lunedì 27 febbraio 2012

Solagrital. Un'altra storia da non dimenticare. Nel tramonto di Iorio


La condanna di Iorio è un altro segno della fine di un ciclo politico. Per quanto il centro-destra possa tardare a trarne le conseguenze, il centro-sinistra sarà presto chiamato a responsabilità di governo.
QUALI RISPOSTE AI GRAVI PROBLEMI DEL MOLISE?
Torniamo al programma elettorale. Approfondiamo i dossier. Sulla politica economica e del lavoro, sulla sanità e i servizi, sulle infrastrutture e l'ambiente.
QUALI PROPOSTE DI POLITICA ECONOMICA E DEL LAVORO?
Continuiamo l'approfondimento. Dopo la vicenda dello Zuccherificio questa settimana ci occupiamo di Solagrital.
Anche qui incombe un fallimento (un'udienza si è già tenuta, rinviata a breve). Quello di Arena.
Anche in questo caso, non una questione tra le tante di cui si deve occupare la Regione. Una storia quasi ventennale in cui si rilegge la politica molisana.
Dedicata a chi vuole essere informato e farsi un'opinione. In due puntate.

PREMESSA - 1)
IL DOPO IORIO SI AVVICINA A GRANDI PASSI
Iorio ha commesso il fatto e non lo nega.
La sua difesa nega che il fatto commesso configuri un reato.
Non solo tutti coloro che in queste ore hanno espresso solidarietà (prima sul traguardo l'on. De Camillis), ma anche quelli che tacciono e non lo invitano a dimettersi ritengono. come lui, che il fatto commesso non sia reato.
Si configura perciò UNA QUESTIONE POLITICA, ben prima che giudiziaria. Quale concezione dell'etica pubblica dimostra di avere chi considera normale, “corretto”, perfino “nell'interesse della collettività” (così dichiara Iorio) affidare incarichi per centinaia di migliaia di euro alla società che ha assunto il figlio. Per un rapporto che non ha neppure fatto finta di produrre?
Se resterà abbarbicato a quella poltrona trascinerà con sé nel baratro la sua compagine che si è dimostra sodale, SENZA ECCEZIONE ALCUNA. Per quanto? Fino al 17 maggio? Che ne pensano i suoi successori in lotta, i vari Pietracupa, Vitagliano, Di Sandro, Chieffo?
Il centro-sinistra deve prepararsi a governare senza più esitazioni o furbizie. Chi ha teso la mano, strizzato l'occhiolino, cercato alleanze trasversali faccia un passo indietro. Con quella politica, non c'è più spazio per compromessi.

PREMESSA - 2)
TORNARE AL PROGRAMMA. IN UN QUADRO ANCORA PEGGIORE
Si deve tornare al programma elettorale di Paolo Frattura. Per ripartire da lì e andare avanti alla luce dell'evoluzione dei problemi da affrontare. Un'evoluzione tutta negativa: in pochi mesi si sono già accumulati nuovi disastri. Ne abbiamo parlato in post precedenti, l'ultimo dei quali dedicato alla vicenda dello Zuccherificio, riassunto della miseria della politica molisana. Decine di milioni di euro gettati alle ortiche dopo essersi lasciati scappare l'occasione d'oro dei finanziamenti comunitari per la riconversione. Con l'alibi, che torno a definire ignobile, della difesa del “posto di lavoro”.
La politica economica e occupazionale è una priorità assoluta. C'è bisogno di aiutare una ripresa che significhi creazione di ricchezza, di posti di lavoro, di servizi pubblici e abbattimento della povertà e delle diseguaglianze.

APPROFONDIRE I DOSSIER
POLITICA INDUSTRIALE E DEL LAVORO.
UN'ALTRA STORIA DA NON DIMENTICARE – SOLAGRITAL-ARENA

Continuiamo dunque nell'approfondimento dei dossier. Un altro fallimento eclatante incombe, oltre a quello che si discute il 27 febbraio per lo Zuccherificio. Quello del Gruppo Arena, da cui dipendono le sorti della filiera agricola e in primo luogo della Solagrital e degli allevatori. Il 15 febbraio si è già tenuta la prima udienza, rinviata al 12 aprile per l'esame della documentazione fornita da Arena.
Che sta succedendo? Quale sorte attende i lavoratori di Bojano e del Molise centrale? Che fine faranno le enormi risorse finanziarie che la regione ha riversato per scongiurare la chiusura di uno stabilimento e di una filiera decisiva per quell'economia?
La storia parte da lontano. Inquadrarla a dovere non è semplice perché si intreccia con l'alta finanza, anche internazionale, con la concorrenza dei mercati globalizzati, senza dimenticare gli effetti di fenomeni apparentemente lontani come l'influenza aviaria in Estremo Oriente. Ma in fin dei conti, dopo aver percorso una via apparentemente tortuosa, ci si ritroverà a parlare molisano. A guardarsi allo specchio. Per scoprire, di nuovo, il volto della politica molisana e delle sue miserie.

