sabato 19 gennaio 2013

Bersani e Monti, agende a confronto (2)


Agenda (plur.), dal latino: le cose da fare, che non si sono fatte o si sono fatte male (e occorre correggere).
Andiamo avanti a esaminare, dopo il tema delle pensioni, le cose da correggere tra quelle fatte in base all’agenda Monti in materia di lavoro.

Su questo tema, di assoluto rilievo, è diffusa l’idea di dover rimettere mano alla riforma Fornero. So di dare una delusione a quanti vorrebbero riaprire il dossier articolo 18, ma ritengo che sarebbe un errore non molto diverso da quello compiuto da Monti.
Il parere su quella parte della riforma è negativo, si intende: ho avuto modo di esprimermi anche su questo blog. Ma il motivo principale di dissenso, che voglio qui ribadire, sta nell’aver attribuito a una modifica, in senso “deregolatorio”, del regime dei licenziamenti individuali un qualche effetto positivo sulla dinamica dell’occupazione.
Un falso, confutato da tutte le evidenze empiriche. Al contrario, se fosse stato indebolito il principio della nullità dei licenziamenti discriminatori l’effetto sarebbe stato di segno tutto negativo. E sarebbero state deleterie le conseguenze sul sistema dei diritti e delle libertà elementari dei cittadini.


Ora, è pur vero che quel principio è stato messo in discussione, con soave leggerezza professorale, all’inizio della vicenda. Ma la reazione decisa del PD ha impedito che si andasse avanti (neanche la voce dissonante di Ichino ha concesso spazi a Monti su questo punto). Le nuove procedure sono però pasticciate e arzigogolate e finiscono per andare in direzione contraria rispetto a quello che tutti unanimemente si aspettavano, sindacati e imprenditori, perché non risolvono il problema di una giustizia lenta e incerta ma ampliano il potere discrezionale dei magistrati.
Sarebbe dunque il caso di imboccare con decisione la strada opposta. Ma il problema è che di tutto abbiamo bisogno meno che di una nuova guerra atomica sull’articolo 18. Una manutenzione sarà necessaria, ma non è prioritaria. Altri sono i problemi più scottanti da affrontare per primi.

A differenza di quanto teorizzato da Monti nella sua agenda, si dovrà intervenire sulla gestione: attivare politiche efficaci. Si dovranno ripensare le sedi, i soggetti e le modalità di intervento, tornando a dare un ruolo protagonista alle parti sociali e restituendo loro piena autonomia.
Un tempo la legge interveniva per aiutare le parti a trovare intese più larghe e più rappresentative possibili (mettendoci anche, se necessario, risorse economiche oltre a quelle cosiddette politiche) e per suggellare infine gli accordi tra le parti con un riconoscimento giuridico che li rendeva efficaci verso tutti . Poi è arrivata la furia demolitrice della destra fanatica e ideologica, condizionata dall’egoismo miope delle componenti più retrive e meno competitive del sistema produttivo.
Non quelle proiettate sul mercato estero. Quelle sceglievano di delocalizzare in regioni più avanzate (la  Carinzia è il caso più eclatante, invasa dai piccoli del Nord-Est) dove norme e condizioni salariali erano anche più onerose (e più favorevoli per i lavoratori) ma in compenso burocrazia, fisco e servizi fornivano un contesto molto più propizio per l’impresa. Piuttosto, era preso a riferimento chi vagheggiava condizioni cinesi (perdendo così inesorabilmente terreno di fronte ai concorrenti, cinesi in primis).

 

Ritornare alla concertazione (o al dialogo sociale di tipo europeo, opposto esatto di quello praticato da Sacconi & co.) deve andare di pari passo con la riscoperta di una politica industriale, dopo lunghi anni in cui è stata totalmente assente. Ciò significa favorire la buona occupazione, quella basata sulla capacità di collocarsi all’avanguardia dei processi (con una grande attenzione alla sostenibilità) e sull’eccellenza dei prodotti. Quando queste condizioni si verificano può anche esserci flessibilità ma mai precarietà. Se di flessibilità ci sarà bisogno, sarà nella dose necessaria, compensata da contropartite economiche e normative. Perciò costerà più del lavoro stabile (e di intensità costante), come da tempo sostiene il PD.

