martedì 8 aprile 2014

C'era una volta il Jobs Act...

Ricordate, all’inizio dell’anno, l’annuncio di Matteo Renzi sul JOBS act? “Ci stiamo lavorando, sarà presto legge”. Ne anticipava il contenuto in un documento che definiva “aperto, politico, che diventerà entro un mese un vero e proprio documento tecnico, con l’obiettivo di creare posti di lavoro, rendendo semplice il sistema, incentivando voglia di investire dei nostri imprenditori, attraendo capitali stranieri”.
Ora il disegno di legge è depositato. Lasciamo perdere alcuni impegni sul metodo (“sarà inviato ai circoli, agli addetti ai lavori per chiedere osservazioni, critiche, integrazioni”, “lo discuteremo nella direzione del PD del 16 gennaio”, che non si è mai tenuta) e sui tempi (“un nuovo codice del lavoro entro otto mesi”): non si deve mai impiccare un politico alle sue parole, neanche quando ne fa un uso, diciamo così, un po’ smodato. Si tratta di una legge delega, passeranno circa nove mesi dalla sua approvazione in Parlamento prima che la legge vera e propria, “concreta”, operativa”, sia in Gazzetta Ufficiale: primavera-estate 2015. Andiamo però al sodo e esaminiamo il contenuto della legge alla luce di quel documento, che cosa rimane, che cosa è coerente e cosa non lo è.
Il documento era diviso in tre parti: azioni di sistema (per semplificare), politiche di settore (per creare posti di lavoro), interventi sulle regole (non è detto esplicitamente ma il fine sembra quello di rendere attraente l'investimento, in particolare per gli stranieri).

La prima parte, quella che riguarda il SISTEMA prevedeva una serie di azioni (8) di cui 6 non sono ancora messe in cantiere, mentre quelle per ridurre il cuneo fiscale (80 euro in busta paga per i lavoratori e riduzione IRAP per le imprese) saranno oggetto del prossimo DEF
1
Energia: -10% costo per le aziende
-
2
Tasse: - 10% IRAP per le aziende
-> DEF
3
Revisione spesa: ogni risparmio a -fisco x lavoratori
-> DEF
4
Agenda digitale: fatturazione e pagamenti elettronici
-
5
Camere di Commercio: via obbligo di iscrizione
-
6
Dirigenti pubblici: no tempo indeterminato
-
7
Burocrazia: semplificazione amministrativa
-
8
Obbligo di trasparenza: PP.AA., partiti, sindacati
-

La seconda parte, riguardante i NUOVI POSTI DI LAVORO annunciava a breve la stesura di un piano industriale, con indicazione di azioni operative concrete. per creare posti di lavoro nei settori indicati in tabella. Per ora non se ne parla.
1Cultura, turismo, agricoltura e cibo-
2Made in Italy-
3
ICT 
-
4
Green Economy 
-
5
Nuovo Welfare 
-
6Edilizia -
7Manifattura-

La terza parte, riguardante le REGOLE, è quella di cui si occupa ora il Jobsact. Teniamo presente che la premessa del documento di partenza era che “non sono i provvedimenti di legge che creano lavoro, ma gli imprenditori”

