domenica 28 aprile 2013

Le elezioni molisane rilette alla luce dei fatti politici nazionali. Appendice alle considerazioni finali.


Mi sono deciso a tornare sulle considerazioni finali di questo blog. Ero stato esortato da qualche amico, che ha avuto la costanza di seguire nel tempo i miei post, perché non mi astenessi da un bilancio. Ma più che altro mi sono convinto ritenendo che ora sia possibile una lettura più completa e più argomentata delle elezioni regionali molisane alla luce dei fatti che sono accaduti nelle ultime settimane nella politica nazionale, in particolare il terremoto nel PD. Forse una riflessione sul microcosmo molisano, sulle zone d'ombra e le tare emerse nella campagna per la Regione, può aiutare a diagnosticare con maggiore chiarezza il male – apparentemente oscuro – che affligge il PD e la politica nazionale. Le stesse dinamiche si ritrovano infatti anche lì, ampliate di scala e con conseguenze, ahimè, assai più gravi.


Qualche parola, in premessa, sul Presidente eletto. Per dire che sono convinto, come lo ero due anni fa quando l'ho conosciuto per la prima volta, che Paolo Di Laura Frattura abbia, oltre ad un solido orientamento per i valori costituzionali e per la cultura della solidarietà (che distingue la sinistra), tutte le qualità morali e caratteriali per operare bene al servizio dei molisani, nonostante la sua scarsa dimestichezza con la politica “professionale”. E' un tratto che può sorprendere considerata la discendenza paterna (ma ha preferito coltivare un proprio percorso culturale e di vita che lo ha portato ad essere soprattutto un imprenditore) e comunque non è di per sé un demerito nella la posizione che riveste. Personalmente non solo non mi sento di criticarlo, ma penso possa risultare perfino un titolo di merito. Credo che molti elettori l'abbiano colto come un dato positivo, che ha giovato alla sua affidabilità e lo ha collocato sul versante della novità e del cambiamento, a cui i molisani in grande maggioranza aspiravano. E dirò, per inciso, che l'errore più grave commesso da Massimo Romano, per lui stesso letale, mi sembra sia stato proprio quello che, anziché indirizzare le critiche verso le dinamiche prodotte dai politici professionali, le abbia invece concentrate, con un veto sulla persona, sul candidato Presidente, che agli elettori appariva quello che meno le meritava.
Questo tratto è pur vero che potrà rappresentare un handicap ogni qualvolta si porranno scelte di natura squisitamente politica: un Presidente di Regione riveste tuttavia un ruolo istituzionale rispetto al quale la politica dovrebbe avere, nella fisiologia delle relazioni, un ruolo ancillare. Solo quando prevalgono fenomeni “patologici” di sconfinamento dei partiti (“catoblepismo”, direbbe Barca) come malauguratamente è già accaduto, viene chiamato a un ruolo politico, che non gli compete e non gli si attaglia, e l'esito si fa incerto. Non posso che augurarmi, per il bene non solo suo ma dei molisani in genere, che ciò non avvenga.


Passando al bilancio politico delle elezioni e più in particolare del ruolo che vi ha svolto il PD, il cuore del problema della crisi della politica in Molise come in Italia, potrei partire dalle critiche che ho già avuto modo di esprimere sulla conduzione della partita-regionali da parte del vertice del PD (Ruta-Leva) nel periodo tra l'ufficializzazione della candidatura Frattura e la presentazione delle liste. Se riavvolgiamo il film, occorre però partire da due mesi prima, dal momento del definitivo annullamento delle elezioni del 2011.
Sul momento era sembrato si potesse sorvolare su quella fase, dato il “lieto fine”, ma ora se ne coglie meglio la gravità, che impone di pronunciarsi con chiarezza. Ricordiamo i fatti: è stata rinviata di due mesi la riconferma del candidato che aveva stravinto le primarie un anno prima, per tessere una lunga, estenuante trattativa, tenuta rigorosamente nascosta non solo all'opinione pubblica ma al gruppo dirigente del PD e agli alleati del 2011. L'idea era di offrire la candidatura a Massimo Romano attorno a un'ipotesi di convergenza con l'UDC e di rottura con il fronte sinistro dello schieramento. Il ritorno (o ripiego?) su Frattura si è imposto quando quell'ipotesi si è rivelata impercorribile, non perché respinta dal PD stesso (i cui organismi non erano stati neppure informati), ma per indisponibilità degli interlocutori. Ebbene, a che cosa assomiglia questa vicenda se non alle trame oscure che hanno portato ad impallinare il Presidente fondatore del Partito Democratico, l'unico che aveva sconfitto per ben due volte Berlusconi davanti al corpo elettorale?
Non è andata a finire così, non è stato impallinato Frattura (forse gli interlocutori molisani a differenza di quelli nazionali non hanno valutato appieno le chance offerte) ma l'esito poteva essere non molto dissimile da quello verso cui ci sta portando l'opposizione sorda e “immorale” a Bersani (e a Prodi) in nome di un'intesa di regime con il PDL.

