sabato 24 novembre 2012

MESSAGGI ELETTORALI


Di elezioni, di primarie ed altro. In Italia e in Molise

Sonata a tema in tre movimenti

Primo movimento
Andante mosso
Le primarie nazionali del centrosinistra

Uno dei momenti clou del confronto tra i candidati alle primarie su SKY è stato quello sulle aperture al centro, in cui Bersani si è più smarcato dagli altri: “Lavoro per la vittoria del nostro campo, diverso da quello dei centristi. Ma sono contrario a chiusure: in una situazione così delicata non possiamo permetterci di riconsegnare il paese alla destra berlusconiana.”
Se a qualcuno può interessare, questo è uno dei motivi per cui voto il segretario del PD: no alle chiusure pregiudiziali, la politica è inclusione, allargare il consenso, non restringerlo.
Le condizioni sono però importanti. Non solo. Quanto più sono salde e ben radicate le posizioni politiche attorno a cui si costruisce la propria proposta, tanto più quella proposta avrà forza di attrazione e saprà includere. Quando sono deboli si oscilla tra cedevole tatticismo (parafrasi per dire opportunismo) e settarismo (le bandiere e gli slogan prendono il posto della proposta politica).
C’è il rischio che anziché attrarre si rimanga invischiati? Secondo la mia modesta opinione, altro che se c’è! Sarà anzi il banco di prova, sin da prima delle elezioni.
Perché agli elettori quel rischio non sfugge affatto. E già dalla gestione della campagna elettorale si faranno un’idea di quanto sia forte, in base all’articolazione delle proposte politiche, ai messaggi forti che si manderanno (le condizioni non negoziabili), agli scenari che si prospetteranno e, non da ultimo, alla credibilità che si dimostrerà nel modo di selezionare i candidati. E, ovviamente, in caso di vittoria, saranno severi nel giudicare se le premesse troveranno conferma negli atti di governo.
Allora, visto che dopo le primarie, e più delle primarie, sarà importante vincere la prova elettorale, è bene prepararsi. Nella massima chiarezza.
Qui non riesco a togliermi di mente l’apologo del re Salomone e del bimbo conteso dalle due madri. E’ convinto Bersani che Casini avrebbe meno remore di lui a lasciare il Paese in mano alla destra, di cui Casini stesso è stato solerte alleato per una legislatura? Teme che in fin dei conti lascerebbe squartare il Paese pur di non cedere il potere? Che dunque toccherà al PD la parte della vera madre, pronta a cedere al ricatto pur di non vedere morire suo figlio?
Posso capirlo. Ma perché non pensare che il sovrano (che in definitiva è il popolo, nella parte di Re Salomone) sarà così saggio da svelare il ricatto e sceglierà per il meglio a chi affidare il figlio? Nonostante tutte le delusioni che gli elettori possono aver dato negli ultimi venti anni (ma quanta responsabilità di quelle delusioni ricade su chi a sua volta ha deluso le loro attese?) avanzo l’idea che potrebbero essere aiutati a smascherare il ricatto se si mettessero in chiaro le condizioni irrinunciabili degli uni e degli altri.
Quali saranno per i “centristi”? Di nuovo le pregiudiziali “confessionali” (non trovo definizione più appropriata)? O l’”ottimo lavoro” – guai a chi lo tocca! – fatto dal Ministro Fornero in tema di pensioni, ovvero di occupazione e diritti? O un veto su proposte – troppo radicali! – che prevedano una redistribuzione significativa e non puramente di facciata, del carico fiscale a favore dei più deboli e a danno dei più ricchi? Su questi temi gli elettori, penso, hanno ben chiara la linea di demarcazione tra sinistra e centro. Se saranno avanzate pregiudiziali di questa natura, e se saranno dichiarate più pesanti, fino ad essere dirimenti, rispetto a quelle che dividono il campo centrista dalla destra berlusconiana (legalità e stato di diritto, etica pubblica, solidarietà, pari opportunità, sostenibilità, ecc. ecc.) gli elettori dovranno saperlo e poter giudicare. Perché averne paura? Proviamo a riporre fiducia nella saggezza di re Salomone (degli elettori). Ma anche nella buona fede dei centristi, o destra “pulita” che dir si voglia.

