giovedì 29 marzo 2012

Articolo 18. Pifferi di montagna?


[24 marzo – 31 marzo]
Terza e (almeno per ora) ultima puntata sulla riforma del mercato del lavoro del governo Monti.
Tiriamo le somme. Ha avuto importanti conseguenze sul quadro politico.
Lo scenario appare improvvisamente mutato. Dobbiamo dunque chiederci: come andrà a finire? Quali previsioni si possono fare sui possibili sviluppi?
Torniamo così a ragionare, in conclusione, sul dopo Monti.
Si torna a parlare della data di scadenza. Ma la confezione è stata aperta ...

CONCLUSA LA TRATTATIVA, UN PRIMO BILANCIO:
IL PROFESSORE L'HA FATTA GROSSA
A conclusione della prima tappa della riforma del mercato del lavoro, la trattativa con le parti sociali e la presentazione della proposta del governo, sembra di poter dire che il Professore l'ha fatta grossa.
Doveva essere il suggello conclusivo, di peso marginale ma di rilevante impatto simbolico. Anziché suggellare ha invece messo in ombra tutto il resto, questione di bandiera su cui giocare la “partita della vita”. Sbagliando tutto.
Era davvero convinto (o qualcuno lo aveva convinto) di dover tenere il punto fino in fondo: che ne andasse del suo prestigio e della sua affidabilità internazionale (e, chissà, del suo futuro politico). Ma quale era il punto? Non solo permettere alle imprese di licenziare per motivi economici – principio già comunemente accettato – ma sancire il diritto dell'imprenditore a non subire interferenze nelle sue valutazioni economiche.
Può darsi che sia un dogma della “dottrina Bocconi” (in salsa Marchionne?): quando si tratta dell'azienda, dell'economia come la vede un capitano d'industria, la legge deve fare un passo indietro. Non si tratta però di una legge economica, è piuttosto una posizione politica. Che dentro le mura della fabbrica, così come su un transatlantico, il capitano non debba conoscere altra legge che il suo volere, è lecito teorizzarlo, in un trattato (di economia neo-liberista) o in un manifesto politico, ma lo decide una legge. Per l'esattezza, quella “fondamentale”, la Carta Costituzionale. Modello americano? Non posso spacciarmi per esperto di cose americane, ma a occhio e croce direi che in quel sistema giuridico un imprenditore ha forse più libertà di azione ma è certamente inserito in un sistema di contrappesi perfino più severo. Quel che conta è però che la “Carta fondamentale” a cui il Presidente del Consiglio ha giurato fedeltà è quella della Repubblica italiana.

UN'IPOTESI NORMATIVA CHE NON SUPEREREBBE IL PIU' ELEMENTARE DEGLI ESAMI DI COSTITUZIONALITA'”
Qui dunque il primo errore. Quell'idea, per dirla con le parole di un eminente costituzionalista (Gianluigi Pellegrino) che scrive su un quotidiano che è in prima fila tra i fan di Monti, configura una ipotesi normativa che per come progettata non supererebbe il più elementare degli esami di costituzionalità”.
Non male, come bocciatura, per un professore! Eppure la differenza tra Italia e USA non poteva sfuggire. Oltre tutto, lasciare al datore di lavoro la facoltà di “addurre” motivi economici, NON provati, per evitare, senza che il giudice possa entrare nel merito, ogni ipotesi di reintegro nel posto di lavoro, oltre a violare la Costituzione, contraddice il principio che tutti dicevano di voler salvaguardare: impedire i licenziamenti discriminatori “indipendentemente dalla motivazione addotta”, come recita la legge vigente (non il fatidico articolo 18, ma l'art. 3 della legge n. 108/1990).
                              

LA CGIL NON SI E' “AUTO-ESCLUSA” DALLA TRATTATIVA. UNA DELUSIONE PER QUALCUNO? E IL PD NON SI E' DIVISO
Un secondo errore è stato quello nei confronti della CGIL e del PD. Contrariamente a quanto Monti, con ogni probabilità, supponeva (ovvero, a quanto qualcuno gli aveva lasciato intendere) la CGIL è entrata nella trattativa. Non solo. Ha raggiunto un accordo con CISL e UIL e poi, dopo aver continuato caparbiamente a raccomandare di non anteporre l'articolo 18 a tutto il resto, si è attestata sulla posizione di accettare come percorribile un ammorbidimento delle sanzioni per i licenziamenti non discriminatori, lasciando un margine di discrezionalità tra reintegro e risarcimento (rimpinguato).
Non era un segreto di stato. Erano comparsi su tutti i quotidiani gli schemini riassuntivi delle posizioni dei sindacati e questa apertura, questa dichiarazione di disponibilità era messa in evidenza. Può darsi che non fosse gradita a chi si era messo in testa che la CGIL si sarebbe fatta fuori da sola e che il PD avrebbe pagato un prezzo altissimo in termini di divisioni profonde, se non di vero e proprio smembramento. Ma quella era la situazione reale che si era creata.
Invece il professore, che a quel punto alza la posta e impone quel “plus” all'americana, quando viene accusato di aver cercato deliberatamente la rottura con la CGIL risponde, in modo ben poco convincente, che “la CGIL è stata ambigua, non si capiva se l'apertura era effettiva o solo una finta, non lo ha mai detto con chiarezza”. Sorprendente vizio logico, quanto meno ... A maggior ragione, se fosse stato vero, quale migliore occasione per stanare finalmente la CGIL in tutta la sua doppiezza e costringere il PD a scegliere se stare con gli onesti o con i mestatori bugiardi?