A livello nazionale, il rischio concreto paventato da molti al momento della nascita del governo Letta, è che si apra un'autostrada di fronte a Berlusconi, che concepisce la politica come una campagna elettorale permanente. Resuscitato dal voto per il Quirinale, può aspirare ad essere eletto Presidente della Repubblica da un Parlamento scaturito da una nuova, probabile, tornata elettorale in cui sente di poter vincere a mani basse. Analogamente, se il disegno di Leva e Ruta fosse andato in porto, con l'inevitabile rottura a sinistra (che ne era parte integrante), avrebbe riportato al centro della scena Iorio permettendogli un terzo mandato pieno. E' pur vero che Frattura avrebbe potuto tener duro sulla sua candidatura come alternativa, con qualche speranza di vittoria, ma ovviamente si sarebbe trattato di una mossa ad alto rischio.
Che partito è quello (parlo del PD molisano) in cui un segretario può chiedere un mandato per confermare lo schieramento dell'anno precedente (“allargando al centro”, si intende) e poi gestirlo, senza alcun rapporto né con la “base” né con l'insieme del gruppo dirigente, per rompere a sinistra e cercare un'intesa funzionale solo a garantire comodi posti di opposizione in una Regione riconsegnata alla destra (e un lasciapassare per il Parlamento)? Su quali obiettivi, su quale visione della società molisana, poggiava quel disegno? In quali valori, politici ma prima ancora etici, affonda le radici quel gruppo dirigente? Negli stessi valori, credo, in cui affonda le radici l'apparato, inquadrato in cordate, che, trasferito attraverso le Primarie di Capodanno in Parlamento, ha negato il voto al candidato acclamato poche ore prima in un un pubblico teatro.
E' un caso che ben tre dei quattro parlamentari molisani (a eccezione della Venittelli) abbia evitato di pronunciare una condanna chiara e inequivocabile del comportamento di quelli che Bersani stesso ha definito “traditori”? Piuttosto, sulla sua bacheca FB Totaro si guarda bene dal prendere le distanze da chi definisce il voto a Prodi come un'inaccettabile imposizione.
Quel disegno è andato avanti anche dopo la candidatura di Frattura ed è solo così che si spiega l'accordo notturno (la luce del sole nuoce evidentemente alle capacità di manovra politica dei vertici del PD molisano) per l'alleanza con Udeur e con Rialzati Molise. Non ci sarebbe stata, è evidente, nessuna controindicazione se fosse stato condiviso con gli alleati, valutato con il gruppo dirigente e, soprattutto, poggiato su solide intese programmatiche: non abiure, inutili da chi aveva abbandonato Iorio, ma chiarezza sui punti del programma di centro-sinistra su cui vi fossero riserve e su eventuali ulteriori proposte. Questa, la carta di intenti da firmare, non imbarazzanti papielli, da affidare al notaio, sulle poltrone: invece, si continuava nel solco dei due mesi precedenti.
Di nuovo, che partito era mai quello? Con quali valori e quale cultura si presentava agli elettori? Come non vedere le sconsolanti analogie con il modo in cui il vertice nazionale del PD si è presentato ai suoi elettori in campagna elettorale? Mai qualche proposta trainante, emblematica, per far capire verso quali lidi si intendeva portare il Paese ma solo il “ragazzi lasciateci lavorare”, “fidatevi di noi”. Per non dire della mancata scelta di campo, per finire nella scelta opposta a quella dichiarata agli elettori. Fino all'ultimo, nella formazione del governo, senza far capire ai cittadini quali fossero i punti prioritari del programma, su cui si sarebbe misurata la fattibilità di un'intesa, mentre Berlusconi poneva condizioni, di persone e di misure irrinunciabili (IMU e giustizia).

Ebbene sì, il Molise è stato anticipatore e rivelatore di quello che sarebbe accaduto nel Paese. Nel piccolo, ma con maggiore chiarezza ed evidenza, ha portato alla luce le tare che hanno, nel grande, provocato il disastro. Ma in Molise, obietterà qualcuno, si è vinto. Perché non ritenere che possa succedere anche col governo Letta, perché drammatizzare? Ebbene, se guardiamo ai numeri, ci dicono che in Molise il PD non arriva al 15%. Raccoglie dunque una percentuale tipicamente da terza forza (oltretutto se la coalizione di Iorio coincide con il PdL, quella di Frattura non è il PD). Per dire, su scala nazionale è la percentuale del PSI di Craxi, o quella a cui si stava avvicinando Monti, prima del ritorno di Berlusconi. Con la differenza fondamentale che in Molise l'offerta politica non contempla, oltre a un centro-destra e una terza forza, una formazione di sinistra. Moderna, europea, riformista, di governo, non velleitaria né ideologica, ma di SINISTRA. O meglio, se ne offrono varie, disperse e senza sufficiente credibilità elettorale, anche per l'equivoco indotto dal PD attuale.

Mi fermo qui. Il seguito è nelle mani, da una parte, degli iscritti del PD che si misureranno in un congresso di svolta, storico, dall'altra di quanti, elettori o militanti politici, dovranno trovare il modo di partecipare attivamente alla costituzione di una formazione politica di sinistra forte e rappresentativa, in Molise come in Italia. Attorno a un PD che abbia risolto la sua crisi di identità, mi auguro. Non dipende dal fato, ognuno faccia la sua parte.