Le elezioni sono di nuovo alle porte. La campagna elettorale non sarà la stessa dello scorso anno. Servirà a presentare i provvedimenti in cantiere per risolvere i grandi problemi, le emergenze di una regione che deve ripartire.
Torniamo sul tema dello Zuccherificio. Per un aggiornamento ma anche per esaminare più da vicino, oltre agli errori e alle difficoltà, le possibili vie di uscita, la strada da seguire.
Torno
a parlare di elezioni in Molise.
Il
tempo stringe.
Perché
è probabile che si voti in autunno.
Perché
in questa situazione la Giunta, che aveva già brillato per inerzia,
insensibile alla gravità dei problemi, abbasserà del tutto la
saracinesca. Almeno, non potrà lasciare il classico avviso “Torno
subito”. Non torneranno.
La
campagna elettorale sarà molto diversa da quella del 2011.
Gli
eletti non dovranno accreditarsi, sono stati visti all’opera e
misurati. Starà ai nuovi farsi conoscere e agli sconfitti aggiustare
il tiro per la rivincita.
Il
centro-sinistra non dovrà farsi apprezzare per il programma. Non può
essere cambiato (almeno nelle linee fondamentali e nelle priorità)
in pochi mesi.
Piuttosto,
a partire dal candidato presidente Di Laura Frattura, dovrà
dimostrare di essere andato oltre il programma e di avere utilizzato
questi mesi per affrontare i problemi ed esaminare i dossier,
partendo dai più urgenti e spinosi, per tracciare le linee dei
provvedimenti da varare nell’immediato dopo-elezioni. Insomma, meno
affermazioni di principio, molta concretezza. Questo chiedono i
cittadini molisani.
Con
“spirito di servizio”, come si dice in questi casi, per portare
anch’io il mio sassolino, riprendo un tema, di quelli scottanti e
urgenti, cui ho dedicato un pezzo alcune settimane fa. Il “disastro”
dello Zuccherificio del Molise.
Senza
spacciarmi per esperto di economia aziendale, senza avere specifiche
conoscenze sul settore bieticolo-saccarifero, in base a quel tanto di
nozioni di economia applicata che ho appreso negli anni, a qualche
esperienza di “tavoli” di
salvataggio industriale e, soprattutto, pretendendo di saper fare di
conto, vorrei fornire al lettore interessato qualche aggiornamento
sul tema già affrontato
(http://molise11.blogspot.it/2012/02/zuccherificio-una-storia-da-raccontare.html)
con un approfondimento relativo al da farsi. Anche stavolta chiederò
che si armi di santa pazienza (una calcolatrice non guasterà).
Per
cominciare, credo si debba biasimare, senza mezzi termini, la
supponenza e l’insensibilità dei governanti (fin qui) della
Regione in una materia di questa delicatezza e di questa
drammaticità.
Incombono
istanze di fallimento, i conti sono in profondo rosso, a spese dei
contribuenti molisani, le prospettive produttive quanto mai incerte,
i pagamenti bloccati. Ma Michele Iorio ritiene di poter dichiarare
(il 2/3/2012) che “il
gruppo di lavoro sulla continuità aziendale
(costituito a seguito della mozione PD nel Consiglio che si era
tenuto un mese prima sull’argomento) raggiungerà
nella prossima
settimana
conclusioni … che consentiranno la rapida
attuazione delle
decisioni attinenti la ricapitalizzazione
e il rilancio
produttivo dello
Zuccherificio”.
Effettivamente per la ricapitalizzazione è bastata una riunione di
Giunta, avvenuta due settimane dopo per attuare quanto deliberato dal
Consiglio. Ma il rilancio produttivo?
Appena
qualche giorno dopo (6/3/2012), risponde così a un’interrogazione
di Francesco Totaro: “non
c'è, da parte nostra, nessun ritardo colpevole, anzi c'è
l'attenzione necessaria per salvaguardare questa struttura. Esprimo
personale ottimismo sulla soluzione finale della questione“
Tralascio di commentare l'autodifesa sul “ritardo colpevole” alla
luce di quello che la Giunta Iorio doveva fare e non ha fatto (e di
quello che non doveva fare e ha fatto) negli ultimi cinque anni.
