO VERSATE NELLE CASSE DELLA REGIONE, frutto di sudati guadagni.
Parliamo dunque di tanta gente, brava gente, destinata a subire i danni dei
tanti errori commessi (se non dei delitti, se tali appariranno agli inquirenti).
Persone che rischiano di assistere a un epilogo finale che di quegli errori
potrebbe essere addirittura l’apoteosi, il festival.
Per gli antefatti, credo ben noti ai
lettori, rinvio comunque a un mio post
precedente. A inizio febbraio, dopo due anni di inerzia irresponsabile,
dopo aver delegato la vicenda a un “capitano d’industria” (!) definito
“Marchionne del Molise”, suona la sirena di allarme e si prospetta la soluzione-miracolo.
Cacciare il socio infido e inadempiente e iniettare i fondi necessari ad
evitare il fallimento diventando, come Regione, unici proprietari della
struttura.
Un piano, una prospettiva, una “road
map”? No, la parola d’ordine è “Io speriamo che me la cavo”.
Inutilmente l’opposizione (scontando,
ovviamente, l’inevitabile babele di personaggi in cerca d’autore che fanno da
zavorra ogni qualvolta debba avanzare un’ipotesi alternativa) tenta di far
prevalere la ragione e il buon senso. Si devono preparare le dismissioni
evitando la catastrofe e l’azzeramento del valore residuo dell’azienda? Come
fare, se i suoi impianti sono gli unici sopravvissuti nel Mezzogiorno e i suoi
conti sono strutturalmente in deficit?
Si può tentare una via di uscita, senza
altre invenzioni (avventate e, si sospetta, alquanto truffaldine) ma prendendo
esempio da chi ce l’ha fatta. Non è l’unica azienda rimasta, si può dunque
sperare in una via di uscita sulle orme di chi ha continuato a produrre
zucchero senza andare a gambe all’aria. Come?
Dare l’idea che la Regione possa essere
il garante di ultima istanza, il soggetto che ripiana a piè di lista, è una
follia, politica oltre che economica. Si deve piuttosto dare un segnale forte
di volontà di risanamento offrendo una sponda a compratori “seriamente
intenzionati” e “non perditempo”. Si può fare.
Ma la Giunta (rieletta, “sub judice”)
decide di andare per la sua strada e ricapitalizza, provvedendo tuttavia a
compiere una mossa sul piano gestionale che dovrebbe dare il segno della
svolta. Viene chiamato un amministratore esperto di dismissioni e
ristrutturazioni, dopo aver dato il benservito (con la condizionale) al socio.
Bene. Ora la Regione è socio
totalitario ed ha nominato un amministratore esperto. Disastro scongiurato?
Mesi di attesa (più di quattro) e
arriva finalmente la soluzione. In tre mosse.
1) Si “prospetta” l’idea di chiedere il
concordato preventivo, per evitare il fallimento: in altre parole si prova a
stipulare un accordo con i creditori perché accettino una decurtazione dei loro
crediti. E’ quello che aveva chiesto dall’inizio l’opposizione, inascoltata:
strada stretta ma percorribile se c’è un piano credibile di rilancio, potrebbe
essere accettato come male minore rispetto a un fallimento “al buio” da cui si
possono ricavare solo briciole.
2) Mentre si lavora a quella soluzione,
non si “prospetta” ma si esige che “prima di subito” (entro il 31 maggio: ma
siamo già a giugno inoltrato!) venga costituita una Newco, una nuova società
che prende in carico la produzione mentre la vecchia, in odore di fallimento,
sistema con il concordato preventivo le partite debitorie che restano pendenti.
3) Starà alla Newco elaborare un piano
di rilancio. Intanto si anticipa però un particolare: i dipendenti dello
Zuccherificio (attualmente poco più di 100) destinati al passaggio alla Newco
saranno meno di 70. Tanto per dare l’idea che si fa sul serio.
Lo zuccherificio Saza di Avezzano, dismesso
Interviste di politici e amministratori
a corredo: “soluzione dolorosa, ma il futuro è radioso.”
Fermiamoci un momento. Prima del baratro, per capire.
Cerchiamo innanzi tutto di chiarirci a
proposito di una Newco. Viene inventata ai tempi d’oro della finanza d’assalto
come società “veicolo” per un’operazione di acquisizione di una società-bersaglio
che abbia un valore reale (azioni quotate, ovvero patrimonio al valore di
mercato) molto superiore al valore del patrimonio scritto nei libri contabili.
Non starò a spiegare i dettagli, ma mi limito a osservare che non è certo
questo il caso che ci interessa (per chi volesse approfondire una spiegazione
“accessibile” si trova sulla Stampa
on-line). Nel nostro caso il valore reale è incomparabilmente INFERIORE.