ANTEFATTO - 1994
LA CRISI SAM - ARENA – COME SALVARE LA FILIERA MOLISANA
Dobbiamo dunque riavvolgere il film della crisi attuale e andare all'inizio della storia.
Il punto di partenza possiamo fissarlo al 1994, quando entra in crisi il Gruppo Arena, di proprietà di una famiglia veronese, secondo produttore avicolo italiano (dopo AIA), con due stabilimenti, uno in Veneto e uno a Bojano. La strada del fallimento sembra segnata, la resistenza nell'area veronese è debole (AIA sembra offrire valide alternative agli allevatori), si pone il problema della sorte dello stabilimento di Bojano (quello di Verona chiuderà in breve tempo).
Per dare un'idea della situazione del mercato, AIA veleggiava al di sopra dei due milioni di polli a settimana (con una produzione concentrata nella pianura padana), Arena poco oltre il milione, per un po' meno della metà lavorati a Bojano; seguiva quindi, sotto al milione, Amadori, che dalla Romagna si era spinto più a sud con uno stabilimento nel teramano.
Quale strada fu scelta allora? Le alternative erano ridotte a due (più una variante): lasciare andare Arena verso il fallimento, affidando le speranze di ripresa alla capacità dei liquidatori di vendere l'attività a qualche imprenditore intenzionato a rilanciare lo stabilimento di Bojano; ovvero, individuare un “salvatore” pronto ad acquistare, prima del fallimento, il marchio e le attività molisane (stabilimento e contratti di fornitura con gli allevatori), dismettendo quelle veronesi. La variante consisteva nella possibilità che la politica entrasse nell'operazione salvataggio, con risorse finanziarie e/o normative.

UN'OPERAZIONE DI SALVATAGGIO ALL'INSEGNA DELLA “MOLISANITA'”
CON VINCOLI POLITICI E SINDACALI.
Contro il fallimento si mosse uno schieramento molto vasto di forze sociali e politiche. Si deve tenere conto del fatto che contemporaneamente si era aperta una crisi seria allo stabilimento Fiat di Termoli dove l'azienda, per ottenere l'introduzione di tre turni supplementari il sabato, minacciava di spostare la nuova linea dei motori negli stabilimenti polacchi (primo caso, apripista di una serie di vicende successive le cui cronache hanno avuto ampia eco). Il collasso simultaneo di Arena e Fiat avrebbe messo in ginocchio la regione.
Occorreva dunque lavorare perché giungessero proposte di acquisto da imprenditori affidabili PRIMA che gli avvenimenti precipitassero, in modo da scongiurare una chiusura i cui tempi sarebbero stati imprevedibili e i danni incalcolabili. Cassa integrazione a zero ore per i dipendenti, quindi meno reddito e incertezza sul posto di lavoro. Ricerca di sbocchi alternativi per gli allevamenti, con le incertezze che ciò comportava ma anche con l'entrata in campo dei concorrenti di Arena che avrebbero potuto impedire sul nascere ogni speranza di rilancio della filiera avicola molisana.
Non ci si limitò tuttavia a questo. Intervennero altri due fattori: le condizioni sindacali (contrattuali) e quelle politiche.
Sindacali: il contratto in vigore a Bojano era quello dell'industria alimentare, mentre la concorrenza applicava quello dell'agricoltura (meno oneroso). Il privato che si era fatto avanti, Amadori (che scommetteva su una sinergia Bojano-Teramo nel rapporto con gli allevatori e nella logistica) poneva come condizione il contratto del gruppo (operai agricoli, non industria).
Politiche: lo stabilimento di Bojano era stato gestito con le modalità tipiche degli insediamenti nel Mezzogiorno, in stretta simbiosi tra impresa e politica (DC): su assunzioni, ruoli di vertice, forniture di servizi gravava il peso di un ferreo “consociativismo” se non di veri e propri diktat dei potentati locali.
Si andò quindi alla ricerca di un diverso imprenditore che fosse disposto ad investire alle condizioni politiche e sindacali del passato (Amadori non lo era) in cambio di un apporto di risorse pubbliche. La formula che doveva nobilitare questo scambio era quella della “salvaguardia della molisanità” e il “cavaliere bianco” che apparve all'orizzonte era Dante Di Dario, proveniente dall'esperienza del sodalizio con la famiglia Patriciello nella Neuromed di Pozzilli. Il piano industriale faceva un passo in più sulla molisanità: puntava su un legame tra marchio Arena e marchio Molise. Regione agreste, garanzia di genuinità, per un rilancio del pollo molisano come pollo di qualità rispetto a quello dei concorrenti.

