[24
marzo – 31 marzo]
Terza
e (almeno per ora) ultima puntata sulla riforma del mercato del
lavoro del governo Monti.
Tiriamo
le somme. Ha avuto importanti conseguenze sul quadro politico.
Lo
scenario appare improvvisamente mutato. Dobbiamo dunque chiederci:
come andrà a finire? Quali previsioni si possono fare sui possibili
sviluppi?
Torniamo
così a ragionare, in conclusione, sul dopo Monti.
Si
torna a parlare della data di scadenza. Ma la confezione è stata
aperta ...
CONCLUSA
LA TRATTATIVA, UN PRIMO BILANCIO:
IL
PROFESSORE L'HA FATTA GROSSA
A
conclusione della prima tappa della riforma del mercato del lavoro,
la trattativa con le parti sociali e la presentazione della proposta
del governo, sembra di poter dire che il Professore l'ha fatta
grossa.
Doveva
essere il suggello conclusivo, di peso marginale ma di rilevante
impatto simbolico. Anziché suggellare ha invece messo in ombra tutto
il resto, questione di bandiera su cui giocare la “partita della
vita”. Sbagliando tutto.
Era
davvero convinto (o qualcuno lo aveva convinto) di dover tenere il
punto fino in fondo: che ne andasse del suo prestigio e della sua
affidabilità internazionale (e, chissà, del suo futuro politico).
Ma quale era il punto? Non solo permettere alle imprese di licenziare
per motivi economici – principio già comunemente accettato – ma
sancire il diritto dell'imprenditore a non subire interferenze nelle
sue valutazioni economiche.
Può
darsi che sia un dogma della “dottrina Bocconi” (in salsa
Marchionne?): quando si tratta dell'azienda, dell'economia come la
vede un capitano d'industria, la legge deve fare un passo indietro.
Non si tratta però di una legge economica, è piuttosto una
posizione politica. Che dentro le mura della fabbrica, così come su
un transatlantico, il capitano non debba conoscere altra legge che il
suo volere, è lecito teorizzarlo, in un trattato (di economia
neo-liberista) o in un manifesto politico, ma lo decide una legge.
Per l'esattezza, quella “fondamentale”, la Carta Costituzionale.
Modello americano? Non posso spacciarmi per esperto di cose
americane, ma a occhio e croce direi che in quel sistema giuridico un
imprenditore ha forse più libertà di azione ma è certamente
inserito in un sistema di contrappesi perfino più severo. Quel che
conta è però che la “Carta fondamentale” a cui il Presidente
del Consiglio ha giurato fedeltà è quella della Repubblica
italiana.
“UN'IPOTESI
NORMATIVA CHE NON SUPEREREBBE IL PIU' ELEMENTARE DEGLI ESAMI DI
COSTITUZIONALITA'”
Qui
dunque il primo errore. Quell'idea, per dirla con le parole di un
eminente costituzionalista (Gianluigi Pellegrino) che scrive su un
quotidiano che è in prima fila tra i fan di Monti, configura “una
ipotesi normativa che per come progettata non
supererebbe il più elementare degli esami di costituzionalità”.
Non male, come
bocciatura, per un professore! Eppure la
differenza tra Italia e USA non poteva sfuggire. Oltre tutto,
lasciare al datore di lavoro la facoltà di “addurre” motivi
economici, NON provati, per evitare, senza che il giudice possa
entrare nel merito, ogni ipotesi di reintegro nel posto di lavoro,
oltre a violare la Costituzione, contraddice il principio che tutti
dicevano di voler salvaguardare: impedire i licenziamenti
discriminatori “indipendentemente dalla motivazione addotta”,
come recita la legge vigente (non il fatidico articolo 18, ma l'art.
3 della legge n. 108/1990).
LA
CGIL NON SI E' “AUTO-ESCLUSA” DALLA TRATTATIVA. UNA DELUSIONE PER
QUALCUNO? E IL PD NON SI E' DIVISO
Un
secondo errore è stato quello nei confronti della CGIL e del PD.
Contrariamente a quanto Monti, con ogni probabilità, supponeva
(ovvero, a quanto qualcuno gli aveva lasciato intendere) la CGIL è
entrata nella trattativa. Non solo. Ha raggiunto un accordo con CISL
e UIL e poi, dopo aver continuato caparbiamente a raccomandare di non
anteporre l'articolo 18 a tutto il resto, si è attestata sulla
posizione di accettare come percorribile un ammorbidimento delle
sanzioni per i licenziamenti non discriminatori, lasciando un margine
di discrezionalità tra reintegro e risarcimento (rimpinguato).
Non
era un segreto di stato. Erano comparsi su tutti i quotidiani gli
schemini riassuntivi delle posizioni dei sindacati e questa apertura,
questa dichiarazione di disponibilità era messa in evidenza. Può
darsi che non fosse gradita a chi si era messo in testa che la CGIL
si sarebbe fatta fuori da sola e che il PD avrebbe pagato un prezzo
altissimo in termini di divisioni profonde, se non di vero e proprio
smembramento. Ma quella era la situazione reale che si era
creata.
