Riprendiamo
il tema delle prospettiva Arena - Solagrital dal punto in cui lo
avevamo lasciato nel post
precedente.
Prima
merita però un accenno, ancora una volta, la situazione
Zuccherificio. Dall'incontro con le rappresentanze sindacali
nazionali dello scorso 11 settembre sembra emergere la
consapevolezza, da parte di queste ultime, della centralità del tema
dei “distaccati” ritornati presso la “old-co.” (ovvero presso
lo Zuccherificio del Molise spa). Attraverso questo problema si
riescono a inquadrare nel complesso le prospettive dell'intera
operazione concordato preventivo–newco–dismissione e si comprende
se si stia lavorando a un possibile rilancio della filiera ovvero
alla liquidazione, cioè ad un'operazione di carattere finanziario,
con altri scopi. Stando al verbale dell'incontro, per quei lavoratori
(rimasti attualmente in 28) si dovrà “prevedere il ricorso a tutti
gli strumenti utili a gestire la fase di tutela e di piena
occupabilità,
verificando tutte le condizioni tecniche, organizzative e produttive
possibili”. E' un significativo passo in avanti, quanto meno verso
la consapevolezza di quale sia la strada da percorrere, che passa per
soluzioni “tecniche, organizzative e produttive”. Non si parla,
non a caso, di condizioni finanziarie, che per i 28 rimasti alle
dipendenze dello Zuccherificio non hanno alcun senso. L'occupabilità
implica una produzione in piedi, che trovi riscontro sul mercato.
Quello deve rimanere l'orizzonte e i 28 non possono aspirare ad altro
che a quello, che significa la salvezza della filiera e di tutti i
suoi componenti.
Quanto
all'altra filiera minacciata di estinzione, quella del pollo, abbiamo
concluso il post precedente segnalando che il cerino è ora nelle
mani della Regione.
Vediamo
più da vicino che cosa significa.
Il
concordato preventivo avviato per Arena Spa poggia tutto
sull'accettazione da parte di Solagrital e quindi (posto che il socio
minoritario è Arena, che non può non approvarlo ma per evidenti
motivi non ha voce in capitolo) da parte del socio di maggioranza, la
Regione.
Può
rifiutare? Condannerebbe Arena, perdendo così i suoi crediti (quelli
vantati da Solagrital e gli affitti). Salverebbe almeno Solagrital?
No, perchè disgrega la filiera molisana. A monte, perché perde
credibilità nei confronti degli allevatori “soccidari”, che già
stanno migrando verso altri lidi (in particolare, per quanto mi
consta, verso Aia); a valle perché perde il traino del marchio Arena
ed esce quindi dai canali della Grande Distribuzione (o al più vi
occupa posizioni del tutto marginali).
Dovrebbe
perciò, quasi inevitabilmente, liquidare Solagrital. Lascio ad altri
più ferrati di me l'onere di avanzare congetture sulla praticabilità
di una soluzione che vedrebbe l'Ente Pubblico Regione portare al
fallimento una sua partecipata. Potrebbe avanzare la richiesta di un
concordato preventivo con qualche speranza di vederlo accolto dai
creditori? Potrebbe sottrarsi, in caso di rifiuto, all'onere di
soddisfare integralmente i creditori (non solo quelli privilegiati)?
E, trattandosi degli allevatori soccidari, posto che ve ne fossero le
condizioni legali, potrebbe sopportarne anche le conseguenze
politiche?
Non
mi sento di dare una risposta ma esprimo forti dubbi. Credo, in
definitiva, che sia una situazione impercorribile a meno di un
esborso della Regione che vada a coprire tutte le pendenze che
gravano su Solagrital (senza rientrare dei crediti vantati verso
Arena se non per le briciole). Per poi ritrovarsi con un pugno di
mosche in mano. Il deserto produttivo, lo smantellamento dello
stabilimento di Monteverde e l'elemosina degli ammortizzatori sociali
per le centinaia di lavoratori che vi operano, l'abbandono degli
allevatori del Matese al loro destino, alla ricerca di qualche
compratore in regioni distanti, a prezzi in caduta libera.