UN'OPERAZIONE DI SALVATAGGIO CON MOLTE ALCHIMIE FINANZIARIE E MOLTA INGEGNERIA SOCIETARIA.
Mettere in luce questi vincoli, di natura politica e sindacale, è necessario per comprendere l'evoluzione successiva e in particolare le soluzioni di ingegneria societaria (e le alchimie finanziarie) che furono allora adottate e che sono alla base della situazione odierna.
Per illustrarle, occorre partire da una valutazione di quali fossero i punti di forza di Arena che potevano rendere appetibile l'acquisto anche senza la metà “storica”, quella veneta. In primo luogo il marchio, ben distribuito, ben introdotto nella Grande Distribuzione e pubblicizzato a dovere, non solo per il pollo “morto” ma anche, se non più, per quello lavorato, in particolare surgelato. In secondo luogo la logistica, verso il mercato meridionale. Infine, si è detto, il possibile abbinamento al territorio.
Punti di debolezza erano invece dati dai costi di produzione non competitivi. Sia per un maggior prezzo locale dei mangimi sia per i costi di gestione, gravati, rispetto alla concorrenza, dai vincoli a cui abbiamo accennato: il peso di un contratto di lavoro più oneroso (quello industriale) e il sovrappiù di management intermedio e di servizi “non essenziali” imposto dalla politica.
La soluzione di ingegneria societaria fu trovata conferendo ad una holding la proprietà del marchio, la distribuzione del prodotto e le attività a valle a più elevato valore aggiunto. Accanto a questa, una newco, una cooperativa agricola di nuova costituzione, avrebbe preso su di sé il ciclo di lavorazione, dal pollo vivo a quello morto e ai prodotti confezionati.
Si sperimentava in sostanza (Di Dario dimostrava di avere una certa genialità in questo campo) uno schema che nel corso degli anni, da allora, avrebbe preso piede largamente: scorporare le attività a bassa o nulla redditività in una “bad company” per concentrare in una società-scrigno le attività a maggiore valore aggiunto. La definizione della Solagrital (ovvero della società cooperativa a responsabilità limitata a cui sono state conferite le attività dello stabilimento di Bojano) come “bad company” potrà dispiacere. E' assai difficile però contestarne la giustezza. Ma di questo parleremo in seguito.
Quale calcolo di convenienza abbia portato il sistema politico a sposare questa soluzione e a garantire tutto l'appoggio necessario – quasi una polizza di assicurazione – alla “bad company”, su cui si sarebbero concentrati i rischi imprenditoriali, garantendo invece piena libertà imprenditoriale al “salvatore” è il tema con cui oggi è chiamata a fare i conti la politica molisana.

UNO SCHEMA CHE HA FATTO SCUOLA. SOCIALIZZARE LE PERDITE E PRIVATIZZARE I PROFITTI. CON UN RISVOLTO SINDACALE ...
Se svolgiamo rapidamente il film di questa storia da allora ai giorni nostri vediamo come la soluzione abbia retto solo per qualche anno, per precipitare non appena un fattore esterno come l'influenza aviaria ha portato a una severa selezione dei concorrenti sul mercato (quello mondiale così come quello italiano) in cui avevano un peso decisivo i differenziali di produttività. Da allora (2005) non ha più retto fino a portare la politica a doversi fare carico non solo della bad company ma anche della stesso “scrigno del tesoro”. Il temuto collasso che oggi deve essere fronteggiato non riguarda più solo Solagrital ma la stessa Arena.
Sulla storia di questa evoluzione torneremo nella prossima puntata. Guardando ai fatti così come sono stati registrati nei documenti ufficiali della società, per gli aspetti gestionali, e della Borsa, per quelli finanziari, almeno da quando Arena è una società quotata.
Prima di svolgere quel film è necessario però dedicare ancora un po' di attenzione al ruolo della politica e del sindacato nella vicenda.
Come – e in che misura – si sia protratto nel tempo lo schema consociativo è un tema che lascio per ora da parte (lo rimetto alla fantasia e alle conoscenze dirette dei lettori). Dobbiamo porci però una domanda: se il sistema politico ha nel complesso sposato quelle soluzioni, quale posizione hanno assunto i sindacati? Si sono distinti? Si sono opposti? E, se non lo hanno fatto – come in effetti è avvenuto – quale calcolo li ha mossi, quale strategia hanno seguito?
Ebbene, il sindacato ha a più riprese espresso posizioni di critica e perfino di denuncia rispetto alle scelte che stavano prendendo piede. Ma ha sostanzialmente accettato, o subito, che si dividessero, con le società, anche le sorti dei lavoratori. Per salvaguardare i livelli salariali (ED I DIRITTI) di chi era dentro fu sostanzialmente avallata una soluzione con cui si abbassavano salari e tutele dei nuovi assunti, oltre che di quelli, tra i “vecchi”, con meno potere contrattuale (perché precari o perché neo-assunti o perché “meno protetti”).
So bene che il tema della divisione tra insider e outsider è un tema abusato; che se ne è fatto argomento per sostenere tesi a mio parere insostenibili. Tuttavia non può essere risolto con un colpo di spugna. Lo schema adottato allora (un po' come quello della “bad company”, di cui è parente) ha fatto da modello per un'infinita serie di soluzioni. In primo luogo nell'area pubblica: dalle cooperative dell'assistenza infermieristica o dei servizi ospedalieri di minore complessità, a quelle dell'assistenza sociale, spesso coperte dalla foglia di fico della sussidiarietà (volontariato, terzo settore). Dall'esternalizzazione dei servizi scolastici a quella delle attività di custodia e guardiania. Un campionario sterminato di interventi con il bisturi per separare le sorti dei contrattualizzati stabili da quelle degli esclusi, dei deboli, dei nuovi. Con rapporti anche di 1 : 2 tra i redditi per le stesse mansioni.
Che sia diventata prassi comune, attenua forse le responsabilità per avere avallato quella soluzione? Penso di no, e nel dirlo sento quasi, avendo vissuto personalmente la vicenda, di dover onorare un debito, proponendo una riflessione, attraverso una ricostruzione degli errori di allora. Perché l'errore si è protratto nel tempo e proietta la sua ombra sui problemi odierni.
Una riflessione, voglio aggiungere, che serva anche a sgomberare il campo dalle molte ipocrisie che accompagnano questo argomento. E' giusto, credo, sostenere che abbassare le tutele ai più protetti non comporta che aumentino per i meno protetti, ma all'ombra di queste obiezioni finisce per essere adottata la soluzione di lasciare le cose come stanno, senza penalizzazione, per quelli che sono dentro, lasciando che qualche concessione venga fatta per chi dovrà essere assunto da domani in poi. L'alibi è l'impossibilità di trovare soluzioni che non siano a danno o degli uni o degli altri. Invece un'alternativa esiste e il caso tedesco lo dimostra. E' possibile accettare un patto in cui le tutele diminuiscono – temporaneamente – per tutti in cambio di un aumento – nel tempo - sia di occupazione che di salario che di potere (leggi, democrazia economica) per tutti e non solo per gli anziani.
E non è affatto vero che un patto di questo genere sia inesigibile, che lasci tutti i rischi sulle spalle dei lavoratori senza che l'imprenditore ne debba pagare alcuno. Un patto, per un sindacato che fa il suo mestiere, è fatto di dare e avere, di concessioni e di contropartite, che pareggino il conto. Ma fare il proprio mestiere per un sindacato significa contrattare essendo forte della consapevolezza del proprio potere contrattuale. Potere che poggia soprattutto sulla condivisione da parte dei lavoratori (della “base”) di quella stessa consapevolezza della propria forza, sul consenso che su quelle basi sono disposti a concedere e sull'affidabilità di chi è delegato a trattare. Quando queste condizioni, o anche solo una di esse, viene meno allora sì che NESSUN PATTO è esigibile. Mi lascia interdetto un sindacato che, in alcune sue componenti, dimostra di considerare qualsiasi accordo come una trappola, una bufala, e si appella alla politica o alla magistratura per sopperire a una debolezza che non ritiene di poter superare altrimenti, con le sue sole forze.

