sabato 22 dicembre 2012

Due domande su PD Molise e elezioni regionali


Nel Lazio Zingaretti ha aperto il comitato elettorale, già da alcuni giorni, senza primarie, essendoci l'accordo di tutto il centrosinistra. L’udc farà, a seguire, le sue scelte: si prospettano una mezza dozzina di candidature dalla galassia centrista ma alla fine potrebbero optare per Zingaretti.
In Lombardia Ambrosoli ha vinto le primarie, a cui hanno partecipato 150.000 persone già una settimana fa. Se domani Albertini decide di candidarsi contro Ambrosoli (e contro Maroni) l'udc e la galassia centrista dovrà scegliere se appoggiarlo ma in quel caso molti elettori di quell’area opteranno per Ambrosoli.
E in Molise? La direzione del pd del 21 dicembre non ha ufficializzato ancora la candidatura di Frattura perché il Presidente e il Segretario hanno lasciato intendere che era imminente la chiusura di un accordo con Romano e con l'udc. Nelle stesse ore Petraroia invece di partecipare alla direzione ha scritto una lettera aperta richiedendo le primarie per il 13 gennaio (!?) con l'intenzione, ribadita nel commento a un post sul gruppo Unire il Centro-sinistra. Primarie per novembre 2011! ancora alle 16 del 22 dicembre, di far venire allo scoperto Massimo Romano perché, "se rifiuta di partecipare se ne assuma la responsabilità al cospetto dei cittadini del Molise".
Ma su Termoli TV (http://www.termoli.tv/news/attualita/item/2319-massimo-romano-mi-candido-a-governatore-del-molise-l-intervista-su-telodoioilpresidente-it) “il giovane consigliere regionale rilascia un’intervista intensa e a tutto campo nella quale, oltre a ufficializzare la sua decisione di candidarsi alla guida della Regione, ha parlato di alleanze nazionali possibili con il Movimento Arancione di De Magistris e Ingroia e con Fermare il declino di Oscar Giannino. (e FLI se l’è dimenticata?). L'anticipazione esce alle 17 del 22 dicembre e il video alle 19,15.

Prima domanda: i tre maggiori esponenti del pd molisano, non sapevano, e si sono fatti prendere in giro da Romano, o sapevano e hanno preso in giro gli iscritti al pd? 

Seconda domanda: ma il pd Molise non ha l’autonomia e la capacità di iniziativa del pd Lazio e Lombardia perché è piccolo o perché non è in buone mani?

venerdì 14 dicembre 2012

MESSAGGI ELETTORALI (3) Tra primarie e votovero


Torniamo sulle primarie del centrosinistra.
Renzi, è stato detto, ha avuto comunque il merito di mettere una pietra sopra al dualismo degli ex (PCI-DC). La maionese era impazzita, l’olio (santo) di qua e il tuorlo d’uovo (rosso) di là. E, come si sa, se la maionese impazzisce si può solo ricominciare daccapo.

 
Non che fosse sbagliata l’idea dell’incontro tra socialdemocrazia e sinistra cristiano-sociale. In Europa la socialdemocrazia ha già da tempo compiuto questa sintesi, senza che la componente cristiano-sociale si sia mai sentita in dovere di metterne in discussione la matrice fondamentale. Così invece è andata in Italia. L’ambizione originaria ne è risultata frustrata, la sintesi non ha convinto gli elettori, che pure, lo si è visto, erano ben disposti in linea di principio.
Con l’esigenza di andare oltre quel tentativo incompiuto si era già misurato il PD all’origine. Veltroni si era proposto di guidarlo verso un approdo nuovo, volgendo lo sguardo al Partito Democratico americano, in cui del resto il filone della dottrina sociale cristiana è fortemente presente (la dimensione religiosa informa la cultura politica USA sia a destra che a sinistra). Quel modello poteva dunque risultare ben accetto a entrambi i contraenti originari, per una sintesi su basi tuttavia diverse da quelle su cui si realizza nelle socialdemocrazie europee.
L’idea di una contaminazione tra la cultura d’oltreoceano, fondata sulla persona, e la tradizione europea delle aggregazioni sociali intermedie come strumento di valorizzazione e di tutela delle persone attraverso il veicolo della socializzazione, poteva essere feconda. Anche per le socialdemocrazie europee che vivevano un momento di difficoltà dopo la caduta del Muro. Nel momento in cui la storia passata dava loro ragione, alla fine del secolo breve che si era aperto con la divisione all’interno dell’internazionale socialista, il nuovo scenario sembrava coglierle impreparate. L’Italia, per molte ragioni di carattere storico, si prestava a fare da laboratorio per un simile tentativo di innovazione politica, che però è finito male, forse è prima ancora di cominciare.

