lunedì 18 giugno 2012

Zuccherificio. La "newco" è un imbroglio


Assistiamo a una perdita di senno collettiva dei politici di lungo corso che reggono il governo del Molise. Il meccanismo cui hanno dato vita li sta portando sull'orlo di un baratro. I casi si moltiplicano, ma lo Zuccherificio è emblematico. Il baratro del fallimento incombe, il tempo stringe. 
A quattro mesi dalla ricapitalizzazione decisa con procedura d'urgenza, chiamato un manager "esperto" a gestire la "exit strategy", ci troviamo tra le mani solo un piano insensato. A parte la richiesta, finalmente, di un concordato preventivo, auspicato dall'opposizione quattro mesi fa, non c'è lo straccio di un'idea, salvo quella, balzana e in odore di illegittimità, di una Newco, e quella di tagliare più di trenta teste di incolpevoli lavoratori. Eppure si potrebbe salvare ...



Trovarsi sull’orlo del baratro ed essere attratti dalla vertigine del vuoto
Non ho potuto fare a meno di pensare a questo “topos” classico esaminando le fasi conclusive – e convulsive – della ultra-decennale esperienza di governo della Regione Molise. Che cosa può portare alla perdita di senno collettiva un gruppo di politici di professione, di lungo corso, che hanno avuto sulle spalle la responsabilità di reggere le sorti di una Regione per tanti anni? (Sul modo in cui le hanno rette non ho bisogno di aggiungere commenti). Che cosa, se non un’attrazione fatale, ipnotica, verso il disastro? Appaiono vittime del meccanismo cui hanno dato vita e che ora li inghiotte in un abisso senza fondo.

I casi si moltiplicano ma intendo continuare a battere sul tasto dello Zuccherificio, quello per il quale il paragone del baratro è più calzante. Siamo agli sgoccioli, l’istanza di fallimento sarà discussa tra pochi giorni. Centinaia di lavoratori dello stabilimento, migliaia di coltivatori, trasportatori, commercianti sono coinvolti. E con loro i contribuenti molisani, cui sono state sottratte risorse, QUELLE DA LORO VERSATE NELLE CASSE DELLA REGIONE, frutto di sudati guadagni. Parliamo dunque di tanta gente, brava gente, destinata a subire i danni dei tanti errori commessi (se non dei delitti, se tali appariranno agli inquirenti). Persone che rischiano di assistere a un epilogo finale che di quegli errori potrebbe essere addirittura l’apoteosi, il festival.

Per gli antefatti, credo ben noti ai lettori, rinvio comunque a un mio post precedente. A inizio febbraio, dopo due anni di inerzia irresponsabile, dopo aver delegato la vicenda a un “capitano d’industria” (!) definito “Marchionne del Molise”, suona la sirena di allarme e si prospetta la soluzione-miracolo. Cacciare il socio infido e inadempiente e iniettare i fondi necessari ad evitare il fallimento diventando, come Regione, unici proprietari della struttura.
Un piano, una prospettiva, una “road map”? No, la parola d’ordine è “Io speriamo che me la cavo”.
Inutilmente l’opposizione (scontando, ovviamente, l’inevitabile babele di personaggi in cerca d’autore che fanno da zavorra ogni qualvolta debba avanzare un’ipotesi alternativa) tenta di far prevalere la ragione e il buon senso. Si devono preparare le dismissioni evitando la catastrofe e l’azzeramento del valore residuo dell’azienda? Come fare, se i suoi impianti sono gli unici sopravvissuti nel Mezzogiorno e i suoi conti sono strutturalmente in deficit?
Si può tentare una via di uscita, senza altre invenzioni (avventate e, si sospetta, alquanto truffaldine) ma prendendo esempio da chi ce l’ha fatta. Non è l’unica azienda rimasta, si può dunque sperare in una via di uscita sulle orme di chi ha continuato a produrre zucchero senza andare a gambe all’aria. Come?