ANTICIPIAMO QUALCHE CONCLUSIONE. UNA POLITICA ARROGANTE CHE SI CONSIDERA AUTORIZZATA AD AGIRE AL DI SOPRA DI QUALUNQUE CONTROLLO. CONTRO LE LEGGI DELLA DEMOCRAZIA E QUELLE DELL'ECONOMIA
Chiedo venia per questa digressione forse troppo legata al vissuto personale. Torniamo al film Arena – Solagrital che abbiamo riavvolto al 1994, al momento in cui è stato fissato l'imprinting, lo schema iniziale su cui la nuova iniziativa si è modellata con un segno che è rimasto indelebile fino ad oggi.
Voglio però anticipare la conclusione cui ci porterà, nella prossima puntata, la storia della vicenda fino ai nostri giorni.
Oggi (per essere più precisi, dal 2008) la situazione è precipitata. Non c'è solo l'istanza di fallimento. C'è un affannoso rincorrere la situazione, si cerca di valutare, dagli estratti contributivi, quanti accompagnamenti all'esodo siano “sopportabili”, ci si rimpallano, tra i diversi soggetti coinvolti, ipotesi di conversione dei debiti in capitale, o di ristrutturazione dei debiti stessi, o di ulteriori immissioni di denaro per ricapitalizzare, in realtà al solo scopo di tacitare i fornitori senza uno straccio di speranza di poter investire per ammodernare, promuovere il prodotto, rilanciare la rete di distribuzione ecc. ecc.
La conclusione da trarre accomuna questa storia, in un gemellaggio perfetto, a quella dello Zuccherificio. La politica si è ficcata in un vicolo cieco per aver scelto una soluzione sbagliata sin dalle mosse iniziali. Per essersi sentita autorizzata ad investire il potere, che gli deriva dalle risorse pubbliche di cui può disporre, per mettere al riparo le aziende da salvare dalle incertezze e dai rischi di un'impresa economica. Una scelta proterva, priva di qualunque base di realismo e incurante delle regole elementari della democrazia.
Il potere politico può, certamente, amministrare in prima persona e gestire l'erogazione di servizi e di beni di cui vi sia pubblica necessità, che siano avvertiti come “di pubblico interesse” o “comuni” come oggi si suole dire. Le discussioni – stucchevoli – sul binomio privato / pubblico in una vicenda come questa non sono pertinenti neanche un po'. Né lo zucchero né il pollo sono beni comuni.
Il bene che è stato elevato al rango di pubblico interesse dal potere politico regionale è il consenso dei soggetti che corrono il rischio di essere investiti direttamente dalle crisi. In nome di quello sono state impegnate risorse ingenti in un'operazione di riconversione sostituendosi nel ruolo che un soggetto imprenditore sostiene A SUO RISCHIO E PERICOLO per il suo profitto senza adottare le cautele a cui quello è invece vincolato.
Precetti elementari messi sotto i piedi. Risorse pubbliche ingenti impegnate in iniziative di cui non era in condizione di valutare l'esito. Prima che per incapacità, per voluta omissione. Prima che per stupidità e ignoranza, per protervia e arroganza.
Compiuta questa scelta politica, come tale insindacabile, “sovrana”, ad ogni successivo passaggio “temerario” sono via via aumentati i prezzi da pagare: quelli economici e quelli politici, di democrazia. Passo dopo passo aumentava la dipendenza da valutazioni sempre più di parte per avallare scelte sempre meno assennate. Come il tossico che di dose in dose vede aumentare la sua dipendenza, come la vittima degli usurai che di prestito in prestito vede la “cravatta” stringerglisi attorno al collo.
Nelle battute finali, lo si è visto per lo Zuccherificio con la decisione di azzerare gli organi societari e lo si vedrà per Solagrital (e Arena) con il tentativo di rompere la dipendenza funzionale su cui era stata costruita la “bad company”, il dramma della corsa verso il precipizio è sembrato finalmente offrirsi agli occhi dei protagonisti! Ma il consenso frana, lo ha rivelato il 16 ottobre e si vedrà ancora il 17 maggio. Il mercato punisce e il tribunale fallimentare incombe. I corsi azionari crollano. I milioni e milioni di euro pompati senza criterio in queste avventure stanno togliendo alla Regione ogni margine di autonomia finanziaria e quindi politica. Infine, leggi dello stato dichiarano il sovrano ineleggibile e la magistratura giudicante sentenzia la sua interdizione da ogni pubblico ufficio. E' il tramonto, in una regione che vorrebbe risorgere per vedere l'alba di un nuovo giorno.
Ma c'è sempre qualcuno pronto a dichiarare che il prezzo dello zucchero sui mercati mondiali è in salita e i costi di produzione del pollo molisano in procinto di calare drasticamente. Pronto a giurare sul lieto fine e accusare di disfattismo chi guarda in faccia la realtà. E qualcun altro pronto a tendere una mano, a sollecitare un tavolo, ad appellarsi a qualche Commissario europeo per evitare la catastrofe che di tavolo in tavolo, Commissario dopo Commissario, è stata preparata e portata a compimento. Sono fenomeni tipici, ineliminabili, nelle battute finali della caduta di un regime.