SENZA UNA “EXIT STRATEGY” UNA TRATTATIVA E' DESTINATA IN PARTENZA A FALLIRE. “PRENDERE O LASCIARE” NON PAGA MAI
Terzo errore, quello di non ripiegare ma di insistere. I compromessi con tassisti, farmacisti, notai, banche, assicurazioni, petrolieri, benzinai hanno trovato molta comprensione da parte degli italiani che volevano far lavorare questo governo. Non si fa la rivoluzione in un giorno.
Perché allora, per una questione che è solo di bandiera, per un obiettivo che la Confindustria sceglie a maggioranza di considerare secondario, bocciando il candidato che quella bandiera aveva innalzato, per una norma che non passerebbe un elementare esame di costituzionalità, fare invece la voce grossa? Perché “si tratta su tutto ma non su quello”? Perché far uscire all'esterno, per la prima volta, una spaccatura verticale del Consiglio dei Ministri? I professori, si sa, si mettono facilmente d'accordo quando si tratta di dare lezione agli altri, ma non amano che qualcuno dia loro lezione, tanto più se hanno il sospetto che in realtà li si pigli per fessi.

GLI ITALIANI NON SONO PRONTI”.
Infine, quando appare evidente che questi errori non sono passati inosservati e che ne è derivato un calo di consenso per la bellezza di venti punti in una settimana, lascia un po' tutti di stucco scegliendo di rovesciare il tavolo: “Non avete il diritto di bocciarmi, sono io che boccio voi. Non siete pronti, ripassate a ottobre o vado a insegnare da un'altra parte. Non mi meritate.”
Che cosa ha portato un distinto professore molto padrone di sé e abbastanza competente (gli manca un po' di diritto del lavoro e molto diritto costituzionale, in economia è rimasto a testi un po' superati, ma insomma …) a commettere una sequela di errori così grossolani?

CHI GLIELO HA FATTO FARE?
I MERCATI?
POCHI SONO DISPOSTI A CREDERLO
Chi glielo ha fatto fare? Questa la domanda. La risposta, a mio modesto avviso, è di una qualche importanza.
I mercati? Entità impersonale. Fatta di investitori che non pensano in modo uniforme. Valutano il “rischio paese”, le prospettive di crescita di un'economia, per scommettere sul lungo periodo. Un paese instabile, confuso, guidato da una politica inefficace, predatoria, che alimenta l'illegalità, insomma, l'Italia di Berlusconi, attirava scommesse “a perdere”. Una guida più sobria, attenta al bene comune anziché all'interesse privato, appare meno a rischio (lo spread risale). Ma se commette errori e perde consenso, si ha un bel dire che “il Paese non mi merita”, è quello il Paese che sei chiamato a guidare verso la rinascita.
Che cosa dunque può contare di più per un investitore che scommette su un rischio paese: un premier che dà garanzie di stare dalla parte della finanza mondiale anche se perde consenso e scatena il caos? Ho i miei dubbi.
Si pensi al Brasile: la dottrina economica a cui si ispirano Lula e la Rousseff sono agli antipodi rispetto a quella che si insegna alla Bocconi. Ma il Brasile sta crescendo a una velocità impensabile per il nostro paese. Quale finanziere scommetterebbe mai contro il Brasile solo perché i Presidenti non sono “dei nostri”?
                          
Domanderei anche: come mai la “cura Marchionne” tanto decantata, ha un grande successo nell'America di Obama (nella Chrysler, dove i sindacati non solo dettano legge nelle trattative ma decidono nel Consiglio di Amministrazione) mentre appare un fiasco colossale (quote di mercato in picchiata) nell'Italia di Berlusconi e Monti dove i sindacati si vogliono fuori dalla fabbrica e “a tappetino” (nella Fiat, che l'unico nuovo modello in programma sceglie di produrlo nella Serbia appena uscita dalla guerra civile, in attesa di stabilire un sistema politico accettabile per l'ammissione nella Unione Europea)?