C’è però un secondo genere di Newco,
che nasce dall’adattare l’idea (in particolare nel nostro paese, ricco di
inventiva) alla situazione opposta. Non il caso di chi cerca di comprare una
società florida ma quello di chi cerca di vendere una società disastrata. Il
cui valore reale sia cioè inferiore (molto) a quello che risulta dalle
scritture contabili e che sia quindi in situazione pre-fallimentare. Parmalat e
Alitalia i due casi emblematici.
In questa versione, la Newco è la
società che i potenziali compratori sono invitati a costituire ex novo, priva
di debiti, per rilevare la nuda e cruda attività della società in dissesto (inizialmente in
affitto) ripartendo da zero e con un piano che garantisca l’equilibrio di
bilancio per il futuro. Mentre i compratori iniziano il loro cammino senza
portare alcun fardello, i venditori sistemano le pendenze della vecchia società,
la “Bad Company”, in genere lasciandola fallire, altre volte cedendola a costo
zero, se riesce a liberarsi dai debiti, alla Newco.
Emerge qui, dunque, la prima “anomalia”
del piano partorito. Il presupposto di una Newco è che sia stato individuato il
compratore. Qui si propone invece (“tomo tomo, cacchio cacchio”, direbbe Totò)
che la Newco sia costituita … dai venditori!!! Si badi, nella letteratura
sull’argomento si mette bene in evidenza come la sola presenza dei vecchi soci
nella Newco (anche in posizione minoritaria) getti un’ombra sulla legittimità
dell’operazione, che acquista immediatamente un carattere elusivo.
Come può aver concepito questo piano il
manager del rilancio? Un amministratore esperto, abbiamo detto, niente da
spartire con il Marchionne del Molise. Viene, è pur vero, dai cosmetici, che
forse “ci azzeccano” poco con zucchero e barbabietole, ma ha comunque una
esperienza di non poco conto essendo passato per la madre di tutti i crac, la
Parmalat. Arriva a Termoli e si accorge che “un’azienda così mal ridotta” non
ha paragoni conosciuti. Mi verrebbe da avanzare, come ipotesi, che abbia perso
di vista un particolare non secondario. L’azienda agro-alimentare di cui deve
occuparsi è un’azienda di totale proprietà pubblica.
Il dott. Alfieri era ancora troppo
giovane quando è stata dismessa l’industria di stato dei panettoni e dei gelati,
non ha forse dimestichezza con la storia degli anni in cui anche quel comparto figurava nel perimetro pubblico, eredità del fascismo, quando ormai le uniche eccezioni rimaste nel
nostro paese si trovano nella repubblica socialista del Molise. Perché c’è una
differenza abissale (se mi si perdona il ricorso ancora a questo termine) con
il caso Parmalat. In quella vicenda il cuore del problema era rappresentato da
piccoli risparmiatori (in possesso di azioni e obbligazioni) che erano stati
spinti da banchieri senza scrupoli a investire in un’azienda che aveva
taroccato i conti per nascondere un profondo rosso. Prima ancora dei
creditori-fornitori, c’erano perciò da affrontare i piccoli proprietari e
finanziatori. Da quel problema specifico e particolare era nata la soluzione
Newco, in gran parte negoziata con alcuni dei creditori (i grandi finanziatori).
Lo Zuccherificio invece non ha
azionisti diffusi ma un unico proprietario, che non è un capitano di industria
ma un soggetto pubblico, la Regione Molise. E l’istanza di fallimento, rispetto
alla quale si può prospettare un concordato preventivo come soluzione
alternativa, è stata avanzata proprio dai fornitori-creditori. Che hanno dalla
loro un argomento micidiale. La Regione non può fallire, la Regione non può
fare altro che onorare i suoi debiti fino all’ultimo centesimo.
Dunque. Il concordato preventivo è un
tentativo da fare, l’unico che può allontanare il fallimento, ma si regge solo
sulla credibilità di un piano di dismissioni che salvaguardi la continuità
aziendale e conservi i valori. La Newco costituita dallo stesso socio unico (ma
come hanno potuto pensarlo???) è solo un artificio, e un raggiro, che nessun
giudice potrebbe avallare in sede di autorizzazione al concordato preventivo e
che nessun tecnico indipendente potrebbe certificare come soluzione economicamente
e giuridicamente valida.
Quanto poi all’ultima anomalia, i
“dolorosi” tagli, si è fortunatamente squagliata come neve al primo sole di
primavera. Per seppellire definitivamente l’idea di decidere a priori quante
teste tagliare, prima ancora di aver disegnato un futuro per l’azienda, è
bastata una riunione al tavolo sindacale nazionale, con persone che vivevano
nel mondo reale e non erano in stato di ipnosi: non se ne parla nemmeno. Se mai
si dovesse procedere alla famosa Newco, nessuno degli attuali dipendenti
rimarrebbe nella originaria Bad Company a fare da agnello sacrificale. Punto, e
non se ne parla più.
Tirando le somme, ci sono voluti più di
quattro mesi solo per raggiungere la conclusione n. 1, quella più scontata e
auspicata dall’opposizione: tentare la strada del concordato preventivo. Senza
però lo straccio di un’idea sul percorso che dovrebbe legittimarlo. Tutto il
resto è fumo, o artificio contrario alle leggi, con tanto di dito nell’occhio
degli incolpevoli lavoratori.