Secondo movimento
Vivace
Le primarie fantasma in Molise

La riunione del centrosinistra nella sede del Pd in via Ferrari a Campobasso
Il segretario del PD Molise, Leva, ritenendo di ricalcare in questo modo il segretario nazionale, si è imbarcato in una ardita (“complicatissima”, la definisce lui stesso) operazione politica per allargare la maggioranza: da intendersi, quella che l’anno scorso aveva portato Frattura al pareggio con Iorio, che peraltro schierava forze che non erano legittimate a partecipare.
Lodevole tentativo? Dipende.
Allargare a chi? A formazioni che, come UDC nazionale e FLI, hanno rotto da tempo, in modo perfino eclatante, con l’avventura berlusconiana? Nossignore, si lavora per allargare a forze che, ancora mentre scrivo, ricoprono importanti posizioni di vertice nella Giunta Iorio o nei dintorni.
Ci si rivolge ai loro elettori intenzionati ad abbandonare quel campo? Ai dirigenti in dissenso con quelli organici al sistema di potere di Iorio? Nossignore. Ci si rivolge in prima persona a questi ultimi, contando su un ravvedimento imposto da Roma, nel quadro di un patto di spartizione. Che, qui sta il bello, dovrebbe eventualmente essere stipulato da quel segretario nazionale del PD che contro queste “prassi” è solennemente impegnato in quanto “cattiva politica”.
Ma - potrebbe correggermi Leva, in sintonia con il Presidente Ruta con cui condivide questa avventurosa operazione - non si tratta solo di questo ma anche di recuperare due movimenti che si sono allontanati dalla coalizione, Costruire Democrazia e Partecipazione Democratica.
Non intendo tediare il lettore che non avesse seguito le cronache e tralascerò pertanto particolari perfino poco seri della vicenda, basterà però dire che si può nutrire qualche dubbio sul fatto che quei movimenti abbiano mai fatto parte davvero della coalizione da cui dovrebbero essersi allontanati: dei due leader uno (Astore) ha menato vanto dell’essere andato in vacanza il giorno del voto e l’altro (Romano) dal giorno stesso dell’indizione delle primarie fino ad oggi non ha mai perso occasione di prendere le distanze dalla coalizione e da Frattura, accusato di ogni nefandezza, sia politica che personale (e il suo movimento si è distinto per l’ampiezza del voto disgiunto contro Frattura). Né è dato distinguere la posizione dei due movimenti da quelle dei leader giacché, nonostante il richiamo alla democrazia nelle loro sigle, le due formazioni non hanno statuti né organismi elettivi, elementari requisiti richiesti dalla nostra Costituzione (se poi li hanno ma sono segreti si ricade in un’altra fattispecie).
Al di là di tutto questo, il segretario del PD non spiega in che consista la particolare complicatezza dell’operazione. Ostano le riserve sulla persona del candidato presidente? basta un nuovo passaggio attraverso primarie di coalizione: se vengono rifiutate, o non si avanzano altre candidature, il problema decade, altrimenti si indicono. Si richiede un chiarimento politico-programmatico sulla coalizione? Ben venga, si faccia, alla luce del sole: ma se, invitati, non si presentano neanche in terza convocazione, il problema decade.
Ecco, tornando a re Salomone. Davvero gli elettori non distinguono e non giudicano con saggezza? Un leader di centrosinistra dovrebbe rivolgersi a quelli, tra i centristi delusi dal sistema Iorio, che pensavano di trovare nel centro una forza politica equilibrata, legata a valori cristiani di solidarietà sociale. Oppure, fare appello a chi, ricordando Astore come il miglior assessore alla sanità che il Molise abbia avuto, è portato a trascurare le attuali pulsioni negative. A chi, apprezzando le battaglie coraggiose e le denunce, quando sono circostanziate e motivate, del giovane Romano è incline a perdonare le forzature dettate da un’ambizione un po’ fuori registro. Questo dovrebbe significare “allargare il consenso” per il centrosinistra, di fronte al rompete le righe dello schieramento di centro-destra e al bilancio fallimentare del modello-Iorio di gestione del potere.
A questo dovrebbero lavorare segretario e presidente del PD, senza sottoporre a inutili tensioni una coalizione (SEL, IDV, PdCI, PSI) motivata e ansiosa di scendere in campo per cambiare il volto della politica molisana. Prendere esempio da Bersani significa raccogliere, includere attorno a un progetto che va avanti e conquista consensi. Non, trattare su tavoli paralleli usando le pregiudiziali degli uni per destabilizzare gli altri, escludendo e dividendo. Si decideranno, prima che sia troppo tardi? O andranno avanti, convinti che il popolo bue si adeguerà? O che, tra disgusto e sfinimento, gli elettori si rassegnino e abbandonino la partita? Se così fosse, sarebbe una tragica illusione: basta guardarsi intorno e contare quanti degli esponenti di questa cultura politica sono ancora in piedi, in giro per l’Italia. Quanti sono sopravvissuti alle ultime tornate amministrative: nel PD, intendo, mica solo nel centrodestra. E’ credibile, per le imminenti scadenze elettorali, un tuffo nel passato?
Staremo a vedere.