Non
è un film dell'orrore, di pura fantasia. E' la conseguenza
ineludibile di un fallimento, politico e sociale prima che economico.
L'alternativa
dunque qual'è? Ripianare tutti i debiti con denaro pubblico e
permettere alla ruota di continuare a girare?
C'è
chi spera ancora che si possa fare. Basterebbe risolvere il (piccolo)
problema di reperire quel denaro pubblico. Se qualcuno sa dove
trovare un centinaio di milioni (è l'ordine di grandezza, dieci più
o dieci meno) per salvare sia Arena che Solagrital con piena
soddisfazione dei creditori, sia il benvenuto. Il gioco è fatto.
O
forse no. Perché c'è da verificare che la ruota, riprendendo a
girare, non continui ad accumulare quei passivi annui che sono stati
registrati ultimamente. Se così non fosse, la ruota dovrebbe girare
a carico (totale) delle casse della Regione. Ovviamente, nessun
privato si farebbe carico di una “macchina” che produce perdite
anziché utili.
Nessuna
delle due soluzioni estreme è dunque percorribile. In mezzo c'è una
strada stretta, che passa per alcuni punti fermi.
Il
primo è la ricomposizione della filiera.
Arena
e Solagrital sono ai ferri corti. Lo sono i due vertici, ma quello di
Arena intende chiaramente farsi da parte non appena in Borsa si
presenti un compratore che intraveda una via di rilancio. Quello di
Solagrital ha rimesso il mandato, a partire dal rappresentante di
Arena. Dunque il campo è libero.
E'
qui dunque che la Regione è attesa alla prova. Non può sottrarsi,
deve dimostrarsi capace di “reggere il cerino”, senza bruciarsi,
perché non c'è nessun altro a cui girarlo. Deve rimettere insieme
la filiera.
Le
condizioni politiche per riuscire in questa impresa sono pesantissime
per la Giunta Iorio. Perché non può più difendere la catena di
comando con cui ha finora stretto un patto di ferro. Deve trovare un
compratore. Arena è in Borsa, dunque l'operazione deve essere
trasparente, i compratori saranno controllati da Consob e piccoli
azionisti e dovranno dimostrarsi affidabili per il futuro, oltre a
dover offrire condizioni credibili di rilancio. Con questi vincoli,
nessun privato accetterà di farsi carico di chi ha alle spalle
questa disfatta. Perciò la Giunta Regionale deve rinnegare la sua
storia (e i suoi compagni di avventura).
Dubito
che possa farlo ed è per questo che dovrebbe avvertire il senso di
responsabilità di farsi da parte senza indugio. Il fallimento di
Solagrital è il fallimento di questa Giunta. Ma una Giunta non porta
libri in Tribunale. Questa, piuttosto, si è presentata in Tribunale
per restare in carica e resisterà ancora fino al 16 ottobre.
Qualcuno dovrà dunque sostituirsi alla Giunta nel gestire e portare
a buon fine questa operazione. Sostituirsi, ribadisco, non dare una
mano, che significa scendere a patti. Non ci sono patti percorribili.
Non perché si debba essere spietati con gli sconfitti ma perché il
mercato è senza cuore, si basa su calcoli, non su sentimenti. E' la
politica che deve dare un'anima al mercato, torno a ripeterlo come
nel post precedente, ma è a sua volta condizionata dalla sua dura
aritmetica. Del dare e dell'avere.
Ricomporre
dunque la filiera. Con un management nuovo. Con cui confrontarsi
sulle condizioni politiche, che la Regione, parte pubblica e perno di
tutta l'operazione, deve porre in termini inderogabili (pur nel
rispetto dei vincoli di bilancio).
