martedì 24 aprile 2018

Lezioni politiche dall'Ohio d'Italia




Ora che il Molise non è più l’Ohio d’Italia si può provare a parlare seriamente del risultato delle elezioni.
Sia chiaro: il Molise non è mai stato davvero l’Ohio d’Italia. Semmai è proprio l’antitesi, le sue dinamiche politiche seguono logiche anomale rispetto alle tendenze nazionali, con specificità solo in parte assimilabili a quelle del Mezzogiorno. Ciò non toglie che possano fornire elementi di comprensione delle dinamiche nazionali, a patto di tenere conto delle particolarità.

Un dato tra tutti appare senz’altro coerente con il quadro nazionale ed è quello riguardante il PD. Che non è mai stato il primo partito alle elezioni politiche, pur avendo prevalso il centro-sinistra sia nel 2008 (sopravanzato però, nella coalizione, dall’IdV) che nel 2013 (lista più votata i Cinquestelle). Il picco percentuale lo ha raggiunto al Senato nel 2013 con il 23,. Nelle regionali che si sono svolte in contemporanea il centrosinistra ha superato il centrodestra di 20 punti e la sua lista è stata la più votata ma la percentuale si è fermata al 14,8%. Questo perché una delle maggiori particolarità della politica molisana, quando resta nel chiuso della regione, è proprio … il particolarismo, che si traduce in una polverizzazione dell’offerta politica in una miriade di liste attorno a singoli personaggi o gruppi di interesse.

Grazie a questa particolarità viene esaltato il peso delle coalizioni e quindi della capacità dei partiti principali di attrarre e aggregare attorno a sé. Il responso delle elezioni regionali del 22/4 per il PD da questo punto di vista è illuminante ed è disastroso. Non crolla solo la sua lista ma è l’intera coalizione a collassare appresso al PD. Peraltro il Movimento 5 stelle, che per la sua caratteristica di rifiutare qualunque coalizione paga un prezzo quando si vota a livello locale, nel passaggio tra il 2013 al 2018 pur scendendo di nuovo rispetto al voto politico riduce notevolmente il calo percentuale, con tutto che nel 2013 si votava nello stesso giorno (la scelta della maggioranza di allontanare il voto regionale da quello politico nasceva proprio dalla speranza di accentuare il disaccoppiamento).
Qui di seguito il confronto tra i voti di lista di PD e Cinquestelle.


Camera 2013
Regione 2013
Camera 2018
Regione 2018
P.    DEMOCRATICO
42.499
24.892
26.499
13.122
LISTA M5S
52.059
20.437
78.093
45.885
TOT. VOTI ESPRESSI
188.027
192.107
174.329
167.631

E qui di seguito il confronto tra le coalizioni


Camera 2013
Regione 2013
Camera 2018
Regione 2018
PD + COALIZIONE
54.191
85.881
31.629
28.820
CANDIDATO M5S
52.059
32.200
78.093
64.875
DESTRA
53.469
49.567
51.981
73.229
DX + RIALZATI MOLISE
63.849

TOT. VOTI ESPRESSI
188.027
192.107
174.329
167.631

In quest’ultima tabella è evidenziata un’altra tra le particolarità del Molise, l’estrema aleatorietà dei confini tra gli schieramenti politici. Nelle regionali del 2013 il gruppo di interessi (e di legami familiari) attorno all’imprenditore venafrano (costruzioni e sanità privata) eurodeputato di Forza Italia, Aldo Patriciello, aveva dato vita a una lista che si era posizionata all’interno della coalizione di centro-sinistra senza per questo rinnegare in alcun modo l’appartenenza politica alla destra. Lo stesso gruppo, con gli stessi candidati, si è presentato ora alle regionali con la coalizione di centro-destra, portandosi appresso (per così dire) grosso modo gli stessi voti.

Lette in questa luce, le attese che hanno accompagnato queste elezioni regionali rispetto al voto nazionale rivelano tutta la loro inconsistenza. Il solo confronto tra il voto politico e quello regionale, pressoché contemporanei ma così diversi, unito al confronto tra la tabella riferita alle liste e quella sulle coalizioni, ci dice che era completamente privo di senso aspettarsi lumi sulle tendenze post-voto in Italia dal risultato molisano. E così è stato, con grande regolarità nella sregolatezza.

Il rapporto tra Lega e Forza Italia? Il povero Salvini immaginava di farsi largo negli intrichi inestricabili degli interessi di gruppo, clan, campanile, palesi o occulti, dicibili o indicibili. La tabella seguente colloca nelle giuste dimensioni le sue ambizioni.