lunedì 20 febbraio 2012

PD, partito "open source"


[16 febbraio – 22 febbraio]
Una conversazione sul PD, che è anche un punto di vista sulla politica in Italia e in Molise.

Tra due giovani di formazione e cultura molto diverse.

Che riflettono e fanno riflettere.


In una recente occasione conviviale ho avuto modo di intavolare una conversazione, per me di grande interesse, con due giovani interlocutori.
Il tema era il PD, ma ne è venuta fuori una riflessione sulla politica in Italia e in Molise, con alcuni spunti che mi è sembrato di dover riproporre. Nella sintesi avrò certamente messo del mio. D'altra parte i miei interlocutori preferiscono l'anonimato e questo mi solleva dalla preoccupazione della fedeltà testuale. Non è un verbale ma una rilettura ragionata, benché molto sintetica (per due ore buone di chiacchiere!).
I due amici hanno formazione e cultura molto diversa e ne devo dare conto. Uno è un giovane amministratore con incarichi di direzione nel PD (lo identifico come il Politico, P), l'altro è un informatico attivo in politica, anche lui con tessera PD ma senza incarichi ad alcun livello (lo identifico come il Tecnico T).

PARTITO SENZA FISIONOMIA?

P – Partito senza guida. In Italia come in Molise
T – Non c'è nulla di male, partito “a rete”, orizzontale, non piramidale. Senza padroni.
P – Non può funzionare. Senza fisionomia. Chiunque può alzarsi la mattina e dire la sua. Solo confusione agli occhi degli elettori.
T – Hai presente “creative commons”? E' un sito Internet dove trovi tutti i contenuti che ti servono, foto, testi, “opere di ingegno”, senza copyright quindi utilizzabili gratis da chiunque. Ecco, il marchio del PD è “creative commons”, non è registrato, non si paga copyright. E' a disposizione di tutti. Perché non funziona?
P – Agli elettori si devono dare risposte, vogliono sapere se saprai risolvere i loro problemi. Devi spiegare loro come farai, se parli con dieci voci diverse non ti capiscono, non ti credono, si rivolgono altrove.

