A giudicare da quello di
cui si sta discutendo in questi giorni, e da quello di cui si tace,
il congresso del PD comincia sotto pessimi auspici.
Si discute solo di Renzi.
Si scopre, che novità!, che nutre l’ambizione di guidare il
governo del Paese. Si insinua che sceglie le regole in base alla
convenienza: dopo aver fatto fuoco e fiamme per contrapporsi al
segretario del partito, con tanto di deroga allo statuto, nelle
primarie di coalizione, ora vorrebbe tornare alla figura unica.
Certo, Renzi pone le
questioni attraverso la stampa tedesca e evita di argomentarle, come
è nel suo stile. Ma i suoi interlocutori si guardano bene
dall’affrontarle nel merito. Insomma, l’incarico di segretario
sarà incompatibile con la candidatura a premier?
Perché c'è chi lo
sostiene, ribaltando a 180 gradi l'impostazione originaria su cui è
stato fondato il PD. Non è scandaloso, ma gli argomenti lasciano un
po' a desiderare. “E’ il segno di un’ambizione sfrenata!”
Come quella, dunque, di un Veltroni o di un Bersani. “Il partito è
così mal ridotto che serve qualcuno che ci si dedichi a tempo pieno”
(come se Veltroni, Franceschini e Bersani lo avessero fatto a tempo
perso).
In effetti, se si tratta
di questo, e di questi argomenti, basta e avanza il puro e semplice
buon senso, il richiamo all'ovvio in cui è maestro D'Alema, non a
caso pronto a dire la sua. Resterà lo statuto vigente con la deroga
introdotta per Renzi. Chi avrà i numeri per farlo, potrà candidarsi
alla guida della coalizione anche se non è il segretario. Ma sarebbe
bizzarro fissare per statuto una norma che faccia divieto al
segretario nazionale, unico tra tutti i tesserati, di candidarsi alle
primarie di coalizione per la presidenza del consiglio.
Insomma, una discussione
attorno al niente, utile solo a evitare che si discuta in modo aperto
della durata di questo governo e del come superarlo (visto che non è
quello che il suo stesso premier vorrebbe …), dei tempi del
congresso (in funzione del rilancio e della ricostruzione del partito
o delle esigenze del governo) e, perché no, del dualismo
Letta-Renzi.
Intanto la questione di
cui si dovrebbe discutere, quella che Fabrizio Barca ha sollevato con
dovizia di argomenti nel suo documento sul “Partito nuovo”, il
tema cruciale del rapporto tra partito e istituzioni, sembra cassata
dall'ordine del giorno. Sulla necessità di stabilire una chiara
divisione di ruoli, sulla doppia degenerazione – l’occupazione
delle istituzioni da parte dei partiti e la riduzione del loro ruolo
a pure “infrastrutture di servizio” delle istituzioni – si
stende una cortina di silenzio.
Il Molise insegna, ha
addirittura fatto scuola. Per tutto ciò che odora di politica,
quella vera, gli ordini di scuderia sono chiari: “alla larga!”. E
quanto alla partecipazione, non c'è nemmeno bisogno di caminetti:
basta qualche telefonata. Nei momenti topici, una nottata intorno a
un tavolo. E, alle prime luci dell'alba, un comunicato.