Quanto all’’ottimismo. non credo fosse motivato da altro che
dall’esito dell’incontro di due settimane prima tra gli assessori
molisani competenti ()
e il Ministro Catania, che aveva garantito lo sblocco dei fondi CIPE
(annualità 2009) per il bieticolo-saccarifero, lungamente e
vanamente sollecitati in precedenza al Ministro Galan, per 35 milioni
(cui se ne devono aggiungere 30 per il 2010). Mentre, in
contemporanea, dall’AGEA arrivava la “positiva notizia” del
“pronto utilizzo” dei 19 milioni dovuti.
Ora,
potrei dire che la disponibilità di fondi non è di per sé una
buona notizia se i destinatari non sanno utilizzarli che per tappare
le falle da loro stessi create e per dilapidarne altri, in nome della
logica che li ha sempre guidati, la ricerca del consenso immediato,
senza futuro, fine a se stesso. Ma per non inasprire i toni polemici
mi limito a riportare un comunicato emesso, tre
mesi dopo l’incontro
(23/5/2012), dai sindacati nazionali dell’agro-alimentare che
congiuntamente, prendendo a cuore le sorti di Termoli, lamentano il
fatto che
“tutti
gli operatori bieticolo – saccariferi attendono ancora l’erogazione
degli aiuti riferiti alle campagne 2009 e 2010 in attuazione degli
impegni a suo tempo assunti e più volte confermati dal Governo”.
Ottimismo?
E,
guardando alla parte opposta dello schieramento politico, davvero
Paolo Di Laura Frattura è un visionario, o un “gufo della
sinistra”, come si auto-definisce ironicamente, quando parla
(8/4/2012) di una “ennesima pagina buia” e di “triste
cronaca di una morte annunciata per crisi" a proposito delle
notizie di stampa sul fatto che “la produzione potrebbe saltare
per la mancanza di materia prima”?
Veniamo
allora ai fatti e alle cifre che possono dare al lettore un’idea
più precisa della consistenza dei problemi. Potremo così ragionare
sulle strade che si dovranno percorrere, se alla guida finalmente ci
sarà un governo animato dalla volontà di operare per il bene dei
cittadini, a partire dai più deboli.
Partiamo
proprio dalle notizie di stampa a cui si riferisce Frattura. La fonte
non è l’ultimo arrivato. E’ Alberto Alfieri, il nuovo manager
chiamato in soccorso dalla Giunta per tentare di porre rimedio al
disastro, che dichiara di non aver mai visto “un'azienda
in condizioni così disastrate … uno stabilimento trasandato, con
macchinari vecchi, in una situazione niente affatto compatibile con
gli ingenti investimenti - circa 60 milioni di euro, tra versamenti
di capitale e finanziamenti - effettuati negli ultimi due anni dalla
Regione".
E’
difficile immaginare che sia prevenuto, o ostile verso chi gli ha
conferito tanto incarico. Ma per maggiore tranquillità, in ossequio
a un rigoroso principio di obiettività, farò parlare l’Assessore
Scasserra citando le cifre che fornisce in occasione della
discussione della mozione Totaro a cui abbiamo già fatto
riferimento. Ecco quanto dichiara, stando alla trascrizione
ufficiale, riportata testualmente: “Oggi
c'è l'emergenza dettata dalla necessità di addivenire ad un numero
consistente di ettari a semina primaverile, perlomeno speriamo altri
4 mila. Se dovessimo raggiungere i 4 mila più i 5 mila che sono
stati già seminati, ciò consentirebbe di fare una campagna
dignitosa, ma non ottimale.“
La
prosa trascritta non rende giustizia all’eloquio di Scasserra ma le
cifre sono chiare. Facciamo dunque qualche conto prendendo per buona
l’ipotesi “speriamo che me la cavo” di 9mila ettari messi a
coltura.
A questa ipotesi dovrebbe
corrispondere, stando al resoconto di stampa del consiglio
di amministrazione e dell'assemblea dei soci che si sono tenute
l’11/5/2012, una quota produttiva, posta come obiettivo da
raggiungere nel 2012, di trentamila tonnellate, per assicurare un
conto in pareggio. Questi sono infatti i conti esposti in quella
occasione dall'assessore Vitagliano, solitario componente
dell’assemblea dei soci, ridotta a “organo
monocratico della Regione”,
che ha voluto anche far sapere di aver “conferito
mandato pieno ad Alfieri sia per avviare la campagna bieticola 2012,
sia per cominciare il percorso di ristrutturazione dell'azienda, di
cui a breve dovrà portare a conoscenza tutti sul nuovo piano
industriale.”
Perdoniamo
anche in questo caso la trascrizione e passiamo a fare qualche conto.