Terzo movimento
Marcia funebre
Le elezioni e le crisi aziendali.

Ebbene si, la conclusione non è un inno alla gioia.
Tredici mesi dopo le elezioni, non valide, si dovranno attendere ancora quattro mesi per avere un governo e un’assemblea nel pieno delle funzioni.
La regione, già allo stremo, rischia di assistere a disastri sociali, e economici, senza precedenti.
Le crisi in atto sono numerose. Tre sono al centro dell’attenzione più delle altre ma in qualche modo le riassumono. Mi riferisco alla Solagrital e allo Zuccherificio (di cui mi sono occupato a più riprese in questo blog) a cui si è appena aggiunto il maggiore centro commerciale della costa, il Carrefour di Termoli.
Dalla prima dipende il destino dell’intera area del Matese. Le altre due, se non saranno risolte per il meglio rischiano di assestare un colpo durissimo al basso Molise.
Quattro mesi sono lunghi. In questo lasso di tempo sarà necessario compiere una serie di atti di natura prettamente politica, che non richiederanno tuttavia modifiche alle leggi vigenti ma avranno natura di provvedimenti attuativi. Atti di gestione, di competenza dell’organo esecutivo, di una Giunta.
Sennonché la Giunta è in carica solo provvisoriamente ed è priva della piena legittimità, essendo stata dichiarata decaduta l’Assemblea che l’ha eletta. Ha davanti a sé un orizzonte temporale molto breve e non ha l’autorità che sarebbe richiesta.
Sarebbe però diverso se gli atti fossero concordati tra i contendenti e solennizzati dalla presenza del rappresentante del Governo. L’orizzonte temporale si allungherebbe in quanto si darebbero garanzie di continuità nel tempo oltre la scadenza elettorale a tutti i contraenti e ai soggetti interessati in genere e si assicurerebbe quell’autorevolezza e quella base di consenso che oggi manca.
Andare in questa direzione significherebbe, dovrebbe essere evidente, espungere dalla campagna elettorale queste emergenze. Nessuno dei contendenti potrebbe farsi forte rispetto all’altro su questo terreno.
Una simile soluzione andrebbe a scapito della chiarezza delle posizioni e sbiadirebbero i motivi di contrasto? Non necessariamente. Di certo, ne guadagnerebbero i cittadini interessati. Che sono varie migliaia.
A proposito del prendere esempio, potrebbe valere la pena di assumersi questa responsabilità in nome degli interessi generali del popolo che si ha l’ambizione di rappresentare, anteposti a quelli delle parti in cui si è collocati. Una scala di priorità che il segretario nazionale del PD non perde occasione di richiamare.

sabato 10 novembre 2012

DOPO MONTI: DIETRO L’ANGOLO, IL BUIO?