T – Mica vero. Cercano qualcuno che li stia a sentire, che si faccia coinvolgere e affronti, con loro, il problema da risolvere. Se quella persona è del PD significa semplicemente che avrà a disposizione i contenuti che la “rete PD” elabora e mette in comune. Questo è ciò che conta, anche per l'elettore.
P – Non puoi mettere al centro la singola persona, un partito è un insieme di persone, che pensano e agiscono come collettivo. E' un'organizzazione. A quella si rivolge l'elettore.
T – Certo. Un collettivo di persone. Un'organizzazione è un insieme di individui che cooperano. Si dividono i compiti e c'è chi, come te, assume incarichi. Viene scelto in base alle sue caratteristiche (e alle sue disponibilità) per farlo. E' importante però che la rete continui a funzionare come tale e che l'eletto non si separi e non si renda autonomo. La chiave è nella condivisione, non è affatto detto che ognuno la debba vedere allo stesso modo, perdendo la sua individualità.
P – Non è così, un partito ha una sua fisionomia, che prevale necessariamente su quella dei singoli che ne fanno parte, perfino su chi lo dirige. Il compito del “capo” è assicurare la sintesi e farsene portavoce, all'interno e all'esterno. Senza sintesi non c'è individuo che tenga.

UN PARTITO “OPEN SOURCE”?

T – Non ci siamo capiti. Penso anch'io che serva la sintesi. Ma non ci si arriva annullando le differenze. La sintesi non è repressione ma integrazione, valorizzazione. Non riduzione ad uno, come si diceva un tempo, ma crescita.
P – Ma se per te è solo un processo non ci sarà mai posto per un progetto. E la politica senza progetto è gestione dell'esistente o addirittura ritorno indietro. Quindi è politica di destra.
T – Ma no! Hai presente cos'è l'“open source” (creative commons è una sua stretta parente)? Mettere in comune i codici di un programma permette di svilupparlo attraverso il contributo collettivo di un gran numero di intelligenze, senza che nessuno sia proprietario del frutto di quel lavoro. E' una cosa di sinistra, no? Ebbene, secondo te sviluppare un programma non risponde a un progetto? Altro che! E l'obiettivo del progetto è sempre molto chiaro agli sviluppatori! Che sia un'enciclopedia o un elaboratore di testi, tutti sanno dove vogliono andare e condividono il punto di arrivo. Che si sposta via via in avanti finché c'è spazio di miglioramento.
P – Ma un progetto politico non può essere paragonato a Word! E' qualcosa di molto più complesso. Anche ridurlo a un mero tecnicismo, a un applicativo che funzioni meglio, è riduttivo ed è di destra!
T – Al contrario, più il progetto è complesso, più l'obiettivo si articola e si scompone in una molteplicità di risultati da raggiungere, meglio si adatta il modello aperto e orizzontale.
P - E' un'astrazione! Ti assicuro che dovendo fare i conti ogni giorno con una marea di complicazioni, interessi in conflitto tra loro, norme da rispettare, ogni secondo una scelta da fare, la condivisione e la rete orizzontale mi appaiono una pia illusione.


La responsabilità ultima è tua e solo tua. Per un partito è la stessa cosa. Purtroppo, però, in un partito come il PD non si riesce mai a capire di chi sia la responsabilità ultima. Guarda quello che sta succedendo con le primarie! Avanti, c'è posto per tutti! E il partito diventa marginale, non conta più niente, anzi, rischia di essere un handicap! E pensi che non ne pagheremo le conseguenze in termini di voti?

ALLA PROVA DELLE PRIMARIE

T – Bravo! Proprio le primarie! Come me lo spieghi che le scelte del nostro partito, che è il partito più grande del centro-sinistra, siano poi state respinte in tanti casi importanti dall'elettorato? C'era il vertice schierato, l'apparato si era pronunciato ma le primarie le hanno vinte altri candidati. A Napoli, a Milano, a Cagliari e, ora, a Genova!
P – Io la risposta l'ho già data. Perché in tutti quei casi il partito si era diviso, non c'era una guida né una fisionomia!
T – Sciocchezze! Per fortuna era diviso, così la sconfitta del candidato “ufficiale” non ha messo fuori gioco tutto il partito, che a Napoli e a Milano ha potuto recuperare...