Nella campagna 2010 (l’ultima che possiamo definire “normale) gli
ettari coltivati erano stati 13.500 (l’obiettivo 2012 si ferma
dunque esattamente a due terzi) e la resa era stata di 128,3 kg. di
zucchero per ettaro. Mettendo insieme le dichiarazioni dei due
assessori scopriamo dunque che, se la resa attesa è la stessa del
2010, ci si aspetta che la campagna non superi i 5.300 ettari, con
buona pace della speranza espressa da Scasserra che se ne
aggiungessero 4.000. Perché se invece fossero coltivati 9.000 ettari
avremmo un calo della resa impressionante: ancora peggio!
Eppure
Gianfranco Vitagliano nello scomodo ruolo solitario di “dominus”
dello Zuccherificio ci dice che i conti saranno in pareggio.
I
conti non sono stati in pareggio con ben più del doppio di ettari
coltivati: si sono anzi accumulate perdite assai significative. Oggi
poi lo stabilimento è perfino più “trasandato” di allora. Se
non altro per il susseguirsi di furti (cavi, recinzioni, per cifre a
sei zeri). Non può pretendere di essere creduto.
Ma
non finisce qui. Andiamo avanti con i conti perché dobbiamo prendere
in considerazione anche il prezzo. Era stato stabilito, nell’agosto
del 2010, per il triennio 2011-2013, con grande soddisfazione dei
bieticoltori, in 45,5 €/t. La tabella per la stagione in corso -
che, si badi bene, era stata contrattata nell'agosto del 2011
partendo dall’ipotesi di una superficie effettiva coltivata di
14.000 ettari, per una produzione di 100.000 tonnellate di
saccarosio, che non ci si sogna più di raggiungere – arrivava e
prevedere un costo a carico della società, quindi al netto dei
contributi europei (art. 68 reg. CE) destinati ai produttori (per €
7,5/t) di 47,5 €/t riservato ai produttori delle province di
Campobasso, di Foggia e della valle dell’Ofanto (un po’ meno per
quelli più distanti, considerando il costo aggiuntivo del
trasporto). Il ricavo per il produttore, con l’aiuto previsto dal
Regolamento comunitario, sale a 55 €/t.
Ora,
al lettore potrebbe interessare qualche confronto. Sapere, ad
esempio, che lo Zuccherificio Eridania di S. Quirico (PR) e quello
Co.Pro.B. di Pontelongo (PD), che rappresentano oltre i 4/5 della
lavorazione di barbabietole da zucchero in Italia, sopportano un
onere (in base al prezzo concordato in sede di accordo
interprofessionale) di 29,29 €/t.
Eppure
si parte per tutti dal prezzo base fissato a livello europeo di 26,29
€/t.
Da
dove proviene una simile differenza
di prezzo?
Possono stare
in piedi i conti
di uno stabilimento che paga la materia il 50% (abbondante) in più
dei concorrenti? Dove
intervenire, dove correggere?
Il
lettore di buon senso, quello che non si nutre di anti-politica e
mantiene una salda fiducia nelle istituzioni e nei rappresentanti
eletti, sarà convinto che queste domande se le stiano ponendo i
componenti del tavolo tecnico, che stanno “stressando” (che belli
gli anglicismi che sostituiscono il latinorum per gettare fumo negli
occhi!!) il piano industriale (quale versione? di quale annata?).
Penserà che siano l'assillo costante delle notti degli assessori
competenti ().
Avrei voluto esserne convinto anch’io ma non ho trovato il minimo
indizio che ciò stia accadendo.
Mi
sono dunque dovuto rassegnare a fare da solo e provo a mettervi a
parte delle risposte.
1)
La differenza
di prezzo.
Deriva dal fatto che le associazioni dei produttori di barbabietole
delle regioni del nord “hanno
individuato la via della trasformazione delle polpe surpressate di
spettanza dei coltivatori in biogas per la produzione di energia
elettrica, programmando la realizzazione di una serie di impianti
nei comprensori vicini agli zuccherifici, riversando gli utili
ricavati sul prezzo delle bietole”.
Ce lo spiegano M.
Guidi, Presidente
di Confagricoltura e di A. N. B. e A.
Mincone, Presidente
di C. N. B. (le due associazioni nazionali dei bieticoltori).
