mercoledì 30 gennaio 2013

Dr. Ingroia e Mr. Patrimoniale


Alla presentazione del “Piano” per il lavoro della CGIL, presenti Bersani, Vendola e Barca, non è stato invitato il dr. Ingroia, che pure ha sposato appieno uno dei punti del piano,  l’idea di una patrimoniale ordinaria, denominata “Imposta strutturale sulle Grandi Ricchezze”.
Il magistrato, candidato presidente, ha reagito con una lettera agli iscritti CGIL in cui polemizza con il PD (“votò senza battere ciglio la riforma dell’art. 18”) ma individua “gli avversari da battere con il voto in Berlusconi (“destra caciarona e impresentabile”) e Monti. A quest’ultimo (“destra perbene“) riserva gli accenti più pesanti, chiaramente indicandolo come bersaglio principale.





Singolare corto circuito logico.
Se è (ancora) assai improbabile che Berlusconi possa vincere le elezioni alla Camera, resta in ogni caso l’unico contendente che può insidiare il primato della coalizione PD-SEL. Punta, più realisticamente, a un loro indebolimento per riuscire a esercitare ancora un potere di condizionamento in funzione dei suoi interessi privati. L’obiettivo è dunque lo stallo al Senato. Lo stesso che si propone Monti, l’esecrato premier uscente, nell’intento di imporre un accordo post-elettorale (su quali contenuti programmatici non è dato saperlo).
Eppure, la scelta di Ingroia, di candidarsi a rappresentare un settore della sinistra in concorrenza con la coalizione PD-SEL, avvantaggia proprio Berlusconi e, ancor più, Monti. Gli avversari da battere.
Se non è un oltraggio alla logica, deve evidentemente poggiare su radicali e non mediabili motivi di dissenso sui contenuti, tali da prevalere su qualunque valutazione tattica.

In effetti, annunciando la “rottura irreversibile” il dr. Ingroia aveva esattamente dichiarato che “c’è un’incolmabile distanza programmatica, che riguarda (questo è stato il passaggio centrale ripreso da tutti gli organi di informazione) il rifiuto opposto da Bersani e dal PD all’idea di introdurre una patrimoniale ordinaria. Quella proposta dalla CGIL.
E’ dunque questo non un punto programmatico tra gli altri, ma quello su cui si può giocare la rottura dell’elettorato di sinistra. Non si può sorvolare, è il caso di approfondire il tema.

Personalmente ho partecipato a varie occasioni di confronto (interno al PD ma reso pubblico senza alcun filtro di “centralismo democratico”) in tema di patrimoniale. Nessun esponente del PD ha mai opposto ragioni di principio, il dibattito è stato molto aperto, con il contributo di studiosi di grande levatura. Ha riguardato i pro e i contro di una patrimoniale ordinaria nell’ottica di un obiettivo, condiviso come centrale da tutto il partito e da tutta la coalizione, di un riequilibrio del carico fiscale nel senso dell’equità e della progressività, principi costituzionali oggi disattesi per effetto delle politiche del centro destra sulle orme di Reagan e della Thatcher.
Ho ascoltato molti argomenti convincenti a favore di una patrimoniale, ordinaria o straordinaria. Il dibattito è approdato però a una conclusione contraria (a maggioranza, come normalmente accade quando, anziché principi basilari, si confrontano diversi modi di applicare un principio da tutti condiviso): si deve compiere un passo preliminare rendendo visibili i patrimoni e tracciabili i processi che portano all’accumulazione di grandi ricchezze. Altrimenti il carico dell’imposta rischierebbe di cadere per l’ennesima volta su chi, già visibile e tracciato, paga le imposte per intero. Mentre i possessori di grandi ricchezze hanno gli strumenti per eludere il fisco facendola franca, o per evadere senza correre eccessivi rischi. Non per caso, l’unico patrimonio visibile e tracciato, la casa, è quello su cui si è operato il prelievo più pesante con l’IMU. Che è un’imposta ordinaria sul patrimonio. Che il programma di centrosinistra intende correggere per introdurre una progressività oggi praticamente assente (il mancato aggiornamento dei catasti urbani, alleggerendo il carico sugli edifici storici di pregio, ha un effetto perfino regressivo).