Dare l’idea che la Regione possa essere il garante di ultima istanza, il soggetto che ripiana a piè di lista, è una follia, politica oltre che economica. Si deve piuttosto dare un segnale forte di volontà di risanamento offrendo una sponda a compratori “seriamente intenzionati” e “non perditempo”. Si può fare.
Ma la Giunta (rieletta, “sub judice”) decide di andare per la sua strada e ricapitalizza, provvedendo tuttavia a compiere una mossa sul piano gestionale che dovrebbe dare il segno della svolta. Viene chiamato un amministratore esperto di dismissioni e ristrutturazioni, dopo aver dato il benservito (con la condizionale) al socio.
Bene. Ora la Regione è socio totalitario ed ha nominato un amministratore esperto. Disastro scongiurato?
Mesi di attesa (più di quattro) e arriva finalmente la soluzione. In tre mosse.
1) Si “prospetta” l’idea di chiedere il concordato preventivo, per evitare il fallimento: in altre parole si prova a stipulare un accordo con i creditori perché accettino una decurtazione dei loro crediti. E’ quello che aveva chiesto dall’inizio l’opposizione, inascoltata: strada stretta ma percorribile se c’è un piano credibile di rilancio, potrebbe essere accettato come male minore rispetto a un fallimento “al buio” da cui si possono ricavare solo briciole.
2) Mentre si lavora a quella soluzione, non si “prospetta” ma si esige che “prima di subito” (entro il 31 maggio: ma siamo già a giugno inoltrato!) venga costituita una Newco, una nuova società che prende in carico la produzione mentre la vecchia, in odore di fallimento, sistema con il concordato preventivo le partite debitorie che restano pendenti.
3) Starà alla Newco elaborare un piano di rilancio. Intanto si anticipa però un particolare: i dipendenti dello Zuccherificio (attualmente poco più di 100) destinati al passaggio alla Newco saranno meno di 70. Tanto per dare l’idea che si fa sul serio.


Lo zuccherificio Saza di Avezzano, dismesso

Interviste di politici e amministratori a corredo: “soluzione dolorosa, ma il futuro è radioso.”
Fermiamoci un momento. Prima del baratro, per capire.