Non so se possa essere riesumato. Mi sembra tuttavia chiaro che  l’esito che Renzi ha configurato non ha molto a che vedere con quello all’origine del PD. D’altronde neanche il PD ha risposto agli interrogativi attorno alla sua missione: quello che esce dalle primarie non è un Partito Socialdemocratico, anche se certamente assomiglia più a quel modello che a quello dei democratici USA. Il pragmatismo bersaniano lo ha modellato come partito europeo di sinistra riformista. Del disegno veltroniano rimane, più che la tensione verso un’innovazione della cultura politica, che appare abbandonata, proprio la cosiddetta “vocazione maggioritaria” che era stata più ferocemente rimproverata a Veltroni fino a portarlo a rinunciare alla segreteria.

E Renzi allora? Il richiamo al Partito Democratico USA non è mancato. Ad Obama, in particolare. Ma è stato, secondo me, ingannevole. Entrambi giovani, sì, contro l’apparato, sì. Ma a ben vedere Obama non si è collocato fuori dagli schemi. Si è voluto caratterizzare piuttosto per la riscoperta dei valori fondanti, non solo del suo partito ma della nazione americana. Il richiamo rivelatore del posizionamento di Renzi è stato piuttosto quello a Blair (e semmai, in ambito Democrats, a Clinton che aveva tentato una strada nuova, più o meno in contemporanea).
Ma qual è stato l’approdo di Blair? Quale modello ha costruito? Difficile dirlo, visto che non sembra avere avuto seguito, né con Gordon Brown né con Milliband.

Dove vuole andare Matteo Renzi
Se dovessi provare a dire in breve quale sembra essere la nuova missione, il nuovo “ubi consistam” della sinistra blairiana-clintoniana credo stia nell’idea (o nell’illusione) di rendere compatibili i fondamenti del pensiero socialdemocratico con il dominio planetario della finanza globale.
Dagli anni Venti del secolo scorso la cultura socialdemocratica era giunta alla conclusione che si dovessero porre vincoli al funzionamento spontaneo del mercato delle merci per correggerne le gravi distorsioni sul piano sociale. C’era poi voluto all’incirca mezzo secolo riuscire a farlo davvero, con grandi difficoltà e attraverso enormi lutti, in base a ricette politiche su scala nazionale, “coordinate” a livello internazionale.
Quell’equilibrio e quelle ricette sono saltate con la globalizzazione e con la libera circolazione dei capitali. Non esistendo una dimensione politica sopranazionale dotata di strumenti neanche solo paragonabili, come efficacia e potenza d’impatto, a quelli di cui la politica nazionale poteva disporre nei confronti del mercato delle merci, il mercato dei capitali ha preso il sopravvento. Con la tendenza all’accumulazione di ricchezza illimitata, sproporzionata, che lo caratterizza, ha determinato distorsioni e sconquassi sociali ben più gravi di quelli provocati in precedenza nell’economia reale.
 
Il tentativo di sposare la finanza globale e di farla andare d’accordo con la coesione e con il principio di uguaglianza si è rivelato una tragica illusione. Su quella sono naufragati sia Blair che Clinton. Le ricette per porre rimedio non sono ancora messe a punto, la sfida per la politica e per la democrazia è enorme e inedita. La sinistra, socialdemocratica e “democrat”, si candida a vincere questa sfida, senza di che avrà perso la sua ragion d’essere. Ma non la vincerà tornando a quei tentativi illusori, che appaiono inservibili, non fanno guardare avanti ma condannano a ripetere esperienze di sconfitta.