E
veniamo dunque al cuore del problema. La filiera non può che essere
ricomposta sul territorio. A chilometri zero, come si usa dire oggi.
Diciamolo
con altre parole. Chi compra il marchio Arena non può andare
comprando i polli, su cui applicarlo, in giro per il mondo. Né può
appiccicarlo su polli che già produce da qualche altra parte. Deve
vendere prima di tutto, con quel marchio, i polli prodotti nel
Matese. Che significa, allevati nel Matese e macellati a Monteverde
di Boiano.
Ne
consegue, per un calcolo economico elementare, che deve riacquistare
lo stabilimento e stipulare in prima persona i contratti di soccida.
E che Solagrital deve essere liquidata e venduta di nuovo ad Arena.
Più esattamente, a chi avrà acquisito il controllo del pacchetto
azionario di Arena investendo i capitali necessari.
E
la storia dal '94 al 2000 che fine fa? Archiviata. Archiviata
l'operazione della scissione, la polpa (i segmenti della filiera a
maggiore valore aggiunto) al privato, l'osso (quelli a minore valore
aggiunto, o privi del tutto di margini) al pubblico. L'astuzia di
allora, congegnata per salvare la fetta molisana di Arena dal
disastro veronese, ha retto per l'emergenza ma appena è stata
trasformata in un meccanismo “a regime” ha mostrato tutta la sua
fragilità, aviaria o non aviaria. Non ci può essere un segmento
produttivo e uno che perde quattrini. C'è un ciclo di lavorazione
che deve essere, nel suo assieme, improntato alla qualità.
Si
può fare? Certo. E si deve fare. Nelle mani di chi ha l'esperienza e
la competenza per farlo.
Che
cosa significa?
Qualità
degli allevamenti. Mangimi, la cui produzione del resto dovrebbe
rientrare il più possibile nel ciclo “corto” della filiera;
condizioni ambientali, interne agli allevamenti e verso l'esterno
(emissioni e rifiuti); selezione dei caratteri.
Qualità
della lavorazione, in tutte le fasi. Innovazione nei processi (i
margini sono ristretti ma ci si deve aggiornare di continuo) e
soprattutto nei prodotti, che possono apparire standardizzati ma
offrono invece spazi sempre nuovi all'inventiva. Condizioni
ambientali (come sopra), tracciabilità, trasparenza.
La
strategia commerciale segue il percorso della qualità e ne trae
forza. Si sviluppa poi secondo le sue logiche specifiche. I marchi
sono più di uno, si può pensare di differenziare gli standard e
quindi i target di mercato (e i prezzi) per non lasciare sguarnita
nessuna fascia, dalle boutique gastronomiche fino ai discount. E ci
si può rivolgere, senza paura di passare per visionari, ad un
mercato estero in crescita, di volumi e di prezzi. Purché non si
commetta l'errore di spacciare per pollo di qualità quello che si
compra a poco sui mercati emergenti, né quello di svendere sotto
costo, per pagare cambiali in scadenza, un pollo “dal sapore di una
volta”, allevato nel rigoroso rispetto dei più elevati standard di
qualità, “sputtanando” un marchio pregiato .
Non
essendo un esperto di economia aziendale, so di essermi limitato a
considerazioni non troppo originali. Ma avverto il dovere di metterle
nero su bianco in una situazione in cui sembra essersi eclissato
perfino il banale buon senso. E ne traggo spunto per toccare su un
tema che è stato oggetto di considerazioni non banali da parte di
analisti di tutto rispetto. Il tema è quello del modello di business
su cui aveva impostato sin dall'inizio tutta la sua strategia Dante
Di Dario, peraltro con buoni risultati iniziali.