CHI GLIELO HA FATTO FARE?
L'EUROPA? PER IL MODELLO USA, CONTRO QUELLO TEDESCO?
Non i mercati, dunque. Lo spread risale per la caduta di consenso di Monti. Perché dunque ha imboccato una strada che lo porta a perdere consenso?
L'Europa? I documenti europei, basta leggerli, non solo non impongono ma neppure ipotizzano una libertà di licenziamento come quella disegnata dalla riforma. In più, se è vero che oggi l'Europa è a trazione tedesca e se il modello che Monti non ha voluto applicare è proprio quello tedesco, preferendo “fare l'americano”, è evidente che non ci si può appellare all'Europa.

CHI GLIELO HA FATTO FARE?
ATTENZIONE ALLA RISPOSTA!
E' troppo affezionato alle sue idee? Può essere una risposta, ma sarebbe un guaio se il Paese si fosse affidato a qualcuno con questo non trascurabile difetto!
O forse glielo hanno fatto fare? Il sospetto, lo confesso, mi sembra legittimo. Ha fatto una certa impressione scoprire che il Professore non era presente a raccogliere una citazione (presunta) di Obama a Seul perché non poteva esimersi dal prendere una telefonata di un certo Cicchitto che voleva essere rassicurato sulla riforma della giustizia e, più in particolare, circa la possibilità di abrogare la concussione (il reato per cui è sotto processo Berlusconi nella vicenda Ruby). E certamente non porta bene a un capo del Governo godere dell'appoggio incondizionato di un campione di fanatismo come Giuliano Ferrara, come abbiamo scoperto in questi giorni. Quanto alla sintonia con Marchionne, ne ho già accennato. Qualcuno vorrebbe mettere in fila anche l'intervista patinata alla first lady su “Chi”, organo ufficiale del berlusconismo d'assalto.

COME ANDRA' A FINIRE?
Come andrà a finire è difficile a dirsi. Può spuntare la exit strategy e la onorevole ritirata che fin qui sembrava esclusa. Cambiano le norme, si torna nell'alveo della Costituzione. Oppure, non mi sento di escluderlo, finisce tutto addirittura nel dimenticatoio dopo le amministrative. Tirare a campare torna ad essere una scelta nobile e dignitosa, nelle lungaggini del dibattito parlamentare si rinvia tutto a dopo le elezioni. Comunque sia, il danno di immagine e il cambiamento di scenario politico è irreversibile.
Può andare fino in fondo e la “catastrofe” (nel senso chimico-fisico, la rottura di continuità) si accelera. Non mangiano il Panettone a Palazzo Chigi.
Ognuna di queste ipotesi rappresenta un cambiamento netto di scenario. Vediamo.

COME CAMBIA IL QUADRO POLITICO. GLI SCENAFRI DEL DOPO MONTI SEMBRANO SEMPLIFICARSI ...
Proviamo a metterla su un piano squisitamente politico, riprendendo un'analisi di scenario su cui mi sono esercitato su questo stesso blog. Proviamo a immaginare che la destra berlusconiana, non avendo più i numeri per governare il paese e soffrendo non poco di astinenza da comando (e da affari), abbia bisogno di tornare a sottomettere la destra pulita, liberale e presentabile. Che Alfano da solo, passando esclusivamente per i canali diplomatici verso Fini e Casini, dimostri di non potercela fare. Quale strada migliore, così stando le cose, di quella che passa direttamente per Monti, forte dei sondaggi e dell'apprezzamento internazionale?
Purché Monti accetti di creare un varco tra centristi e PD e di inserirsi in quel varco per fare da leva.
Non dico che il Professore abbia accettato di prestarsi a questo gioco e abbia compiuto una scelta di campo. Ma qualche lusinga potrebbe aver fatto breccia e la tentazione potrebbe aver fatto capolino.
Il fatto è che a questo punto, una volta che si sia sbagliata la mossa e ci si sia fatti cogliere in flagrante abbraccio con la destra “impresentabile”, si può verificare come conseguenza quella di togliere di mezzo dal novero delle alternative in campo quella della “Grosse Koalition” (che nel precedente post consideravo poco realistica ma comunque coltivata da più di un soggetto politico).
E questa mi sembra, allo stato dei fatti, la prima vera vittima del “pasticcio-dito nell'occhio” sull'articolo 18. Monti dopo Monti, ABC dopo ABC, mi sembra un'ipotesi consegnata alla storia delle pie illusioni che costellano immancabilmente l'evolversi del dibattito politico.
Non solo. Dal 24 marzo la data di scadenza del governo torna ad essere incerta.
Sulla confezione c'era indicata, sì, la primavera 2013. Ma, come accade per le confezioni, una volta aperte vanno tenute in frigorifero. E si consiglia di consumarle appena possibile.