Questo è stato, credo, il piombo nelle ali di Renzi. Non “ragazzetto ambizioso” ma apprendista stregone. L’abbraccio del finanziere Serra, l’abbinamento con l’immagine delle Cayman e dei paradisi fiscali, gli sono costati cari perché segnalano una condiscendenza verso l’evasione fiscale e l’illegalità e perché lasciano intendere la tentazione di legittimare l’egoismo e il cinismo del capitale finanziario come forze propulsive della società. Quasi fossero paragonabili alle catene di montaggio della grande manifattura o ai garage dove si sperimentavano le nuove frontiere dell’ICT.
Tuttavia, ancor più caro gli è costato l’aver provocato un riflesso legalitario, che ha segnato l’omega della sua campagna: un moto di ribellione per la “monelleria” dell’invito al “mail bombing” tra primo turno e ballottaggio, episodio istruttivo e rivelatore, più che del “progetto-Renzi” forse del comune sostrato morale della squadra che aveva messo in piedi.
Un autogol, peraltro. Era stato dato per acquisito che nessuno avrebbe usato la lente di ingrandimento, né richiesto l’analisi del sangue, a chi si fosse registrato in ritardo. Presentarsi ai seggi, negli orari stabiliti, firmare un’autocertificazione, appariva un filtro efficace contro inquinamenti e provocazioni. L’abbraccio finale dopo il confronto a due su Rai-Uno suggellava questo appeasement raggiunto anche sulle regole. Ma comprare pagine a pagamento per dire - la sera stessa! - “cerchiamo di fregarli che sennò abbiamo perso” è stato un pugno nello stomaco per molti. Non ha probabilmente fatto perdere voti a Renzi ma ha reso inossidabile e impermeabile la schiera bersaniana portandola a votare in una proporzione altrimenti difficile da raggiungere. Perché ha dato corpo, plasticamente, alla tendenza a travolgere le regole, qualsiasi regola, che è tipica del capitale finanziario globale.

Insomma, l’idea che la parola d’ordine “arricchitevi” possa essere ancora attuale, che possa, anzi, rappresentare oggi un simbolo di modernità e perfino combinarsi felicemente con il pensiero socialdemocratico ... si è rivelata un’idea fallace. La sintesi è illusoria, la tigre non è fatta per essere tenuta in giardino. Almeno, gli elettori di sinistra, in maggioranza hanno dimostrato di non crederlo possibile.

Non solo PD. Ma ...
E gli altri competitor? Ho dedicato grande spazio al PD nelle primarie del centrosinistra partendo dall’affermazione iniziale che il PD le aveva vinte. I sondaggi dei giorni successivi, convergenti senza eccezioni, lo hanno confermato. Ma il ruolo degli altri non è stato certo marginale. In particolare, Vendola ha giocato, anzi, un ruolo che è apparso decisivo.
Il fatto è che nel momento stesso in cui esercitava quel peso metteva a nudo anche una contraddizione che difficilmente appare risolvibile. Ha pesato nella misura in cui si è sommato alle posizioni, largamente sovrapponibili a quelle di SEL, che hanno ampia cittadinanza nel PD. Ma, una volta che ciò sia apparso chiaro, quanto resta comprensibile e sensata l’alterità, la divisione?
La risposta resta in sospeso, ma non potrà essere elusa ancora a lungo, ritengo. E il ragionamento vale altrettanto per un PdCI che non ha espresso un candidato ma ha fatto sentire anch’esso la sua presenza e il suo peso. Staremo a vedere.

E ora, primarie di collegio
Intanto, con un coraggio che rasenta la temerarietà, Bersani ha portato il gruppo dirigente del PD a sposare unanime le primarie per i collegi parlamentari. Una sfida ancora più ambiziosa delle “primarie aperte”, i cui rischi sono nascosti in ogni passaggio di un percorso che per forza di cose dovrà essere compiuto a gran velocità. Di corsa, prendendo esempio dalla marineria delle incursioni veloci, o “corsara”. Il diavolo si anniderà nei dettagli delle regole, dell’organizzazione, ma soprattutto nel segno d’assieme del risultato finale. Non potrà essere “tanto rumore per nulla”, l’esito dovrà apparire quello annunciato. Un cambiamento misurabile a prima vista.