P – A Genova non c'era un candidato ufficiale, se ci fosse stato avremmo vinto!
T – Ma va! La somma dei voti delle due candidate ha superato di pochissimo i voti di Doria che ha vinto, è chiaro come il sole che se anche fosse stata in lizza solo una delle due avrebbe perso (e la partecipazione sarebbe stata ancora più bassa). Il fatto, più banalmente, è che non erano, nessuna delle due, la candidatura vincente, quella che avrebbe convinto l'elettorato.
P – Ma no, la Vincenzi ha pagato per l'alluvione ma è stata un ottimo sindaco!
T – Vedi come la pensiamo diversamente! Secondo me un sindaco che ha fatto incazzare con il suo comportamento quelli che hanno subito i danni maggiori, che sia stata solo sfortunata o che abbia, come credo io, fatto errori clamorosi, in ogni caso se non ha la sensibilità di avvertire il peso del sentimento diffuso tra i suoi elettori e il dovere di trarne le conseguenze e farsi da parte non è affatto un buon sindaco. Altro che ”martire Ipazia”, si è creduta insostituibile, un errore che un politico non dovrebbe mai commettere
P – Sei ingeneroso, non era presunzione ma abnegazione e senso di responsabilità!
T – Vedremo il risultato delle elezioni, che è quello che conta. Ma allora ti chiedo: pensi che Boeri avrebbe governato Milano meglio di Pisapia? Che Cozzolino (con quello che è venuto fuori e che ha portato ad annullare le primarie) o anche il prefetto (sconosciuto ai più) che il PD ha tirato fuori dal cilindro all'ultimo momento avrebbero governato Napoli meglio di De Magistris? Mi dispiace che il PD non abbia vinto ma sono contento che abbia vinto il migliore, come in genere accade quando le primarie sono partecipate.
P - Mah, io non farei di questi sindaci degli eroi. Li sosteniamo, ok. E speriamo bene!
T – D'accordo, non mitizzo nessuno. Ma ti ho detto che il metodo di governo, lo “stile”, la condivisione, la rete, hanno un'importanza fondamentale, per me. Su questo, mi sembra che stiano tenendo fede alle premesse.

COME SI FA UNITA'?

P – Io penso che se all'elettore proponiamo un candidato indicato con chiarezza - e nella concordia – dal nostro partito, diamo un segnale che non può non essere apprezzato in un momento in cui la politica dà l'impressione di una Torre di Babele che non sa farsi capire ed è sospettata di non avere niente da dire.
T – Non lo credo. Ma dubito perfino che lo creda il partito. Pensa ai casi in cui il partito si divide e presenta più di un candidato. Immagina che si riveda il regolamento e si facciano prima le primarie di partito: pensi che gli iscritti che hanno votato il candidato risultato perdente si sentano poi obbligati a scegliere, nelle primarie di coalizione, per forza quello che ha vinto? Sai che non è così.
P – Può darsi, ma resto convinto che l'elettore non iscritto, quello con meno dimestichezza con le alchimie della politica, apprezzi il fatto che il partito faccia uno sforzo di chiarezza e di unità e dia un'indicazione. Libero di seguirla, ma...
T – I fatti hanno dimostrato il contrario. E non sapresti spiegarmi, nella tua logica, i casi in cui il partito dà indicazioni, più o meno ufficialmente, per un candidato esterno al PD contro candidati iscritti. Sta avvenendo a Palermo, è quello che era avvenuto in Molise.

P – Non saprei spiegartelo perché sono scelte che non condivido.
T – Dunque a Palermo appoggeresti il candidato PD (dell'area “liberal”) anziché la Borsellino.
P – Ma non c'è stato un percorso democratico interno al PD per individuare il candidato del partito.
T – Sai bene che quel candidato, di un'area del PD in cui non ti riconosci, non lo appoggeresti nemmeno se il percorso fosse stato il più democratico e più trasparente. E che in Molise non avresti appoggiato Frattura neanche se avesse aderito preliminarmente al PD e avesse vinto le primarie di partito. Allora contano le persone!
P – Contano le linee politiche e le proposte di cui sono espressione, non le persone in sé, non metto mica in dubbio le qualità di Frattura, o di Faraone a Palermo!
T – Non ti seguo su questo terreno. Se ti chiedessi quali sono i punti programmatici di Faraone che trovi meno convincenti rispetto alla Borsellino (ma il discorso potrebbe valere anche per Frattura) penso che nemmeno tu, che vivi di politica, sapresti spiegarmelo con chiarezza e mi sa che finiremmo a litigare.
P – Allora secondo te non c'è differenza tra una linea centrista, propensa a soluzioni liberiste, e una socialdemocratica, solidaristica che salvaguardi le conquiste dello stato sociale?
T – Le differenze ci sono, l'ho già detto, e sono ricchezza. Ma non si riducono a formule spesso prive di significato. E nessuno può dirsi depositario di una linea più di sinistra, così come non ci si può dire moderati o riformisti solo perché si fa l'occhiolino a Casini. In Molise poi ne ho viste di tutti i colori, le peggiori forme di accondiscendenza e di opportunismo verso il sistema di potere di Michele Iorio” spacciate per un modo per “tenere alte le bandiere della sinistra”
P – Non puoi accusare di opportunismo chi sceglie il compromesso, in politica spesso la soluzione sta nello scegliere il male minore. Non difendo tutte le scelte e tutti i dirigenti ma il giudizio deve essere dato in base alle circostanze e ai vincoli, non in astratto. Oppure si cade nel moralismo e nel giustizialismo. L'importante è che ci sia una bussola per orientare le scelte.