Invece
il professore, che a quel punto alza la posta e impone quel “plus”
all'americana,
quando viene accusato di aver cercato deliberatamente la rottura con
la CGIL risponde, in modo ben poco convincente, che “la CGIL è
stata ambigua, non si capiva se l'apertura era effettiva o solo una
finta, non lo ha mai detto con chiarezza”. Sorprendente vizio
logico, quanto meno ... A maggior ragione, se fosse stato vero, quale
migliore occasione per stanare finalmente la CGIL in tutta la sua
doppiezza e costringere il PD a scegliere se stare con gli onesti o
con i mestatori bugiardi?
SENZA
UNA “EXIT STRATEGY” UNA TRATTATIVA E' DESTINATA IN PARTENZA A
FALLIRE. “PRENDERE O LASCIARE” NON PAGA MAI
Terzo
errore, quello di non ripiegare ma di insistere. I compromessi con
tassisti, farmacisti, notai, banche, assicurazioni, petrolieri,
benzinai hanno trovato molta comprensione da parte degli italiani che
volevano far lavorare questo governo. Non si fa la rivoluzione in un
giorno.
Perché
allora, per una questione che è solo di bandiera, per un obiettivo
che la Confindustria sceglie a maggioranza di considerare secondario,
bocciando il candidato che quella bandiera aveva innalzato, per una
norma che non passerebbe un elementare esame di costituzionalità,
fare invece la voce grossa? Perché “si tratta su tutto ma non su
quello”? Perché far uscire all'esterno, per la prima volta, una
spaccatura verticale del Consiglio dei Ministri? I professori, si sa,
si mettono facilmente d'accordo quando si tratta di dare lezione agli
altri, ma non amano che qualcuno dia loro lezione, tanto più se
hanno il sospetto che in realtà li si pigli per fessi.
“GLI
ITALIANI NON SONO PRONTI”.
Infine,
quando appare evidente che questi errori non sono passati inosservati
e che ne è derivato un calo di consenso per la bellezza di venti
punti in una settimana, lascia un po' tutti di stucco scegliendo di
rovesciare il tavolo: “Non avete il diritto di bocciarmi, sono io
che boccio voi. Non siete pronti, ripassate a ottobre o vado a
insegnare da un'altra parte. Non mi meritate.”
Che
cosa ha portato un distinto professore molto padrone di sé e
abbastanza competente (gli manca un po' di diritto del lavoro e molto
diritto costituzionale, in economia è rimasto a testi un po'
superati, ma insomma …) a commettere una sequela di errori così
grossolani?
CHI
GLIELO HA FATTO FARE?
I
MERCATI?
POCHI
SONO DISPOSTI A CREDERLO
Chi
glielo ha fatto fare? Questa la domanda. La risposta, a mio modesto
avviso, è di una qualche importanza.
I
mercati? Entità impersonale. Fatta di investitori che non pensano in
modo uniforme. Valutano il “rischio paese”, le prospettive di
crescita di un'economia, per scommettere sul lungo periodo. Un paese
instabile, confuso, guidato da una politica inefficace, predatoria,
che alimenta l'illegalità, insomma, l'Italia di Berlusconi, attirava
scommesse “a perdere”. Una guida più sobria, attenta al bene
comune anziché all'interesse privato, appare meno a rischio (lo
spread risale). Ma se commette errori e perde consenso, si ha un bel
dire che “il Paese non mi merita”, è quello il Paese che sei
chiamato a guidare verso la rinascita.
Che
cosa dunque può contare di più per un investitore che scommette su
un rischio paese: un premier che dà garanzie di stare dalla parte
della finanza mondiale anche se perde consenso e scatena il caos? Ho
i miei dubbi.
Si
pensi al Brasile: la dottrina economica a cui si ispirano Lula e la
Rousseff sono agli antipodi rispetto a quella che si insegna alla
Bocconi. Ma il Brasile sta crescendo a una velocità impensabile per
il nostro paese. Quale finanziere scommetterebbe mai contro il
Brasile solo perché i Presidenti non sono “dei nostri”?
Domanderei
anche: come mai la “cura Marchionne” tanto decantata, ha un
grande successo nell'America di Obama (nella Chrysler, dove i
sindacati non solo dettano legge nelle trattative ma decidono nel
Consiglio di Amministrazione) mentre appare un fiasco colossale
(quote di mercato in picchiata) nell'Italia di Berlusconi e Monti
dove i sindacati si vogliono fuori dalla fabbrica e “a tappetino”
(nella Fiat, che l'unico nuovo modello in programma sceglie di
produrlo nella Serbia appena uscita dalla guerra civile, in attesa di
stabilire un sistema politico accettabile per l'ammissione nella
Unione Europea)?
CHI
GLIELO HA FATTO FARE?