Lo zuccherificio di Giulianova, dismesso
E sì che nel frattempo è arrivato
perfino un “aiutino” insperato dal governo Monti, sotto forma dell’annuncio di
una modifica alla legge fallimentare proprio in materia di concordato
preventivo. Il piano industriale potrà arrivare DOPO la presentazione della
richiesta al giudice (fin qui doveva essere presentato insieme alla domanda).
Dunque c’è qualche giorno in più per predisporlo. Con un contrappeso, tuttavia.
I tecnici che dovranno asseverarlo non potranno avere alcun rapporto, né
diretto né indiretto, con le parti in causa, a pena di nullità della procedura
con tanto di responsabilità PENALE per chi incorresse in un qualche conflitto
di interessi.
Saprà la Regione Molise trovare qualche
tecnico davvero indipendente, tanto da non aver avuto alcun genere di rapporto
con una istituzione, piccola, ma così attiva nel costruire reti di clientele?
In quale area del globo? E saprà trovarlo abbastanza in fretta e capace di
acquisire in poco tempo tutti gli elementi necessari a un giudizio equanime e
competente, sotto la minaccia di una responsabilità penale?
Inutile girarci intorno. A due anni di
cecità compiacente (verso il Marchionne isernino) sono seguiti quattro mesi di
inerzia e stato confusionale.
Eppure, come ho cercato di dimostrare
nell’ultimo post
sul tema, le strade da seguire non sono molte. Diciamo pure che ci sono
alcune mosse obbligate. Perché nessuna di queste è stata ancora compiuta?
Per inciso, sarei più che disposto ad
illudermi che quegli atti siano stati compiuti, senza metterne al corrente il
consesso regionale. Avrebbero recato offesa alla democrazia e alla trasparenza, ma
almeno avremmo assistito a un qualche atto di governo e di buona
amministrazione degno di questo nome. Se ne chiederebbe conto in sede
politica, ma concedendo qualche indulgenza.
Invece no. Non si tratta né di astuzia
volpina né di spregiudicatezza democristiana. Non si è proprio fatto nulla.
Parliamo, per cominciare, dei possibili
compratori. Due soli soggetti in Italia producono zucchero, Eridania
(Maccaferri) e Co.Pro.B. (i produttori di barbabietole consorziati). Chi li ha
incontrati e con quali risultati?
Qualcuno ha pensato di riprodurre il
modello Co.Pro.B. con i produttori locali di barbabietole? Si sono presi
contatti con le associazioni (in particolare, oltre a quella molisana, con
quella pugliese) e con la Regione Puglia che dei loro interessi dovrebbe farsi
carico?
Ovvero, visto che ci si rifà al caso
Parmalat, è stata sondata la disponibilità dei creditori a trasformare i
crediti in titoli di proprietà?
E si è guardato fuori dal settore,
nell’agro-alimentare locale, ad esempio? O nelle grandi catene di
distribuzione, che possono avere interesse a tenere in vita una produzione da
“marchiare”? O si sono sondate le possibilità che sia il management ad
acquistare, o una cooperativa di dipendenti?
Ma per venire all’equilibrio dei conti,
si è affrontato il tema del costo della materia prima? O si sono fatti solo i
conti dei salari e degli stipendi (che incidono per qualche milione in tutto su
un debito che si avvicina ai cento milioni). Come si pensa di intervenire sul prezzo
riconosciuto ai produttori per la materia prima, superiore del 50% a quello riconosciuto dai concorrenti
(italiani, intendo, lasciando perdere Brasile, o Europa est, o Sudan)? E si è
pensato di attivare quella componente, non marginale, di risparmio che può
venire dal riutilizzo delle rimanenze delle bietole (surpressate) per la
produzione di energia da biomasse?
Ahimé, la risposta credo sia negativa
su tutta la linea.
In definitiva, per concludere, potrei
ragionare da uomo di parte – quale non rinnego di essere – e augurarmi quel
passo nel baratro, fatale. Che facciano anche quest’ultimo scempio, il popolo
molisano aggiungerà questo capo d’accusa alla lunga lista che ormai è stata compilata
e punirà i responsabili come meritano, costringendoli ad abbandonare una volta
per tutte i loro incarichi, così indegnamente ricoperti.
Ma il Molise non merita questa sorte.
Perciò preferisco sperare che sappiano invece fermarsi. Che compiano il necessario
passo indietro.
Dovrebbero anche passare la
mano, ma non è nel loro DNA. Sappiano almeno, per una volta, ascoltare la voce
della ragione, del buon senso, e anteporre gli interessi dei cittadini che li
hanno eletti ai loro propri. E’ sperare troppo?Sullo stesso argomento in questo blog:
- C'è un futuro per lo Zuccherificio. Quale?
- Zuccherificio. Una storia da raccontare. Da non dimenticare