Alla presentazione del “Piano” per il lavoro della CGIL,
presenti Bersani, Vendola e Barca, non è stato invitato il dr. Ingroia, che
pure ha sposato appieno uno dei punti del piano, l’idea di una patrimoniale ordinaria, denominata
“Imposta strutturale sulle Grandi Ricchezze”.
Il magistrato, candidato presidente, ha reagito con una
lettera agli iscritti CGIL in cui polemizza con il PD (“votò senza battere
ciglio la riforma dell’art. 18”) ma individua “gli avversari da battere con il
voto in Berlusconi (“destra caciarona e impresentabile”) e Monti. A
quest’ultimo (“destra perbene“) riserva gli accenti più pesanti, chiaramente
indicandolo come bersaglio principale.
Singolare corto circuito logico.
Se è (ancora) assai improbabile che Berlusconi possa vincere
le elezioni alla Camera, resta in ogni caso l’unico contendente che può
insidiare il primato della coalizione PD-SEL. Punta, più realisticamente, a un loro
indebolimento per riuscire a esercitare ancora un potere di condizionamento in
funzione dei suoi interessi privati. L’obiettivo è dunque lo stallo al Senato.
Lo stesso che si propone Monti, l’esecrato premier uscente, nell’intento di
imporre un accordo post-elettorale (su quali contenuti programmatici non è dato
saperlo).
Eppure, la scelta di Ingroia, di candidarsi a rappresentare
un settore della sinistra in concorrenza con la coalizione PD-SEL, avvantaggia
proprio Berlusconi e, ancor più, Monti. Gli avversari da battere.
Se non è un oltraggio alla logica, deve evidentemente
poggiare su radicali e non mediabili motivi di dissenso sui contenuti, tali da
prevalere su qualunque valutazione tattica.
In effetti, annunciando la “rottura irreversibile” il dr.
Ingroia aveva esattamente dichiarato che “c’è un’incolmabile distanza programmatica,
che riguarda (questo è stato il passaggio centrale ripreso da tutti gli organi
di informazione) il rifiuto opposto da Bersani e dal PD all’idea di introdurre
una patrimoniale ordinaria. Quella proposta dalla CGIL.
E’ dunque questo non un punto programmatico tra gli altri,
ma quello su cui si può giocare la rottura dell’elettorato di sinistra. Non si
può sorvolare, è il caso di approfondire il tema.
Personalmente ho partecipato a varie occasioni di confronto
(interno al PD ma reso pubblico senza alcun filtro di “centralismo democratico”)
in tema di patrimoniale. Nessun esponente del PD ha mai opposto ragioni di
principio, il dibattito è stato molto aperto, con il contributo di studiosi di
grande levatura. Ha riguardato i pro e i contro di una patrimoniale ordinaria
nell’ottica di un obiettivo, condiviso come centrale da tutto il partito e da
tutta la coalizione, di un riequilibrio del carico fiscale nel senso
dell’equità e della progressività, principi costituzionali oggi disattesi per
effetto delle politiche del centro destra sulle orme di Reagan e della
Thatcher.
Ho ascoltato molti argomenti convincenti a favore di una
patrimoniale, ordinaria o straordinaria. Il dibattito è approdato però a una
conclusione contraria (a maggioranza, come normalmente accade quando, anziché
principi basilari, si confrontano diversi modi di applicare un principio da
tutti condiviso): si deve compiere un passo preliminare rendendo visibili i
patrimoni e tracciabili i processi che portano all’accumulazione di grandi
ricchezze. Altrimenti il carico dell’imposta rischierebbe di cadere per l’ennesima
volta su chi, già visibile e tracciato, paga le imposte per intero. Mentre i
possessori di grandi ricchezze hanno gli strumenti per eludere il fisco
facendola franca, o per evadere senza correre eccessivi rischi. Non per caso,
l’unico patrimonio visibile e tracciato, la casa, è quello su cui si è operato
il prelievo più pesante con l’IMU. Che è un’imposta ordinaria sul patrimonio.