1Semplificazione delle norme: entro otto mesi codice del lavoro che racchiuda e semplifichi tutte le regole attuali, ben comprensibile anche all’estero
→ art. 3
- semplificazione procedure (specie se oggetto di contenzioso), dimezzare atti di gestione x medesimo rapporto di lavoro, unificare comunicazioni (in via telematica)
2Riduzione delle forme contrattuali, oltre 40, spezzatino insostenibile. Processo verso contratto di inserimento a tempo indeterminato a tutele crescenti
→ art. 4
- individuare, analizzare forme contrattuali in vigore per (eventuale) semplificazione (delle medesime) in testo organico (anche) per introduzione (eventuale, sperimentale) di (ulteriori) tipologie rivolte all’inserimento nel lavoro, con tutele crescenti
- estensione lavoro accessorio (voucher)
3Assegno universale per chi perde il lavoro, anche chi oggi non ne ha, con obbligo di formazione e di non rifiutare più di una proposta di lavoro.
→ art. 1
- CIG: no in caso di cessazione; riduzione orario prioritaria, semplificazione procedure, compartecipazione imprese utilizzatrici
- disoccupazione: unica x ordinaria e breve, aumento durata max, estensione a cococo, massimali x contribuz. figurativa, sussidio a bassi redditi (ISEE) senza contributi    figurativi disoccupazione non vale più x accesso welfare
- per tutti, coinvolgimento beneficiari in attività locali(non enti ma comunità)
4Obbligo rendicontazione online per agenzie formazione finanziate dal pubblico, valutazione e cancellazione in caso di mancato rispetto standard- NO
5Agenzia Unica Federale che coordini e indirizzi centri per l’impiego, formazione, erogazione degli ammortizzatori sociali.
→ art. 2
- razionalizzazione incentivi
- Agenzia Unica (servizi impiego, politiche attive,AspI) senza oneri, con parti sociali x indirizzi, valorizzazione del sistema informativo, utilizzo tecnologie informatiche
- rafforzamento monitoraggio/ valutazione
6Legge su rappresentatività sindacale e presenza dei rappresentanti dei lavoratori in CDA grandi aziende. - NO
-ex novo
eventuale, sperimentale, introduzione del compenso orario minimo per lavoro subordinato, consultando parti sociali
occupazione femminile: indennità maternità a tutte le categorie (graduale), garanzia per parasubordinate anche se non versati contributi, tax credit, incentivazione accordi su orari flessibili e conciliazione, promozione utilizzo ottimale servizi per l’infanzia, revisione congedi (+ flessibilità) per conciliare vita/lavoro, estensione se compatibili (senza maggiori oneri) ai dipendenti pubblici
Tiriamo, sinteticamente, qualche somma (algebrica).
Sistema. C'è ancora poco. La parte demandata al DEF è però significativa, sia per i tagli (se vanno contro le corporazioni e le rendite) che per la destinazione (riduzione del cuneo fiscale con destinazione principale ai redditi da lavoro). Andrà giudicata, nei prossimi giorni, in base ai testi e all'andamento dell'iter parlamentare. Sull'obbligo di trasparenza per PP.AA., partiti, sindacati il silenzio non trova giustificazioni.
Piano industriale per i settori. La mancanza è eclatante, segno di una difficoltà che va fatta risalire all'intero impianto concettuale. L'appello alla “voglia di buttarsi, di investire, di innovare” degli imprenditori nasconde un'idea che è parente stretta di quella secondo cui “la concertazione si fa con le famiglie” (piuttosto che con i sindacati e le associazioni padronali), insieme a quell'altra che esalta la figura del sindaco come delegato al “problem solving” dalle comunità locali, che da solo le interpreta e le riassume.
Predisporre piani industriali chiavi in mano, da fornire all'imprenditore eroico, ammesso che sia possibile, è inutile. Pensare che ciò basti per indurlo a investire sull'innovazione e sull'inventiva e raggiungere così un'elevata competitività basata sull'originalità e l'appetibilità dei prodotti e l'efficacia e la razionalità dei processi, è semplicemente sbagliato, illusorio (e, diciamolo pure, di destra). A parte il fatto che occorrerebbe quanto meno assicurare, in aggiunta, sblocco del credito e sburocratizzazione, il punto chiave è che le storie di successo reali, quelle che sono andate avanti e si sono imposte al mondo, senza piani industriali costruiti a tavolino da esperti di palazzo (e senza denaro facile procurato dagli affaristi incistati nel sistema politico), piantano salde radici nella comunità. Se il Giappone si è fatto ammirare per la capacità di incorporare sapere dei produttori nei prodotti (il “toyotismo”), l'Italia è (stata) studiata dal mondo intero per la capacità di valorizzare il capitale sociale (e per i confronti interni che mettono in evidenza quanto pesi, negativamente, il “familismo amorale”, il corporativismo, l'individualismo, la criminalità “territoriale” mafiosa). E' un tema che meriterebbe tutt'altra attenzione da un leader della sinistra1 mentre viene piuttosto rilanciato dagli imprenditori, che ne fanno oggetto di rapporti e convegni2 (si parla dei loro “ufficio studi”, ma è pur sempre indicativo).