Le elezioni sono vicine ma le prospettive, anziché chiarirsi, si fanno sempre più confuse.
Dopo il “fine corsa” del Governo Monti, si era detto, dovremo tornare al “normale” funzionamento delle istituzioni. Non più “strane” maggioranze, ma ritorno alla politica, coalizioni in concorrenza per governare il Paese.
Ma c’è grande confusione e un solo punto fermo emerge con chiarezza: che niente sarà più come prima. Il quadro politico che abbiamo conosciuto fino all’anno scorso è morto e sepolto e non si intravede uno scenario alternativo, a poche settimane dall’avvio della campagna elettorale.

Dei tre poli, iL centro sembrava quello con meno dubbi: dopo Monti non c’è che Monti. Invece è ormai abbastanza chiaro che, per quante alchimie possano inventare per la legge elettorale così da rendere incerto il responso delle urne, Monti ha ben poche probabilità di tornare ad essere premier. Anche perché il centro non ha sfondato, né nelle prove elettorali né nei sondaggi, e si è invece ridimensionato e sfarinato. API da una parte, FLI dall’altra, il gran daffare dei cattolici si è impantanato, resta solo una UDC ben lontana dal 10%. Ricordate Casini? “Non  terzo polo ma primo”. In effetti non è più un polo, né primo né terzo, e deve scommettere, più modestamente, sul ruolo classico di ago della bilancia.
D’altra parte, fin qui non è riuscito a far capire al paese su quali idee forza chiamava le altre formazioni a una mediazione. Invocare una “fase costituente” per superare l’emergenza, puntare sul compromesso per il compromesso significa lavorare non per la salvezza del Paese ma per affossarlo. Perché un futuro politico all’insegna dell’instabilità, in equilibrio precario su mediazioni forzate anziché basato su una sana dialettica democratica, è uno dei possibili scenari che per i mercati giustificano un “rischio Paese” e fanno schizzare gli spread.
Se non si è depositari di una proposta autonoma e convincente si deve scegliere da che parte stare. Non farlo ora ma dopo, senza compromettersi in anticipo, sarebbe un’ennesima manifestazione di degenerazione della politica. Ma se i centristi non vorranno portare una simile responsabilità (che gli elettori hanno dimostrato di saper punire) e faranno la loro scelta da prima, come democrazia vorrebbe, il potere di interdizione andrà a farsi benedire.
Dilemma scomodo, che in una ipotesi di grande coalizione non si porrebbe. Ma non si può continuare a accarezzare questa ipotesi per il dopo Monti a dispetto dell’evidenza.

                 

E i due poli maggiori? Quello di centro-destra, che ha governato l’Italia per nove degli ultimi undici anni, è andato in frantumi. Senza Berlusconi, con la Lega per conto suo, il PdL ha perso del tutto la capacità di unificare l’elettorato di riferimento. Se per una parte “Monti sta portando avanti egregiamente il nostro programma”, la stampa militante, dando voce alla pancia di una larga fetta di elettorato, sostiene invece che ha instaurato uno “stato di polizia”, il “regno del terrore” (fiscale), su un diktat degli odiati tedeschi. E Berlusconi appoggia a giorni alterni l’una o l’altra tesi.
In questa situazione il centro-destra vorrebbe disperatamente tornare ai fasti del passato … ma senza Berlusconi come candidato leader. Per attestarsi, insieme alla Lega, su una prospettiva di opposizione? No, quella pancia, sempre affamata, non è più disposta a “traversate del deserto”, ha assaporato il gusto della ricchezza attraverso il potere e non si rassegna a rinunciarvi. Finiranno per scegliere un abbraccio con Casini, una destra moderata, con il cappello PPE?
E’ una prospettiva che spaventa assai la cosiddetta “sinistra di governo”. Quella che non intende lasciare Monti alla destra. Ma è realizzabile? La destra in versione pulita non ha mai avuto la maggioranza in questo paese. Senza divagare troppo con un excursus storico, basta ricordare che anche la DC dei tempi d’oro per mantenersi nei confini della destra liberale pagava un prezzo alla destra eversiva e alla criminalità mafiosa e a aveva bisogno di “aiutini” (leggi “lavoro sporco”) dagli alleati occidentali nella guerra fredda. Poi, caduta la DC, Berlusconi ha sdoganato l’eversione anticostituzionale della destra radicale.
Questo scenario presuppone dunque che la parte “presentabile”, chiuso il capitolo Monti, trovi il modo di pagare i prezzi necessari per ricompattare l’elettorato che ha sorretto per qualche lustro l’avventura berlusconiana. Altro che agenda Monti: corruzione, evasione fiscale, anti-istituzionalismo (mascherato da anti-statalismo).
Non sembra facilmente realizzabile. Si deve anche considerare che questa prospettiva non spaventa solo la sinistra ma il “mondo libero” (sia pure con eccezioni rilevanti: ma intanto Romney ha perso) e soprattutto i mercati. Lo zoccolo duro dello spread oltre i due-tre anni dipende, a detta di tutti gli analisti, dal semplice fatto che questo scenario, tragico per il paese, è ancora considerato possibile, per quanto improbabile. Le parole di Monti, quando ripete che mandando a casa Berlusconi non si è scongiurato solo il rischio default del nostro Paese ma la dissoluzione dell’intera Eurozona, potranno anche apparire una forzatura, ai limiti del terrorismo verbale, ma è facile ritenere che rispecchino fedelmente un timore, se non una convinzione consolidata, delle cancellerie europee, di destra e di sinistra (oltre che di Washington).