 

A questo dibattito ha guardato con interesse la CGIL, che ha scelto di invitare a collaborare alla stesura del suo programma chi aveva caldeggiato l’ipotesi di una patrimoniale ordinaria. Più che legittimo. Le obiezioni riguardanti i rischi di un ulteriore aggravio su lavoratori dipendenti e pensionati saranno certamente state considerate superabili o non convincenti.
Certo è che nel suo intervento al dibattito di presentazione del piano CGIL Bersani ha preferito sorvolare sul tema, fonte di diversità di vedute, per dare maggiore risalto agli ampi motivi di convergenza su parti fondamentali del piano stesso. E la CGIL non ha ritenuto di invitare chi di quel tema aveva fatto, appena qualche giorno prima, motivo non recuperabile e non mediabile di rottura con Bersani.

Il dr. Ingroia ha però imparato rapidamente l’arte di correggersi smentendo quanto appena detto. Ancora rimbalzavano tra tv e quotidiani le sue dichiarazioni sulla patrimoniale in occasione della “rottura irreversibile” che se ne sovrapponeva un’altra in cui spiegava che la distanza incolmabile riguarda la tattica, non i contenuti programmatici. Dr. Jeckill e Mr. Hide?
Un po’ di chiarezza non guasterebbe. Per dare agli elettori qualche motivo di valutazione in più sul senso, tattico e programmatico, della sua candidatura. Anche per rispondere alle critiche di chi, benché sensibile al richiamo, ha visto nella scelta dei candidati solo una sponda offerta a un ceto politico di lungo corso in pericolo di sopravvivenza.
Altrimenti, potrebbe perfino venire il dubbio che quel ceto politico, che avrà pure qualche errore e qualche sconfitta alle spalle, abbia commesso un errore ancora più grave dei precedenti affidandosi in mani sbagliate.

Quanto poi all’ultimo esempio di correzione in forma di smentita, senza voler infierire, è apparso davvero sgradevole. Aveva dichiarato (alle telecamere, che non possono essere smentite) “sono stato criticato per essermi impegnato in politica proprio come era successo a Falcone” (quando aveva accettato l’incarico al Ministero di Giustizia: incarico, peraltro, nient’affatto politico). Alla reazione veemente della Bocassini risponde smentendo di essersi mai paragonato a Falcone e aggiungendo “si informi prima di parlare”. Poi rincara la dose alludendo a giudizi di chi non può più parlare … Borsellino stesso.


Falcone non era sceso in politica, le critiche a Ingroia non riguardano l’impegno in politica ma l’essersi collocato in aspettativa, ma nonostante tutto potrebbe essere meglio sorvolare.
Senonché la storia ci dice quanto abbiano pesato, sulla scelta di Falcone di recarsi a Roma per collaborare con il Ministro Martelli, oltre alle scelte compiute allora dal CSM, la forte tensione tra magistrati nella procura di Palermo (la “stagione dei veleni”, il “corvo”) e quella con il sindaco di Palermo (di allora e di oggi) Leoluca Orlando, che ha sempre rivendicato le critiche a Falcone senza mai dichiararsene pentito ed oggi è a fianco di Ingroia. Le critiche che furono mosse a Falcone venivano da lì. Un quadro diverso, direi opposto rispetto a quello di cui è stato protagonista il dr. Ingroia. Potrò sbagliare ma credo che molti italiani si siano fatti l’impressione che sia stato non vittima ma protagonista, di primo piano, con grande cipiglio, di polemiche con altri magistrati, con altre procure, con altre istituzioni, non ultime quelle di garanzia, Presidenza della Repubblica e Corte Costituzionale. Per carità, non godono dell’intangibilità e possono essere e sono di fatto, rudemente e accanitamente criticate. Ma Falcone, suvvia, associarlo a queste iniziative è un insulto alla storia. Almeno fino alla prossima smentita.