Cerchiamo innanzi tutto di chiarirci a proposito di una Newco. Viene inventata ai tempi d’oro della finanza d’assalto come società “veicolo” per un’operazione di acquisizione di una società-bersaglio che abbia un valore reale (azioni quotate, ovvero patrimonio al valore di mercato) molto superiore al valore del patrimonio scritto nei libri contabili. Non starò a spiegare i dettagli, ma mi limito a osservare che non è certo questo il caso che ci interessa (per chi volesse approfondire una spiegazione “accessibile” si trova sulla Stampa on-line). Nel nostro caso il valore reale è incomparabilmente INFERIORE.
C’è però un secondo genere di Newco, che nasce dall’adattare l’idea (in particolare nel nostro paese, ricco di inventiva) alla situazione opposta. Non il caso di chi cerca di comprare una società florida ma quello di chi cerca di vendere una società disastrata. Il cui valore reale sia cioè inferiore (molto) a quello che risulta dalle scritture contabili e che sia quindi in situazione pre-fallimentare. Parmalat e Alitalia i due casi emblematici.
In questa versione, la Newco è la società che i potenziali compratori sono invitati a costituire ex novo, priva di debiti, per rilevare la nuda e cruda attività della società in dissesto (inizialmente in affitto) ripartendo da zero e con un piano che garantisca l’equilibrio di bilancio per il futuro. Mentre i compratori iniziano il loro cammino senza portare alcun fardello, i venditori sistemano le pendenze della vecchia società, la “Bad Company”, in genere lasciandola fallire, altre volte cedendola a costo zero, se riesce a liberarsi dai debiti, alla Newco.
Emerge qui, dunque, la prima “anomalia” del piano partorito. Il presupposto di una Newco è che sia stato individuato il compratore. Qui si propone invece (“tomo tomo, cacchio cacchio”, direbbe Totò) che la Newco sia costituita … dai venditori!!! Si badi, nella letteratura sull’argomento si mette bene in evidenza come la sola presenza dei vecchi soci nella Newco (anche in posizione minoritaria) getti un’ombra sulla legittimità dell’operazione, che acquista immediatamente un carattere elusivo.
Come può aver concepito questo piano il manager del rilancio? Un amministratore esperto, abbiamo detto, niente da spartire con il Marchionne del Molise. Viene, è pur vero, dai cosmetici, che forse “ci azzeccano” poco con zucchero e barbabietole, ma ha comunque una esperienza di non poco conto essendo passato per la madre di tutti i crac, la Parmalat. Arriva a Termoli e si accorge che “un’azienda così mal ridotta” non ha paragoni conosciuti. Mi verrebbe da avanzare, come ipotesi, che abbia perso di vista un particolare non secondario. L’azienda agro-alimentare di cui deve occuparsi è un’azienda di totale proprietà pubblica.
Il dott. Alfieri era ancora troppo giovane quando è stata dismessa l’industria di stato dei panettoni e dei gelati, non ha forse dimestichezza con la storia degli anni in cui anche quel comparto figurava nel perimetro pubblico, eredità del fascismo, quando ormai le uniche eccezioni rimaste nel nostro paese si trovano nella repubblica socialista del Molise. Perché c’è una differenza abissale (se mi si perdona il ricorso ancora a questo termine) con il caso Parmalat. In quella vicenda il cuore del problema era rappresentato da piccoli risparmiatori (in possesso di azioni e obbligazioni) che erano stati spinti da banchieri senza scrupoli a investire in un’azienda che aveva taroccato i conti per nascondere un profondo rosso. Prima ancora dei creditori-fornitori, c’erano perciò da affrontare i piccoli proprietari e finanziatori. Da quel problema specifico e particolare era nata la soluzione Newco, in gran parte negoziata con alcuni dei creditori (i grandi finanziatori).
Lo Zuccherificio invece non ha azionisti diffusi ma un unico proprietario, che non è un capitano di industria ma un soggetto pubblico, la Regione Molise. E l’istanza di fallimento, rispetto alla quale si può prospettare un concordato preventivo come soluzione alternativa, è stata avanzata proprio dai fornitori-creditori. Che hanno dalla loro un argomento micidiale. La Regione non può fallire, la Regione non può fare altro che onorare i suoi debiti fino all’ultimo centesimo.
Dunque. Il concordato preventivo è un tentativo da fare, l’unico che può allontanare il fallimento, ma si regge solo sulla credibilità di un piano di dismissioni che salvaguardi la continuità aziendale e conservi i valori. La Newco costituita dallo stesso socio unico (ma come hanno potuto pensarlo???) è solo un artificio, e un raggiro, che nessun giudice potrebbe avallare in sede di autorizzazione al concordato preventivo e che nessun tecnico indipendente potrebbe certificare come soluzione economicamente e giuridicamente valida.

Quanto poi all’ultima anomalia, i “dolorosi” tagli, si è fortunatamente squagliata come neve al primo sole di primavera. Per seppellire definitivamente l’idea di decidere a priori quante teste tagliare, prima ancora di aver disegnato un futuro per l’azienda, è bastata una riunione al tavolo sindacale nazionale, con persone che vivevano nel mondo reale e non erano in stato di ipnosi: non se ne parla nemmeno. Se mai si dovesse procedere alla famosa Newco, nessuno degli attuali dipendenti rimarrebbe nella originaria Bad Company a fare da agnello sacrificale. Punto, e non se ne parla più.
Tirando le somme, ci sono voluti più di quattro mesi solo per raggiungere la conclusione n. 1, quella più scontata e auspicata dall’opposizione: tentare la strada del concordato preventivo. Senza però lo straccio di un’idea sul percorso che dovrebbe legittimarlo. Tutto il resto è fumo, o artificio contrario alle leggi, con tanto di dito nell’occhio degli incolpevoli lavoratori.