Che il programma di centrosinistra intende correggere per introdurre una
progressività oggi praticamente assente (il mancato aggiornamento dei catasti
urbani, alleggerendo il carico sugli edifici storici di pregio, ha un effetto
perfino regressivo).
A questo dibattito ha guardato con interesse la CGIL, che ha
scelto di invitare a collaborare alla stesura del suo programma chi aveva
caldeggiato l’ipotesi di una patrimoniale ordinaria. Più che legittimo. Le
obiezioni riguardanti i rischi di un ulteriore aggravio su lavoratori
dipendenti e pensionati saranno certamente state considerate superabili o non
convincenti.
Certo è che nel suo intervento al dibattito di presentazione
del piano CGIL Bersani ha preferito sorvolare sul tema, fonte di diversità di
vedute, per dare maggiore risalto agli ampi motivi di convergenza su parti
fondamentali del piano stesso. E la CGIL non ha ritenuto di invitare chi di
quel tema aveva fatto, appena qualche giorno prima, motivo non recuperabile e
non mediabile di rottura con Bersani.
Il dr. Ingroia ha però imparato rapidamente l’arte di
correggersi smentendo quanto appena detto. Ancora rimbalzavano tra tv e
quotidiani le sue dichiarazioni sulla patrimoniale in occasione della “rottura
irreversibile” che se ne sovrapponeva un’altra in cui spiegava che la distanza
incolmabile riguarda la tattica, non i contenuti programmatici. Dr. Jeckill e
Mr. Hide?
Un po’ di chiarezza non guasterebbe. Per dare agli elettori
qualche motivo di valutazione in più sul senso, tattico e programmatico, della
sua candidatura. Anche per rispondere alle critiche di chi, benché sensibile al
richiamo, ha visto nella scelta dei candidati solo una sponda offerta a un ceto
politico di lungo corso in pericolo di sopravvivenza.
Altrimenti, potrebbe perfino venire il dubbio che quel ceto
politico, che avrà pure qualche errore e qualche sconfitta alle spalle, abbia
commesso un errore ancora più grave dei precedenti affidandosi in mani
sbagliate.
Quanto poi all’ultimo esempio di correzione in forma di smentita,
senza voler infierire, è apparso davvero sgradevole. Aveva dichiarato (alle
telecamere, che non possono essere smentite) “sono stato criticato per essermi
impegnato in politica proprio come era successo a Falcone” (quando aveva
accettato l’incarico al Ministero di Giustizia: incarico, peraltro, nient’affatto
politico). Alla reazione veemente della Bocassini risponde smentendo di essersi
mai paragonato a Falcone e aggiungendo “si informi prima di parlare”. Poi
rincara la dose alludendo a giudizi di chi non può più parlare … Borsellino
stesso.
Falcone non era sceso in politica, le critiche a Ingroia non
riguardano l’impegno in politica ma l’essersi collocato in aspettativa, ma
nonostante tutto potrebbe essere meglio sorvolare.
Senonché la storia ci dice quanto abbiano pesato, sulla
scelta di Falcone di recarsi a Roma per collaborare con il Ministro Martelli, oltre
alle scelte compiute allora dal CSM, la forte tensione tra magistrati nella
procura di Palermo (la “stagione dei veleni”, il “corvo”) e quella con il
sindaco di Palermo (di allora e di oggi) Leoluca Orlando, che ha sempre
rivendicato le critiche a Falcone senza mai dichiararsene pentito ed oggi è a
fianco di Ingroia. Le critiche che furono mosse a Falcone venivano da lì. Un
quadro diverso, direi opposto rispetto a quello di cui è stato protagonista il
dr. Ingroia. Potrò sbagliare ma credo che molti italiani si siano fatti
l’impressione che sia stato non vittima ma protagonista, di primo piano, con
grande cipiglio, di polemiche con altri magistrati, con altre procure, con
altre istituzioni, non ultime quelle di garanzia, Presidenza della Repubblica e
Corte Costituzionale. Per carità, non godono dell’intangibilità e possono
essere e sono di fatto, rudemente e accanitamente criticate. Ma Falcone,
suvvia, associarlo a queste iniziative è un insulto alla storia. Almeno fino
alla prossima smentita.