sabato 15 febbraio 2014

16 febbraio. Appello al voto, per riprenderci il PD

Esiste un popolo del PD. Non è una figura retorica.
Mezzo milione di iscritti. Per una parte non insignificante, attivi.
Circa tre milioni di simpatizzanti che votano alle primarie. E una base elettorale da tre a quattro volte più grande.

Quanto conta questo popolo?
Quelli che hanno votato, meno di un anno fa, per una prospettiva di cambiamento, per un governo con una impronta democratica, di sinistra, ispirato ai valori della Costituzione uscita dalla Resistenza, sono stati traditi. Hanno visto i loro eletti giustificare con uno stato di necessità, conseguenza della mancata vittoria, il ritorno a un governo di ampia coalizione con la peggiore destra per continuare sulla stessa strada che, dopo la caduta di Berlusconi, si era già rivelata fallimentare con l'esperienza Monti.
Il governo Letta non avrebbe potuto fare di più. Ma era stato promesso che si sarebbe occupato di espletare le pratiche urgenti in materia economica, fino alla Legge di Stabilità, e di modificare la legge elettorale, destinata con ogni evidenza ad essere dichiarata incostituzionale.

Sono stati traditi una seconda volta. Quel governo ha dato l'idea di voler resistere a oltranza, dopo aver assolto nel peggiore dei modi (abolizione dell'IMU e altri pasticci in serie) alle incombenze economico-finanziarie, senza decidersi a porre mano alla riforma elettorale.
Intanto, quando Berlusconi si è visto costretto, come minore dei mali dal suo punto di vista, a scegliere la via dell'uscita della maggioranza per prepararsi a una rivincita elettorale, questa novità, anziché essere vista per quello che era - un'ulteriore erosione della base di consenso del “governo di necessità” -, è stata salutata come la svolta storica che avrebbe permesso alla destra italiana di emanciparsi dal berlusconismo. Con questo, in dispregio sfacciato della realtà dei fatti, si intendeva far balenare l'idea che la maggioranza stesse acquistando una valenza politica tale da permettere di uscire dallo stato di necessità.

A quel punto, quei tre milioni che sono andati a votare alle primarie si sono espressi, in maggioranza schiacciante, per una nuova leadership che prometteva di imporre al Parlamento, senza mettere in crisi il governo, di modificare la legge elettorale per portare, appena concluso il semestre di presidenza europea (un tabù caro al Capo dello Stato), a nuove elezioni che avrebbero restituito la parola ai cittadini perché scegliessero finalmente lo schieramento cui affidare le sorti del Paese.

Sono stati traditi di nuovo. Il leader stra-votato in nome di questi impegni solenni è stato sospinto, dallo stesso gruppo dirigente del partito che aveva gestito tutte le precedenti sconfitte e che aveva pervicacemente tradito i suoi elettori, a imporsi come nuovo premier, senza passare per il vaglio delle elezioni, per tenere in piedi la stessa maggioranza, lo stesso Parlamento, lo stesso blocco di interessi che in questi anni di crisi aveva prosperato sulle spalle degli italiani, a spese degli strati più deboli che la politica aveva lasciato privi di ogni sostegno.

Non solo. Prendendo la via di Palazzo Chigi non lascia la segreteria del partito e sceglie di abbandonarlo a se stesso, senza guida. Ancora un tradimento, ancora una beffa, ancora una dimostrazione di indifferenza per le persone che lo compongono e lo animano. Per coloro da cui proviene il mandato.
Questo accade, mentre si celebrano stancamente, come un rito inutile, i congressi regionali. Da cui sta emergendo il quadro di un partito coacervo di interessi, aggregato informe di comitati elettorali in perenne contesa per le poltrone.

Quousque tandem, dicono gli amanti del classico. Fino a quando questo popolo potrà accettare passivamente di essere tradito, beffato, umiliato, sfruttato?
Non è una domanda retorica ma un programma politico. Ora, senza perdere un minuto di più, è il momento di riappropriarsi del proprio strumento politico. Non un altro, non uno qualsiasi, ma quello che è stato faticosamente costruito nei 25 anni che ci separano dalla fine della guerra fredda come luogo di associazione dei cittadini che si ispirano ai valori della sinistra democratica e sognano di veder realizzare un progetto politico mirato all'uguaglianza dei diritti, alla legalità come base della convivenza civile, alla sostenibilità.
Quello è oggi il contenitore, l'aggregato cui quel popolo continua a guardare e in cui continua, tenacemente, a riporre le speranze.
Riappropriarsi. Significa aprire le sedi per partecipare e farsi sentire. Significa utilizzare tutti i mezzi di espressione e di comunicazione per diffondere la propria voce. Significa organizzarsi per imporre, con tutti gli strumenti democratici che in un partito e nelle varie sedi istituzionali sono disponibili, un cambio di rotta radicale che riporti la politica nel solco delle scelte condivise da quel popolo. Che è sovrano e intende dimostrare di esserlo non solo nei libri di teoria ma nei fatti.

C'è una prima occasione per fare tutto questo. Andare a votare, ancora una volta, domenica 16 febbraio, negli stessi luoghi dove si è votato l'8 dicembre, per scegliere i segretari regionali e le assemblee regionali del PD:
In queste regioni, tra quelle dove si vota, c'è un candidato che è espressione della parte che ha difeso con coerenza le ragioni del popolo PD, fino al voto contrario nella direzione del 13 febbraio, l'area raccolta intorno al candidato alla segreteria nazionale Pippo Civati:

Piemonte – Daniele Viotti
Lombardia – Diana De Marchi
Liguria – Stefano Gaggero
Umbria – Juri Cerasini
Marche – Luca Fioretti
Lazio – Marco Guglielmo
Calabria – Mimmo Lo Polito
Sicilia – Antonella Monastra

In queste altre, pur non essendoci un candidato segretario di area Civati, vi sono tuttavia aderenti alla mozione nelle liste dei seguenti candidati a segretario:

Bolzano – Liliana Di Fede
Campania – Michele Grimaldi
Molise – Micaela Fanelli


Non rassegnatevi. Non buttate via questa occasione. Il PD è il nostro partito, ce ne riapproprieremo.