Domandiamoci allora: se il primo scenario (“grosse koalition”, grande inciucio) piace al centro ma molto meno a centro-destra e centro-sinistra; se quello dell’accordo destra-centro (ritorno del figliol prodigo Casini) assomiglia molto a un berlusconismo senza Berlusconi che potrebbe far rimpiangere il bunga-bunga e spaventa i mercati, c’è uno scenario realistico che possa vedere la sinistra in un ruolo di governo, determinante?
Su questo versante, nell’anno trascorso con Monti al governo si sono dissolte sia la “foto di Vasto” che l’intesa con Casini. Si è dunque ulteriormente indebolito lo schieramento progressista? “Aiuto, mi si sono ristrette le alleanze”?
Chiariamo: nonostante quello che alcuni fanno finta di credere, quello schieramento non sarebbe stato autosufficiente. Ma neanche quello PD-centro. E la somma delle due non-sufficienze, ammesso che si fossero superate le reciproche incompatibilità, non avrebbe fatto un totale sufficiente. A maggior ragione non lo farebbe ora che è esploso il fenomeno “5 stelle”, che pesca un po’ dappertutto nel vasto scontento, erodendo quindi anche il bacino potenziale del centro-sinistra.
La questione che si pone NON riguarda dunque la scelta delle alleanze, tra apertura al centro e recupero della diaspora a sinistra, ma la capacità di elaborare una proposta convincente e credibile per gli elettori. In primo luogo quelli di sinistra, a partire dal suo bacino tradizionale ma non solo. Tale da attrarre in misura rilevante anche un centro “ago della bilancia” (se parliamo di schieramenti politici) ovvero un elettorato centrista, moderato ma aperto verso le proposte della sinistra.
La condizione perché ciò accada è che la sinistra ABBIA una proposta. E’ tautologico ma non scontato. Poi, che trasmetta la percezione della convinzione di potercela fare: è difficile convincere la maggioranza degli elettori se per primi non si è convinti.
Qui sorgono però i guai. Inutile negare che vi sia stata (e serpeggi ancora) una tentazione, che allontanerebbe ogni sforzo propositivo: arrivare al governo, uscito di scena di Berlusconi, dopo la parentesi Monti, senza grandi sforzi di elaborazione ma, anzi, scendendo il meno possibile nel concreto delle scelte, spesso scomode. Puntando, non alla maggioranza dell’elettorato, ma a una maggioranza parlamentare. Alla Camera, si intende (col Porcellum) per accordarsi col centro al Senato.
Ora, al di là del disgusto che merita il Porcellum, è chiaro che l’accordo durerebbe fintanto che l’alleato decide di farlo durare. Una soluzione costruita ex post, senza un retroterra programmatico, porterebbe l’alleato, per condizionare la sinistra, a caratterizzarsi, anziché sui temi su cui è più facile un accordo, su quelli che darebbero maggiore visibilità, più identitari per una sensibilità moderata, perfino “confessionali”. Film già visto (Prodi 2), senza lieto fine.
Purtroppo, anche le primarie continuano a far parlare di sé più per il confronto tra gli apparati che per la dialettica delle idee e delle proposte. Quando una sinistra con l'ambizione di governare deve invece sforzarsi di presentare agli elettori qualche ipotesi di soluzione, che si misuri con la concretezza dei problemi.