Di
quanto parliamo? Parliamo di 5,9 €/t. Al contrario in Molise è la
Regione (nella veste di Zuccherificio spa) che si accolla 2,5 €/t
per valorizzazione energetica delle polpe (che non valorizza) e 1,6
€/t per rinuncia dei produttori alle polpe stesse (che nessuno,
dunque, valorizza ma la Regione “ricompensa”). Aggiungiamo poi
che gli Zuccherifici del Nord-Est si accollano 3 euro di integrazione
sul prezzo europeo (che infatti sale da 26,29 a 29,29) mentre in
Molise l’extra a carico della regione raggiunge la ragguardevole
cifra di 17,11 €/t (di cui 9,01 come integrazione, mentre altri 8,1
appaiono a titolo di “incentivo” ai produttori).
2)
Possono stare
in piedi i conti?
Sarebbe un miracolo se la produttività nella fase di lavorazione
riuscisse a compensare un simile handicap. Ma è tutto il contrario.
Le bietole lavorate giornalmente in fabbrica sono un po’ meno della
metà rispetto ai concorrenti (dato 2011): anche se i giorni di
lavorazione industriale sono invece tra il 15% e il 50% in più, la
produzione vendibile per ettaro resta nettamente al di sotto in
termini di valore: 2.130 € contro i 2.460 € di San Quirico e i
2.660 € di Pontelongo. Per ogni ettaro coltivato, a parità di resa
in barbabietole, si
paga dunque di più e si ricava di meno.
Non può stare in piedi.
3)
Prima di ragionare sugli interventi da fare bisogna dare una risposta
chiara alla domanda preliminare: c’è
una alternativa alla resa incondizionata?
La risposta è affermativa, e l’esempio del nord lo dimostra. Ma la
strada è radicalmente diversa da quella seguita fin qui. E non è un
caso che gli stabilimenti concorrenti siano in mano, l’uno
all’unico produttore privato, con una dimensione internazionale,
rimasto in circolazione (Maccaferri, Eridania), gli altri due ai
produttori consorziati e perciò direttamente motivati al successo
economico non solo nella fase industriale ma fin da quella agricola.
E’
da lì dunque che deve partire l’intervento. Produrre barbabietole
in Italia può ancora essere conveniente e remunerativo. “Bietola.
Finalmente un’annata ok” titola G. Gnudi su “Terra e Vita” n.
41/2011. Ottime rese, ottima qualità, remunerazioni del tutto
soddisfacenti per i produttori. Piange solo l’azionista unico dello
Zuccherificio del Molise (e più ancora i suoi fornitori e
salariati).
Occorre
dunque, per prima cosa, coinvolgere i produttori (molisani e pugliesi
innanzi tutto). Stabilire una collaborazione stretta, in un clima
possibilmente di sintonia anche politica su ideali e obiettivi
condivisi, con la Regione Puglia e con le realtà associative dei
produttori delle due regioni. La qualità della barbabietola
“appulo-molisana”, quanto a “polarizzazione”, è migliore di
quella delle regioni padane. La
resa per ettaro può e deve migliorare.
In
secondo luogo, la valorizzazione energetica delle polpe
“surpressate” non può restare lettera morta. Se non se ne fanno
carico i produttori, come avviene nel nord-est (scontando il prezzo
relativo) dovrà attrezzarsi il lato industriale (a questa previsione
economico-finanziaria deve dare risposta il sospirato piano
industriale) in proprio o attraverso un terzo soggetto. Il risultato
non deve essere però al di sotto di quello che è stato ottenuto al
nord.
Infine
gli investimenti sullo stabilimento. Nel nostro Paese c’è
un livello di competenza ingegneristica nel campo dei macchinari
industriali che non ha eguali al mondo. Abbiamo superato la Germania
sui mercati più ricchi e su quelli più in crescita. Avanti tutta,
quindi, per le soluzioni più avanzate.
Muovendo
questi tre tasti lo stabilimento di trasformazione può di nuovo
essere vendibile. Per continuare a produrre, non per consentire
all’ennesimo “furbetto” di lucrare perpetrando ancora un furto
con destrezza ai danni del contribuente.
C'è
una priorità banche e fornitori? Ovvio, ma solo nel senso che
si deve scongiurare il fallimento e la chiusura dei rubinetti
nell'immediato. Si può fare se ci si presenta con un'idea credibile,
un progetto convincente costruito su scadenze precise da rispettare
ad ogni passo. A queste condizioni il problema può scalare
nell'ordine delle priorità e diventare il passo n. 4, a suggello dei
tre già indicati. E andare a coincidere con la messa sul mercato a
condizioni accettabili.
L’alternativa
insomma è possibile. Guida prudente, con mano sicura, su una rotta
ben tracciata. Appena i tempi saranno maturi. Prima possibile.