Ancora sulle “primarie”.degli altri 
Diciamolo chiaramente: messe a confronto con quelle del PD, le due vicende parallele, di Berlusconi e Grillo, sono apparse in tutta la loro assurdità oltre che nella profonda somiglianza che le unisce.
Tra il dire “decido io” e il far decidere a un corpo selezionato (32.000 persone, se non ancor meno) entro una rosa appena un po’ superiore agli “eligendi” (1.600 per 950 posti) c’è molta differenza? Uno è spudorato (bugiardo galattico), l’altro ha sprezzo del ridicolo (per deformazione professionale). Ma rischia di essere un po’ come la differenza tra hard core e burlesque. Per non dire dell’imbarazzante analogia che affiora nell’alternarsi di deliri di onnipotenza e stati confusionali (qui lo dico e qui lo nego).
Ma non ci si può fermare alle analogie tra i due primattori. Qualche differenza profonda c’è e deve far riflettere. Una vicenda ci dice dell’implosione (irreversibile per ora) della destra italiana, deragliata con un fragore che si è sentito in tutta Europa e ha fatto colpo anche oltre gli oceani. L’altra invece interroga soprattutto la sinistra, anche se non è lecito definire di sinistra il Movimento 5 Stelle.
Possiamo pensare di consolarci rilevando che raccoglie nel suo seno – alcune biografie lo hanno mostrato chiaramente una volta divenute di pubblico dominio – anche gente che “per bene” non è esattamente. Che ne raccoglie altri che non sono “quelli della porta accanto”, mai contaminati dal morbo della politica attiva, ma personaggi che hanno seguito percorsi ben tracciati, con risultati penosi, anche a sinistra ma in misura forse maggiore in ambiti di destra.

Ma è una ben magra consolazione, perché la maggioranza degli attivisti è comunque fatta di giovani che cercano nuove strade di impegno politico concreto, militante, su temi chiave della nostra vita associata, decisivi per il nostro futuro, in un ottica facilmente sovrapponibile a quella che anima i loro coetanei collocati a sinistra.
Prendiamo atto che si sono dimostrati disposti ad avallare le stramberie, chiamiamole così, dei loro diarchi, il guru e il comico. Lo hanno fatto per non rischiare di perdere un potente strumento di condivisione con tutti quelli come loro che hanno incontrato in questa esperienza, per non ritrovarsi soli, punto e daccapo. Per colpa nostra, dunque. Dovremmo farne motivo di riflessione severa, altro che riderci sopra.

sabato 8 dicembre 2012

MESSAGGI ELETTORALI (2) - Archiviate le primarie, verso le secondarie


Archiviate le primarie del Centrosinistra.

Ha vinto il PD, hanno detto in molti. E’ vero. Come è vero che è una vittoria che fa bene al Paese.
Ha vinto Bersani, che ha promesso di cambiare il PD senza cambiare la sua missione statutaria. Renzi voleva invece cambiarla, partendo dal cambiare gli uomini e le donne del PD, ma ha perso. Quasi 4 elettori su 10 hanno però detto che non si accontentano di cambiare persone, modalità, usi e costumi. Vogliono andare oltre, anche accettando il rischio di una nuova missione che non ha ancora preso corpo.

Non ho votato Renzi perché non credo si possa correre quel rischio.
Avrebbe però potuto tentarmi, se fosse stato più comprensibile il nuovo “luogo” politico che il PD secondo lui dovrebbe occupare. Perché effettivamente l’incontro tra la cultura socialdemocratica e quella del cattolicesimo progressista sembra proprio aver fatto il suo tempo. Ma su questo ritornerò, se a qualcuno può interessare.


Verso le secondarie

E Bersani? Le promesse su cui ha costruito la sua vittoria sono impegnative. La campagna per le primarie è molto diversa da quella per le secondarie. Non ammette promesse da marinaio, perché devono essere esigibili PRIMA delle secondarie, e ne determinano l’esito. Chi ha detto la verità nelle primarie e ha mantenuto le promesse, in genere ha vinto le elezioni. Veltroni ha perso nel 2008 perché, dopo aver vinto le primarie con la promessa di riassumere nel PD la proposta di tutto il centrosinistra nelle sue varie articolazioni, ha poi presentato all’elettorato un’immagine (candidati, proposte, linguaggi) espressione di una parte, neanche quella più gradevole, del PD. Aveva di fronte la potenza di fuoco del Cavaliere, certo, ma il suo esercito aveva perso per strada ogni carica propulsiva.
Oggi Bersani promette di cambiare davvero. Promette le primarie di collegio. Promette una squadra di governo nuova, capace di reinterpretare in modo convincente la missione del PD, per dare agli elettori una speranza di uscita dalla crisi che emancipi la politica dalla sottomissione alla finanza sregolata e sproporzionata.
Non può tradire le attese. Sono intimamente convinto che non lo farà.