Le idee ci sono. Partecipo a incontri di vario genere, nelle sedi più diverse, ricchi di stimoli e di spunti. Riescono a fare proposta politica?
Gli elettori apprezzano che si voglia riequilibrare il carico fiscale. Chiedono però di capire come si intende manovrare su aliquote e detrazioni; se con una patrimoniale, ordinaria o straordinaria; con quali strumenti contro elusione e evasione.
Apprezzano che si voglia combattere la precarietà, ma chiedono se si pensa di dare spazio ai lavoratori nella gestione delle imprese, di premiare quelle che valorizzano il lavoro, di aiutare a fare impresa giovani, donne, stranieri (che trovano chiuse le porte del mercato del lavoro).
Apprezzano che si intenda tornare a un “pacchetto” di diritti e vincoli nelle relazioni di lavoro, ma chiedono cosa in concreto si pensa sia irrinunciabile perché la libertà di impresa non vada a ledere la dignità dei lavoratori.
Apprezzano il ritorno allo stato di diritto, all’etica pubblica e alla solidarietà, ma chiedono se saranno recisi, combattendoli senza tregua e con efficacia, i legami tra politica e criminalità organizzata, se sarà usato il pugno di ferro contro la corruzione e risanata la burocrazia permeabile o corriva, tagliati gli sprechi.
Apprezzano il richiamo alla sostenibilità, in tema di energia e di ambiente, di economia verde e blu, ma chiedono quali investimenti saranno favoriti e quali vincoli saranno imposti per assicurare la coerenza tra fini perseguiti e mezzi adottati.
Mi fermo per non rischiare di omettere temi importanti. E’ importante però aggiungere in conclusione che, su temi come quelli che ho elencato, nessuno poteva aspettarsi risposte dalla “parentesi Monti”. Ma senza risposte su questi temi, come si potrà davvero salvare l'Italia?

P.S. Devo scusarmi nell’eventualità che qualche lettore particolarmente affezionato ai miei scritti (se mai ce ne siano) mi abbia trovato un po’ ripetitivo. Effettivamente ho ripreso, con minimi adattamenti richiesti dai mesi trascorsi, un pezzo di inizio anno su “Eguaglianza e Libertà” (http://www.eguaglianzaeliberta.it/articolo.asp?id=1477). Purtroppo, lo dico con qualche tristezza, non mi è sembrato di dover cambiare granché.

mercoledì 7 novembre 2012

A fianco dei lavoratori Solagrital



Sto seguendo con emozione, e non poca apprensione, le vicende della Solagrital.
Ha una grande importanza politica.
Mette a nudo gli aspetti negativi di dieci anni di centro-destra in Molise, errori da non ripetere, una cultura da sradicare. E metterà alla prova la capacità del centro-sinistra, se vincerà le elezioni, di affrontare e risolvere i problemi più spinosi. Di non deludere le speranze in un futuro migliore.
Di più. Ha pesanti implicazioni umane e sociali.
Ne va delle sorti di centinaia di lavoratori dipendenti, più o meno stabili. Di migliaia di lavoratori collocati, “a monte” e “a valle”, nel ciclo che fa perno su Solagrital. Delle loro famiglie. Dell’indotto. Non è esagerato dire, non lo è mai stato da quando esiste lo stabilimento di Monteverde, che l’intera economia del Matese molisano è in bilico. Si è retta fin qui su quella filiera e ne dipende, quindi, per la sua stessa sopravvivenza.
Per me c'entra poi la biografia.
Diciotto anni fa, quando mi fu affidata la responsabilità della CGIL del Molise, non feci neppure in tempo a disfare le valigie che esplose drammaticamente la crisi di quella che era allora la SAM, costola molisana del gruppo Arena. Un banco di prova, oltre che una vicenda da cui sono nati legami affettivi che il tempo non ha cancellato né affievolito.