Camera 2013
Regione 2013
Camera 2018
Regione 2018
LEGA
343
0
15.129
11.956
PDL-FI
39.588
17.310
28.079
13.627
RIALZATI/ORGOGLIO M.
14.282
12.122
TOTALE VOTI ESPRESSI
188.027
192.107
174.329
167.631

Non che la Lega non si sia creato uno spazio. Ma la qualità della sua rappresentanza è esattamente la stessa delle altre componenti dello schieramento di centro-destra. Nel quale non hanno fatto passi avanti i partiti nazionali, ma si sono piuttosto aggregate attorno al candidato presidente, di destra, ben sette liste (una perfino attorno al nome di Michele Iorio, presidente dal 2001, sconfitto nel 2013 dal centrosinistra e ora incandidabile perché condannato in via definitiva, emulo in tutto e per tutto del suo leader Berlusconi).

Salvini ha, sì, “lavorato bene”, circondandosi di dignitari e “referenti” locali con una qualche presa elettorale, ma non è riuscito ancora ad eguagliare il risultato di una lista come “Orgoglio Molise” (il nuovo nome della “lista Patriciello”).

La tenuta dei Cinquestelle? Per il loro candidato aver riportato più o meno la stessa percentuale che aveva premiato la lista alle politiche (guidata dal consigliere regionale uscente), passando dal 41% al 38%, quando nel 2013 la perdita era stata di 11 punti su 27, non è certo un risultato da disprezzare. Si conferma abbondantemente il primo partito e dimostra una tenuta che il Movimento 5S delle origini non si sognava. Un’altra aria tirerà in Friuli, c’è da giurarci, ma questo è un altro discorso e altre saranno le chiavi di lettura da adottare per quel voto.
Un’ultima considerazione la merita la sinistra. La sua parabola è riassunta qui di seguito:


Camera 2013
Regione 2013
Camera 2018
Regione 2018
P.    DEMOCRATICO
42.499
24.892
26.499
13.122
SX IN COALIZ. CON PD 
10.428
13.676
0
11.476
SINISTRA
6.436
3.272
6.483
0

TOT. VOTI ESPRESSI
188.027
192.107
174.329
167.631


Per spiegare meglio l’accaduto, serve sapere che il Presidente uscente, contestato da sinistra e in vistoso calo di consensi a destra (come il voto ha poi confermato) all’ultimo momento ha deciso saggiamente di farsi da parte. Il partito è però rimasto saldamente nelle mani del gruppo (“renziano” secondo la geografia nazionale) che aveva gestito con lui la giunta e il partito stesso in questi cinque anni. Il risultato in termini di preferenze ci dice che il simbolo è ancora di loro “proprietà”, dell’assessore più influente e della segretaria regionale.

Con la rinuncia del Presidente uscente per il gruppo dirigente si è aperta la prospettiva di coalizzarsi a sinistra. Un po’ perché la destra era tornata nei ranghi, un po’ perché la sinistra (LeU e PaP) era uscita malconcia dal voto politico, il grande abbraccio a sinistra è sembrato la soluzione meno rischiosa, perfino per chi aveva visto in Renzi il traino per un radioso futuro e aveva giocato le sue carte sulla campagna referendaria per il SI. Campagna sul cui ricordo la sinistra che si era spesa per il NO, ottenendo un risultato perfino superiore (di un soffio) alla media nazionale, aveva preferito soprassedere. In nome del ritorno al passato contro la destra del passato. E contro i Cinquestelle.

Che dal passato hanno invece preso le distanze guadagnandosi una solida credibilità in questo senso. Hanno mancato la prova del governo in quella che sarebbe stata la prima regione a loro affidata e dunque la loro storia è ancora da scrivere e le loro contraddizioni e ambiguità sono ancora da sciogliere. Ma si ritrovano ormai ad aver quasi monopolizzato la speranza di cambiamento che sale dai giovani e da chi sta pagando più pesantemente il prezzo della crisi.

Il ritorno al passato non ha pagato a sinistra: non ha reso l’avventura renziana più credibile (o più digeribile) e non ha certo risollevato, ma ulteriormente depresso, rispetto alle regionali 2013, il consenso per la sinistra riscopertasi “unitaria”. Non che mancassero gli elementi di rinnovamento da valorizzare, nelle amministrazioni locali così come nelle campagne civili (in primis nel referendum e nella difesa del lavoro e dell’ambiente). Ma il Molise è una regione invecchiata, è sempre meno una terra per giovani e i giovani, tra la terra e il futuro, scelgono sempre più il futuro, fuori dalla loro terra, che diventa così sempre più povera. 
La regione ha bisogno di loro ma ancora non se ne rende conto. Proprio come la sinistra.