L'idea
guida, di fare del territorio d'origine il certificato di qualità
del marchio per promuovere il prodotto in una fascia di mercato più
alta e perciò più remunerativa era un'idea sballata, una pia
illusione? Qualcuno l'ha definita come l'idea del “pollo fashion”,
il pollo griffato, per stabilire un parallelo con la strategia
commerciale di Tonino Perna all'Itierre. Ma se la definizione è
senz'altro brillante, rischia però di svilire quello che merita
invece, a mio parere, di essere salvaguardato in quella idea. Perché
non è l'idea di una interconnessione tra qualità del prodotto e
qualità del territorio che ha portato alla catastrofe, quanto
l'incapacità di tener fermo a quella idea a causa dei presupposti su
cui era stata costruita la scomposizione della filiera. A causa
insomma della scelta di fare delle prime e seconde lavorazioni (se
non anche delle terze) un segmento “bad” per riservare tutto
l'investimento sulla qualità ai segmenti a valle, alla Newco Arena
spa.
Al
nesso territorio – qualità, per la filiera ricomposta, si può
dunque tornare.
Occorre
tagliare? I conti devono tornare, certo. Ma (qui parlo da economista
del lavoro) non è alto il costo per ora lavorata (salvo che per
qualche segmento in alto) e non deve dunque essere tagliato. Deve
anzi tornare a crescere per allinearsi agli standard correnti. E'
invece alto il costo per unità di prodotto, ma dipende da altri
fattori. Troppe ore lavorate (poca produttività) per unità di
prodotto e costi troppo alti delle transazioni intermedie.
Chiunque
si sia avvicinato appena un po' a quel mondo sa perfettamente dove si
annidano sacche poco produttive. E quali fattori pesano sulle
transazioni intermedie. Il primo è un problema che si risolve da
solo nel momento in cui si verifica un ricambio del management con
acquisizioni dall'esterno (non da Marte, devono semplicemente essere
esenti da condizionamenti, anche senza venire da lontano). Il secondo
rinvia a quanto detto in precedenza sul rinnovamento di tutti i
segmenti della filiera, a monte (allevatori) ma anche a valle
(commerciali).
Occorre
investire denaro pubblico? Non sto qui a fare i conti che starà
all'oste fare una volta che il pranzo sarà stato ben cucinato. Dico
però, senza il timore di essere contraddetto, che le risorse che la
Regione deve mettere in campo sono soprattutto quelle politiche. Di
indirizzo. Di cooperazione tra i soggetti coinvolti, istituzionali e
non, collettivi e non (individui). Si devono coinvolgere i
coltivatori (mangimi), gli allevatori, i lavoratori dello
stabilimento, la “forza vendita”. E' questo che serve per
rinnovare i segmenti della filiera e riportare il conto economico in
equilibrio espandendo i volumi prodotti. Si deve fare marketing
territoriale per attrarre investitori e promozione di immagine, del
territorio e non solo del marchio. Compiti che la Regione dovrebbe
assolvere in via ordinaria ma hanno assunto il carattere di impegni
straordinari.
Infine
un accenno agli investitori. Ci sono fondi di investimento (anche
esteri, come i fondi pensione). Capitali investiti nel ramo, che
sarebbero in grado di valutare le potenzialità della filiera
molisana, pur sempre la più meridionale in Italia. Trovo però da
riprendere e da non lasciar cadere assolutamente lo spunto che viene
offerto da alcuni commentatori a proposito di forme di partecipazione
dei lavoratori all'acquisto di quote, anche importanti, della
società.
Non
mancano le competenze, né le idee, né la passione civile, né la
rettitudine. Mancano i capitali necessari? Ecco una sfida che
dovrebbe sollecitare le migliori energie in campo finanziario. Non
quelle speculative, ma quelle che hanno come ragione sociale il
sostegno al capitale di rischio in imprese con buone potenzialità e
patrimonio scarso (o nullo). Ci sono esempi anche molisani in questo
campo. Potrebbero sentire un richiamo del cuore. Per mettere in moto
il freddo calcolo, si intende. Orientandolo, però, anche col cuore.