L'EUROPA?
PER IL MODELLO USA, CONTRO QUELLO TEDESCO?
Non
i mercati, dunque. Lo spread risale per la caduta di consenso di
Monti. Perché dunque ha imboccato una strada che lo porta a perdere
consenso?
L'Europa?
I documenti europei, basta leggerli, non solo non impongono ma
neppure ipotizzano una libertà di licenziamento come quella
disegnata dalla riforma. In più, se è vero che oggi l'Europa è a
trazione tedesca e se il modello che Monti non ha voluto
applicare è proprio quello tedesco, preferendo “fare l'americano”,
è evidente che non ci si può appellare all'Europa.
CHI
GLIELO HA FATTO FARE?
ATTENZIONE
ALLA RISPOSTA!
E'
troppo affezionato alle sue idee? Può essere una risposta, ma
sarebbe un guaio se il Paese si fosse affidato a qualcuno con questo
non trascurabile difetto!
O
forse glielo hanno fatto fare? Il sospetto, lo confesso, mi sembra
legittimo. Ha fatto una certa impressione scoprire che il Professore
non era presente a raccogliere una citazione (presunta) di Obama a
Seul perché non poteva esimersi dal prendere una telefonata di un
certo Cicchitto che voleva essere rassicurato sulla riforma della
giustizia e, più in particolare, circa la possibilità di abrogare
la concussione (il reato per cui è sotto processo Berlusconi nella
vicenda Ruby). E certamente non porta bene a un capo del Governo
godere dell'appoggio incondizionato di un campione di fanatismo come
Giuliano Ferrara, come abbiamo scoperto in questi giorni. Quanto alla
sintonia con Marchionne, ne ho già accennato. Qualcuno vorrebbe
mettere in fila anche l'intervista patinata alla first lady su “Chi”,
organo ufficiale del berlusconismo d'assalto.
COME
ANDRA' A FINIRE?
Come
andrà a finire è difficile a dirsi. Può spuntare la exit strategy
e la onorevole ritirata che fin qui sembrava esclusa. Cambiano le
norme, si torna nell'alveo della Costituzione. Oppure, non mi sento
di escluderlo, finisce tutto addirittura nel dimenticatoio dopo le
amministrative. Tirare a campare torna ad essere una scelta nobile e
dignitosa, nelle lungaggini del dibattito parlamentare si rinvia
tutto a dopo le elezioni. Comunque sia, il danno di immagine e il
cambiamento di scenario politico è irreversibile.
Può
andare fino in fondo e la “catastrofe” (nel senso chimico-fisico,
la rottura di continuità) si accelera. Non mangiano il Panettone a
Palazzo Chigi.
Ognuna
di queste ipotesi rappresenta un cambiamento netto di scenario.
Vediamo.
COME
CAMBIA IL QUADRO POLITICO. GLI SCENAFRI DEL DOPO MONTI SEMBRANO
SEMPLIFICARSI ...
Proviamo
a metterla su un piano squisitamente politico, riprendendo un'analisi
di scenario su cui mi sono esercitato su questo stesso blog. Proviamo
a immaginare che la destra berlusconiana, non avendo più i numeri
per governare il paese e soffrendo non poco di astinenza da comando
(e da affari), abbia bisogno di tornare a sottomettere la destra
pulita, liberale e presentabile. Che Alfano da solo, passando
esclusivamente per i canali diplomatici verso Fini e Casini, dimostri
di non potercela fare. Quale strada migliore, così stando le cose,
di quella che passa direttamente per Monti, forte dei sondaggi e
dell'apprezzamento internazionale?
Purché
Monti accetti di creare un varco tra centristi e PD e di inserirsi in
quel varco per fare da leva.
Non
dico che il Professore abbia accettato di prestarsi a questo gioco e
abbia compiuto una scelta di campo. Ma qualche lusinga potrebbe aver
fatto breccia e la tentazione potrebbe aver fatto capolino.
Il
fatto è che a questo punto, una volta che si sia sbagliata la mossa
e ci si sia fatti cogliere in flagrante abbraccio con la destra
“impresentabile”, si può verificare come conseguenza quella di
togliere di mezzo dal novero delle alternative in campo quella della
“Grosse Koalition” (che nel precedente post consideravo poco
realistica ma comunque coltivata da più di un soggetto politico).
E
questa mi sembra, allo stato dei fatti, la prima vera vittima del
“pasticcio-dito nell'occhio” sull'articolo 18. Monti dopo Monti,
ABC dopo ABC, mi sembra un'ipotesi consegnata alla storia delle pie
illusioni che costellano immancabilmente l'evolversi del dibattito
politico.
Non
solo. Dal 24 marzo la data di scadenza del governo torna ad essere
incerta.
Sulla
confezione c'era indicata, sì, la primavera 2013. Ma, come accade
per le confezioni, una volta aperte vanno tenute in frigorifero. E si
consiglia di consumarle appena possibile.