 
Lo zuccherificio di Giulianova, dismesso

E sì che nel frattempo è arrivato perfino un “aiutino” insperato dal governo Monti, sotto forma dell’annuncio di una modifica alla legge fallimentare proprio in materia di concordato preventivo. Il piano industriale potrà arrivare DOPO la presentazione della richiesta al giudice (fin qui doveva essere presentato insieme alla domanda). Dunque c’è qualche giorno in più per predisporlo. Con un contrappeso, tuttavia. I tecnici che dovranno asseverarlo non potranno avere alcun rapporto, né diretto né indiretto, con le parti in causa, a pena di nullità della procedura con tanto di responsabilità PENALE per chi incorresse in un qualche conflitto di interessi.
Saprà la Regione Molise trovare qualche tecnico davvero indipendente, tanto da non aver avuto alcun genere di rapporto con una istituzione, piccola, ma così attiva nel costruire reti di clientele? In quale area del globo? E saprà trovarlo abbastanza in fretta e capace di acquisire in poco tempo tutti gli elementi necessari a un giudizio equanime e competente, sotto la minaccia di una responsabilità penale?

Inutile girarci intorno. A due anni di cecità compiacente (verso il Marchionne isernino) sono seguiti quattro mesi di inerzia e stato confusionale.
Eppure, come ho cercato di dimostrare nell’ultimo post sul tema, le strade da seguire non sono molte. Diciamo pure che ci sono alcune mosse obbligate. Perché nessuna di queste è stata ancora compiuta?
Per inciso, sarei più che disposto ad illudermi che quegli atti siano stati compiuti, senza metterne al corrente il consesso regionale. Avrebbero recato offesa alla democrazia e alla trasparenza, ma almeno avremmo assistito a un qualche atto di governo e di buona amministrazione degno di questo nome. Se ne chiederebbe conto in sede politica, ma concedendo qualche indulgenza.
Invece no. Non si tratta né di astuzia volpina né di spregiudicatezza democristiana. Non si è proprio fatto nulla.
Parliamo, per cominciare, dei possibili compratori. Due soli soggetti in Italia producono zucchero, Eridania (Maccaferri) e Co.Pro.B. (i produttori di barbabietole consorziati). Chi li ha incontrati e con quali risultati?
Qualcuno ha pensato di riprodurre il modello Co.Pro.B. con i produttori locali di barbabietole? Si sono presi contatti con le associazioni (in particolare, oltre a quella molisana, con quella pugliese) e con la Regione Puglia che dei loro interessi dovrebbe farsi carico?
Ovvero, visto che ci si rifà al caso Parmalat, è stata sondata la disponibilità dei creditori a trasformare i crediti in titoli di proprietà?
E si è guardato fuori dal settore, nell’agro-alimentare locale, ad esempio? O nelle grandi catene di distribuzione, che possono avere interesse a tenere in vita una produzione da “marchiare”? O si sono sondate le possibilità che sia il management ad acquistare, o una cooperativa di dipendenti?
Ma per venire all’equilibrio dei conti, si è affrontato il tema del costo della materia prima? O si sono fatti solo i conti dei salari e degli stipendi (che incidono per qualche milione in tutto su un debito che si avvicina ai cento milioni). Come si pensa di intervenire sul prezzo riconosciuto ai produttori per la materia prima, superiore del 50% a quello riconosciuto dai concorrenti (italiani, intendo, lasciando perdere Brasile, o Europa est, o Sudan)? E si è pensato di attivare quella componente, non marginale, di risparmio che può venire dal riutilizzo delle rimanenze delle bietole (surpressate) per la produzione di energia da biomasse?

Ahimé, la risposta credo sia negativa su tutta la linea.
In definitiva, per concludere, potrei ragionare da uomo di parte – quale non rinnego di essere – e augurarmi quel passo nel baratro, fatale. Che facciano anche quest’ultimo scempio, il popolo molisano aggiungerà questo capo d’accusa alla lunga lista che ormai è stata compilata e punirà i responsabili come meritano, costringendoli ad abbandonare una volta per tutte i loro incarichi, così indegnamente ricoperti.
Ma il Molise non merita questa sorte. Perciò preferisco sperare che sappiano invece fermarsi. Che compiano il necessario passo indietro.
Dovrebbero anche passare la mano, ma non è nel loro DNA. Sappiano almeno, per una volta, ascoltare la voce della ragione, del buon senso, e anteporre gli interessi dei cittadini che li hanno eletti ai loro propri. E’ sperare troppo?

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