 

Su queste basi si potrà allora costruire un sistema di servizi all’altezza delle esigenze. Il pubblico, a livello decentrato, sotto la responsabilità delle Regioni, dovrà garantire che siano aperti - e non ostruiti come oggi spesso accade - i canali di ingresso del lavoro (qualificato e specializzato in particolare) all’interno dei processi produttivi. E farà sì che le esigenze straordinarie di flessibilità, per riconvertire, per far fronte alle dinamiche dei mercati nel mondo o alle novità tecnologiche, siano rese compatibili con le esigenze di continuità di reddito dei lavoratori coinvolti. Potrà così garantire dal lato delle imprese la disponibilità delle competenze necessarie per l’implementazione delle novità, al presentarsi delle fasi alte del ciclo.

Siamo ancora molto lontani dall’obiettivo. Questo genere di interventi non ha alcuna guida a livello nazionale e le Regioni si arrangiano come possono. In qualche caso prendono a modello gli esempi migliori nel continente (e nel mondo), in altri danno perfino lezione, ma nella maggior parte dei casi restano  drammaticamente al di sotto delle esigenze. Chi avrà la responsabilità di amministrare questo sistema complesso sarà chiamato prima di tutto a promuovere un salto di qualità.
Dipende, dovrebbe essere chiaro, solo in minima parte dalle leggi che saranno varate. Conterà invece, soprattutto, la qualità dell’intervento sul campo, la capacità di aggiustare il tiro fino al particolare, di tarare ogni servizio e ogni singolo ufficio sulle esigenze specifiche, di far circolare le esperienze, di sanzionare le inadempienze, le inefficienze o, peggio, le illegalità.
Di questo immenso campo, il professor Monti e il suo ministro del Lavoro hanno dato l’impressione di non avere neppure colto l’esistenza. Di non averne avuto la percezione. Abbandonato, tanto quanto era stato trascurato (o per molti versi addirittura inquinato) dai suoi predecessori di destra.

Non è un programma minimale. E’ una vera rivoluzione copernicana, anche se non poggia su slogan ad effetto o su ricette miracolose. E’ un processo complesso, da governare.
I grandi principi? Non solo non vengono dimenticati o disattesi, ma sono la stella polare e ancora una volta misureranno, in tutta la sua importanza, la differenza tra destra e sinistra. Tra le agende.

Lottare contro la precarietà, restituire dignità al lavoro, assicurare stabilità di reddito e rafforzare la coesione sociale. Sono questi gli obiettivi di fondo concordemente proclamati a sinistra.
Ebbene, se si mettono in fila gli interventi che ho tratteggiato, sia pure sommariamente, in questi due post penso se ne possa ricavare un quadro d’assieme ispirato a questi obiettivi e alle scelte di principio che sottendono.
-         Politica industriale (investimenti orientati verso processi innovativi per prodotti di eccellenza), oltre che dei servizi e delle “piccole opere”, per rimettere in moto la domanda di lavoro
-         Politica di sostegno alla contrattazione (interconfederale, nazionale, decentrata, sia aziendale che territoriale) per un sistema di tutele del lavoro flessibile (arrivando anche ad un salario minimo interconfederale come misura di ultima istanza per il lavoro disperso), lasciando alla legge il compito di recepire e estendere a tutti (erga omnes) gli accordi raggiunti (con il vincolo di un percorso democratico)
-         Sistema di servizi che accompagnino efficacemente imprese e lavoratori nelle fasi di riconversione (aziendale o territoriale) con un sostegno al reddito strettamente connesso agli interventi di riqualificazione dei soggetti interessati
-         Tutele per il reddito, presente e futuro (attraverso un rafforzamento della contribuzione previdenziale figurativa per scongiurare pensioni indecenti a fine carriera), rivolte anche ai giovani in cerca di prima occupazione che siano impegnati in percorsi di inserimento (reddito minimo garantito su base lavoristica).

Non è tutto. Ma significherebbe un cambiamento di rotta tale da suscitare nuove speranze e nuove energie. Un’agenda di tutto rispetto.