La prima prova si avrà nel Lazio. In Lombardia e in Molise si potrebbe votare prima delle politiche, nonostante i ricatti di Berlusconi, ma al momento non so se ciò avverrà. Quale che sia l’abbinamento, il Molise, piccola regione in confronto ai due colossi, ha davanti a se due strade. Nascondersi, restare nell’ombra e cercare di farla franca. Nel senso che, se la novità non ci sarà o non sarà radicale, potrà tuttavia far finta di niente. La gente si interesserà ad altro. Oppure farsi forte delle sue dimensioni ridotte per proporsi come esempio, laboratorio di novità possibili, percorribili.
Dimostrare che su scala locale si possono percorrere strade nuove su cui non si paga pedaggio alla finanza: si può fare e può aiutare anche chi guarda da fuori.
Misurata sulla dimensione del dibattito politico che prevale in queste settimane in Molise, questa ambizione appare del tutto sproporzionata e infondata. Ma, chissà, uno scatto di reni.
Perché se si sceglie la prima strada, si va incontro a un rischio quasi impossibile da evitare: quello di condannare i cittadini molisani a un disastro economico e sociale che non ha precedenti e che ricaccerebbe la Regione là dove era confinata fino a 50 anni fa. Ultima tra le Regioni dell’area più derelitta. Un tempo, rispetto al resto dell’Italia, oggi, sempre più, rispetto al resto d’Europa.
E’ qui che si balla, non altrove. Non si scappa. Osare si deve, non per spirito di avventura ma per istinto di sopravvivenza. Se ancora ce n’è.

 

Archiviate anche le primarie del centro-destra. 
Cancellate dal ritorno di Berlusconi. “Perché abbiamo cercato un nuovo Berlusconi del ’94 ma non l’abbiamo trovato” ha detto serafico nella cornice di Milanello. Ma che razza di formazione politica ha messo in piedi, che leader è mai stato, se non sono stati in grado di trovare un successore che non fosse un segretario particolare, un portaborse, o qualche arnese riciclato, o improbabili guitti della periferia imprenditoriale? Allora aveva ragione chi diceva, già qualche lustro fa, che l’unica successione che Berlusconi avrebbe accettato sarebbe stata quella di Piersilvio o di Marina!
Si usa dire che il collasso di uno schieramento politico ha ripercussioni, in genere negative, sul sistema nel suo complesso. Probabile sia vero anche stavolta, ma come dimenticare quale collasso al sistema sia stato provocato fin qui da quella coalizione nel fulgore del suo potere!

Archiviate le "parlamentarie"
Nella versione “strana” delle primarie denominata “parlamentarie” si sono contati novantamila voti per milleseicento candidati a un migliaio di posti in lizza. Erano consentiti tre voti per ciascun militante del Movimento 5 Stelle, c’è da ritenere che abbiano votato più o meno 50.000 persone.
Se vi viene da ridere, meglio trattenersi. Potrebbero agguantare più seggi del centro-destra. Personaggi che sembrano provenire dagli sketch delle candid camera? Attenzione! Sono convinto che una buona parte di quei candidati siano animati da genuina passione politica e da una radicata volontà di cambiamento, del tutto giustificata. Gli opportunisti che hanno fiutato l’occasione della vita, agguantare una fortuna meglio di un Gratta e Vinci con molto meno sforzo, ci sono senz’altro ma non possono essere presi a pretesto per banalizzare. La diarchia che detiene il copyright, il guru e il comico, può essere accusata di irritante protervia così come di comicità surreale, ma quel movimento non è il Partito dell’Amore di Cicciolina, né la macchina del potere costruita sullo scheletro Fininvest da Forza Italia. Va preso sul serio. Anche se è possibile che faccia danni seri. Soprattutto se ingabbierà e sottrarrà alla politica vera quei giovani appassionati che dovrebbero essere senz’altro annoverati tra le speranze del Paese.
Quei giovani hanno un moto di ribellione quando li si accusa di restare sul mero terreno della protesta. Ambiscono a molto di più e agiscono in modo molto più fattivo e positivo. Il guaio è che non hanno ancora ben sistematizzato un dato di fatto che dovrebbe farli riflettere: se 50.000 persone in tutto si sono impegnate attivamente per una tornata elettorale in cui è possibile che raccolgano un numero di voti cento volte tanto, la realtà ci dice, impietosamente, che per quanto possano rifiutare l’etichetta di protestatari, gli elettori li sceglieranno proprio in quanto li considerano tali. A torto? E sia. Ma dovrebbero comunque pensarci su, perché se anche così fosse, in definitiva non è rilevante. Tanto più se l’intera strategia comunicativa è sottratta al loro controllo e tutta orientata a veicolare esattamente quel messaggio: “vaffa”, senza se e senza ma, e chi si sporca le mani è un traditore. Bannazione!