Non è dunque un caso, venendo al capitolo delle regole, se le due dimenticanze riguardano proprio le organizzazioni di rappresentanza. Respinti sull'uscio, escluso qualunque processo di “co-decisione” con gli apparati burocratici centrali di quelle associazioni, trovano tuttavia allettanti contropartite (specie quelle di matrice cattolica). Viene archiviata la regolamentazione della loro rappresentatività (“non è una priorità”). Si dimentica del tutto il proposito di far sentire il fiato sul collo alle agenzie formative, loro emanazione. Proprio mentre il renziano “più votato di Italia alle parlamentarie” viene arrestato a Messina per i reati commessi in questo campo. Quanto all'obbligo di trasparenza (vedi sopra), l'attuazione della Costituzione per sindacati e partiti (artt. 39 e 49), dopo una settantina d'anni può pazientare ancora un po'.
Non riuscire a stabilire il confine tra corporativismo e coesione sociale (che del primo è, semmai, l'antidoto più potente), ovvero tra familismo e senso civico, è grave perché impedisce una lettura adeguata delle origini della crisi, del persistente deficit di sviluppo della società italiana, dei profondi divari territoriali, e condanna dunque a perpetuare le cause di fondo di questi mali. Se è vero che non sono le leggi che creano lavoro ma la capacità delle persone, non si deve però perdere di vista la dimensione degli individui associati, pena la rinuncia a molto del contributo - foss'anche poco – che le leggi possono dare a chi avrebbe “voglia di buttarsi” per creare occupazione.
L'altro aspetto, dell'impianto concettuale, che deve preoccupare è quello che emerge con evidenza lungo tutto il capitolo delle regole, riguardante la precarietà e la qualità del lavoro. Se ne era avuta una anticipazione con il decreto Poletti3. L'idea è che semplificare e rendere attraente l'investimento e la creazione di posti di lavoro significhi consentire l'elusione dei vincoli elementari di un rapporto di lavoro. Pagare meno del minimo vitale (non ci vuole molta fantasia a immaginare che il ventilato salario orario minimo sarà inferiore ai minimi contrattuali già in vigore e che non andrà oltre i confini del lavoro subordinato lasciando immutato il far west retributivo dell'area dell'atipicità), togliere qualunque stabilità, abolire ogni genere di garanzia per il futuro, rendere così ricattabili i lavoratori e insindacabile il potere dispositivo del padrone (termine che tornerebbe di grande attualità), non rende più competitive le imprese. Consente loro di restare sul mercato anche se non sono competitive, e si somma alla tolleranza per il lavoro nero, al proliferare di norme pro-elusione, all'inefficacia della lotta all'evasione (fenomeni su cui si innesta e prospera la corruzione negli apparati di controllo).
La delusione rispetto alle premesse (e alle promesse) di gennaio per questi aspetti è cocente. Lo “spezzatino insostenibile” delle forme contrattuali via via introdotte viene timidamente “individuato e analizzato”, per semplificare quelle medesime forme, non per abrogarle o renderle più civili (che significa spesso “meno semplici”). Anzi, dopo aver liberalizzato il tempo determinato a scapito di tutte le altre forme più stabili (il tempo indeterminato) o più costose (la somministrazione) o più formative (l'apprendistato, posto che non vada in porto il tentativo di sgravarlo dagli obblighi formativi), si amplia anche il ricorso ai voucher, lavoro accessorio per lavoratori resi accessori essi stessi. Il tanto sbandierato (nei dintorni delle primarie) “contratto unico a tutele crescenti” evapora in una “eventuale sperimentazione” aggiungendosi come quarantunesima tipologia (altro che unico). Non è difficile immaginare l'imbarazzo dell'imprenditore a caccia della soluzione che permette di tagliare di più sui compensi ai lavoratori: ricorrerà a consulenti ben pagati che sapranno garantirgli che la scelta non abbia alternative, nel ricco menù a disposizione, ancora più vantaggiose
Quanto agli ammortizzatori sociali, una “manutenzione conservativa” della riforma Fornero lascia immutati, e irrisolti, tutti i problemi aperti, per l'immediato (vedi esodati, o universalità effettiva e definitiva dei regimi) e per il futuro (contrazione progressiva delle prestazioni per i pensionati di domani e condanna all'impoverimento per l'esercito attuale dei discontinui).
Infine, una nuova tecnostruttura per le politiche attive. L'idea, non nuova, sarebbe buona. A costo zero, però, è ridicola. Che vada coperta da risparmi di spesa in altri campi è un conto (tutta la manovra dovrà esserlo), che non comporti maggiori costi specifici è impensabile. Tanto più se si insiste a strizzare l'occhio, adombrando una “valorizzazione del sistema informativo”, ai colossi informatici che hanno fatto affari d'oro con i mega-progetti per l'incontro domanda-offerta di lavoro, sistematicamente falliti uno dopo l'altro dal 2001 in poi.
Tutto da bocciare? Per carità, la conciliazione vita/lavoro o la tutela della maternità sono segnali importanti. La semplificazione normativa in funzione della riduzione del contenzioso (se non si spostano gli equilibri a danno del lavoro) è sempre benvenuta. Il fatto però, detto in poche parole, è che il verso in cui si procede non è quello giusto. Non solo non è cambiato ma si è accentuato quello inaugurato dal centro-destra nel 2001. La svolta buona sembra ancora lontana. Anzi, più lontana.
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2Vedi gli atti del recente convegno di Bari del Centro Studi Confindustria, “PEOPLE FIRST Il capitale sociale e umano: la forza del Paese”http://www.confindustria.it/studiric.nsf/e5e343e6b316e614412565c5004180c2/473a76b2f5896fe9c1257cac0054e835/$FILE/Biennale%20CSC%202014.pdf