Anche allora i conti non tornavano.
Il Gruppo Arena, allora secondo produttore avicolo dopo Aia, perdeva quote di mercato e sopportava gravi squilibri di bilancio. I più erano convinti che, essendo al Nord la testa, le radici del gruppo, l’”appendice” meridionale avrebbe pagato le conseguenze più pesanti. Anche perché, già allora, la politica che aveva favorito l’insediamento con laute sovvenzioni, aveva preteso un ritorno in termini di consenso condizionando assunzioni e assetti di vertice.
Perfino la maggioranza dei lavoratori aveva poca o nulla fiducia nelle prospettive future. Quando poi si arrivò alla chiusura dello stabilimento nei pressi di Verona in cui era concentrata la parte prevalente della produzione, quello con la migliore redditività, almeno sulla carta, inserito in un tessuto produttivo evoluto, per allevamenti e approvvigionamenti, e in un mercato più ricco, il destino apparve segnato.
Anche allora serpeggiava, con la sacrosanta rabbia, molta disperazione. Muoia Sansone con tutti i Filistei, si arrivò a dire (l’ho sentito ripetere in questi giorni). I concorrenti assaporavano l’idea di spartirsi quella fetta di mercato. Non mancava chi pensava di trarre vantaggio da una liquidazione, se non da un fallimento, per accaparrarsi i benefici che la politica, atterrita all’idea di dover pagare pegno e perdere una fonte preziosa di consenso, sembrava pronta ad elargire di nuovo.
Anche allora erano in vista le elezioni regionali e il centro-destra, che era stato stabilmente al governo sin dalla nascita della Regione, era in crisi. Per ragioni nazionali, la caduta del primo governo Berlusconi, ma anche per il logorio della politica clientelare, le promesse non mantenute, le troppe contraddizioni e delusioni. A Isernia si era assistito alla novità di una giunta comunale “progressista”, apprezzata dai cittadini anche alla prova dei fatti. Il sindaco, Marcello Veneziale, appariva in grado di conquistare la fiducia popolare anche fuori da quel contesto cittadino.
Non entro nei particolari, si sa come andò a finire. La nuova Giunta si adoperò per una soluzione “casalinga”, molisana. Provò a scommettere sull’abbinamento Molise – qualità, rovesciando lo schema più scontato. Non il ricco Nord sarebbe sopravvissuto ma il Sud “buono”, genuino. Il marchio Arena avrebbe acquistato quella connotazione. Il territorio, l’”osso” della penisola, anziché piangersi addosso e pagare anche per la parte ricca, si salvava affidandosi alle sue qualità migliori. La terra, poco antropizzata, il lavoro, ancora poco “alienato”.

Se oggi alcuni passaggi di quella storia si ripetono, è perché quella scommessa non è stata vinta. La partita pur tuttavia è stata giocata. Ma la politica era cambiata di nuovo, troppo presto, grazie a un “ribaltone”, che il Molise ha vissuto per primo nel Paese, e a un’abdicazione (potrei dire, alla fellonia) che ha segnato – e segna ancora – il destino della sinistra molisana.
Poteva finire meglio, ne sono convinto, ma oggi si devono di nuovo fare i conti con un dissesto, una gestione sciagurata, un domani oscuro.
La storia non si ripete mai uguale, lo sappiamo, le tragedie spesso mutano in farsa. Ora i concorrenti sono cresciuti mentre Arena non è più così ingombrante. Il suo marchio tuttavia ha ancora un appeal. Quella associazione di idee con bontà e genuinità non si è persa del tutto, anche se è stato fatto molto per cancellarne definitivamente ogni traccia. Spartirsi le spoglie e accaparrarsi quel marchio è ancora un bersaglio seducente: per farlo fuori definitivamente o per rilanciarlo su altri prodotti, altri processi, altri territori. Le alternative possono essere giocate entrambe.
Non si devono commettere errori, dunque, se non si vuole perdere una partita che si presenta tutta in salita, sì, ma non compromessa.
Oggi che non sono più in prima linea, dopo diciotto anni, posso forse dare un sostegno, in termini di esperienza o di conoscenza, ma non sta certo a me decidere un bel niente. E' con molta cautela, dunque, che azzardo anche, a conclusione di un percorso nella memoria, una considerazione, rivolta a chi quella lotta la sta vivendo in prima persona come invito di riflessione.

Credo che la difficoltà della vertenza imponga di tenere insieme tre dimensioni, che sono tra loro distinte ma richiedono ciascuna pari attenzione.
Un primo livello, immediato, è quello della tutela degli interessi vitali dei protagonisti più deboli e più esposti. Riscuotere subito, prima di ogni altra incombenza, i crediti non è solo questione di un privilegio riconosciuto dalla legge. E’ sopravvivenza. Ma è anche il modo più sicuro di costringere a tenere scoperte le carte. Perché, qui viene il secondo piano, la vicenda si dipanerà lungo passaggi e mosse articolate e assai complesse, che richiederanno capacità, competenza e, non ultima ma addirittura decisiva, affidabilità dei protagonisti. Dunque trasparenza totale, partecipazione, coinvolgimento.
Si deve diffidare di chi fa appello alla riservatezza, di chi confonde le acque, di chi non si confronta ma spia. Un pezzo fondamentale della vicenda, se non il suo cuore, è rappresentato da una società quotata in Borsa, Arena. Soggetta alle regole di trasparenza su cui quella istituzione si regge. A maggior ragione in quanto ammessa ad una procedura di concordato preventivo. Sarebbe paradossale che Solagrital (così come Gam), controllata dal pubblico, si sottraesse a quelle regole continuando a coprirsi dietro un velo di arcano. Tanto più se in gestione commissariale, affidata a chi, proveniente dal mondo cooperativo, dovrebbe ispirarsi al principio della solidarietà.
Accanto alla tutela prioritaria e intransigente degli interessi vitali, accanto all'esigenza di trasparenza e partecipazione, c'è infine la visione strategica. Il futuro non è oggi, ma da oggi occorre sapere in che direzione ci si sta muovendo. Può sembrare l'aspetto meno pressante, “domani è un altro giorno, si vedrà”. Non lo è.
Non è la stessa cosa produrre per un marchio che si controlla, il cui valore sul mercato può essere tradotto in valore per il territorio dove si produce, anziché per qualcuno che trasferisce valore, ricchezza, altrove, per un altro marchio o per fare del marchio (fin qui) molisano l'uso per lui più conveniente. Non è la stessa cosa produrre per chi intende posizionarsi su una fascia di mercato di qualità più elevata (associata a una maggiore aggiunta di valore) giocando anche sulle caratteristiche del territorio ovvero per chi scommette sul taglio dei costi per tenere i prezzi finali in una fascia bassa, sia pure di largo consumo ma costantemente sotto la pressione competitiva dei produttori dei paesi emergenti.
Voglio essere chiaro. Non credo si debba ripetere il mantra della “molisanità”, come si fece a metà degli anni Novanta. Il certificato di nascita e di residenza non sono dirimenti. Dirimente è il progetto industriale. Molisana deve essere la filiera, molisano il marchio di qualità, molisana la scommessa della partecipazione e dunque molisani i protagonisti, corali, del progetto. Della carta di identità non sappiamo che farne quando vediamo qualcuno che, nato qui vicino, sta organizzando la più grande spoliazione industriale della storia italiana, il trasloco del maggiore complesso produttivo italiano in USA, in Brasile o nei Balcani.
Dunque, chiediamoci fin da ora: che scelta si intende fare quanto alla proprietà del marchio Arena, che la proprietà ha messo sul mercato all'interno della procedura concordataria?

Lungimiranza, e nervi saldi, insomma. In bocca al lupo, in primo luogo ai lavoratori della Solagrital che … si sono svegliati (non solo su Facebook).