QUALITA' DELL'OFFERTA POLITICA E ANTIPOLITICA

T – Bravo, sottoscrivo. E qual'è questa bussola? La trovi in qualche trattato, o negli slogan alla Gaber, per distibguere tra destra e sinistra, o nelle professioni di fede dei … “professionisti” del richiamo ai valori, per gabbare gli allocchi? No, è il giudizio condiviso l'unica bussola. Un giudizio costruito con i protagonisti, con chi è toccato dai problemi, con chi ha le competenze per passare in rassegna le soluzioni e fornire elementi di valutazione. Condividendo certo i valori di fondo ma mettendoli alla prova del confronto democratico. Questo secondo me è di sinistra, non gli slogan.
P – Pia illusione, te l'ho già detto. Dovìè, del resto, tutta questa partecipazione, questi protagonisti dove li vedi. Le riunioni vanno deserte, c'è una passivizzazione dilagante. Sarebbe bello, forse, ma tu vedi un mondo che non esiste!
T – Ascolta, c'è più passione e competenza in un elettore di sinistra mediamente informato che nella media dei professionisti della politica. Senza offesa, non mi riferisco a te.
P – Magari, io non parlo della passione che si esprime nei discorsi da bar ma di quella che si traduce in un impegno, di partecipazione attiva alla vita politica.
T – Ma quale vita politica viene proposta ai cittadini? Offri occasioni di confronto sulle questioni che stanno a cuore ai cittadini ed hai risposte strabilianti! Oggi poi c'è il web, le occasioni si moltiplicano anche nel mondo virtuale. Invece le sedi di partito restano chiuse e si aprono solo per rituali bizantini che ruotano tutti e solo sulle dinamiche tra i dirigenti per l'occupazione (o la spartizione) delle posizioni di potere.
P – Certo, i partiti sono in crisi, il berlusconismo ha compiuto un'opera micidiale di spoliticizzazione. Spesso vivo il mio ruolo nella solitudine se non nell'isolamento. Sto in mezzo alla gente dalla mattina alla sera, mi occupo dei loro problemi, ma le decisioni le prendo da solo e le critiche me le becco tutte sulle mie spalle. Altro che spartirsi il potere, la regola è scaricare le rogne!
T – Vedi, vi lamentate della scarsa partecipazione ma non fate nulla per un'offerta politica più attraente.
P – Si, sappiamo bene che all'origine dell'antipolitica c'è lo spettacolo miserevole che ha offerto la politica in molte occasioni. Sappiamo che vent'anni dopo Tangentopoli la Seconda Repubblica appare un fallimento, una grande occasione perduta. Ma il PD ha fatto la sua parte, a parte singoli episodi, qualche volta anche gravi ma sempre censurati dal Partito che non li ha mai “coperti”. Non merita perciò di essere accomunato in una critica indistinta.
T – Sei sicuro che il PD abbia fatto abbastanza per distinguersi? Che la colpa sia degli elettori che non si sforzano di capire?

P – Ma ti ho detto che la spoliticizzazione è il frutto avvelenato del berlusconismo, venti anni di campagna, non contro gli errori e i misfatti della politica ma contro la politica e contro lo Stato, hanno lasciato il segno. Oggi dobbiamo ricostruire la passione, l'impegno civico!

I FIGLI SI RIBELLANO

T – Ecco, fermiamoci qui, su un punto che ci vede d'accordo. Anche perché ci reclamano mogli e figli. Dobbiamo ricostruire la cultura dell'impegno. Aggiungo: ma anche i luoghi dove possa manifestarsi. Restiamo in disaccordo sul fatto che è la politica che deve cambiare per prima. E deve accorgersi di quello che si muove, nella realtà, non nei pii desideri, per ristabilire un canale di comunicazione, adeguato alla domanda di politica che c'è e che non trova soddisfazione. Invece di tornare indietro sulle primarie scegliete candidati migliori. Invece di riunirvi solo per gli organigrammi mettetevi al servizio dei movimenti. Provate ad arrivare per primi sui temi, come per l'acqua, invece di cincischiare prima di capire da che parte stare. Ascoltate, non vi isolate e poi vedrete che non vi sentirete soli!
La conversazione è finita tra le proteste delle mogli. “Ma ve la piantate di isolarvi, per parlare di politica!”. I figli avevano giocato tutto il tempo con le palle di neve e avevano trovato un nuovo bersaglio su cui concentrarsi. I padri che, finalmente, uscivano all'aperto.

lunedì 13 febbraio 2012

Zuccherificio. Una storia da raccontare. Da non dimenticare


[9 febbraio – 15 febbraio]
La vicenda dello Zuccherificio merita molta più attenzione di quella che le è stata dedicata dall'informazione regionale.
Perché non è una questione tra le tante di cui si deve occupare la Regione.
E' di più. E' una tragedia-simbolo. Della miseria della politica odierna in Molise.
Quella che segue è un'esposizione dei fatti, partendo dagli antefatti. Con due post-factum.
Dedicata a chi vuole essere informato e farsi un'opinione. Richiede un po' di pazienza.

ANTEFATTI:
N. 1 - Anno 2004

PIANO EUROPEO DI RICONVERSIONE DEGLI ZUCCHERIFICI
L'Unione Europea vara un piano di riforma del sistema di aiuti alla produzione di zucchero (Organizzazione Comune di Mercato, OCM-zucchero), conseguente agli esiti della trattativa sul commercio internazionale, detta Uruguay Round.
Il piano prevede principalmente:
  • una riduzione significativa del prezzo di sostegno alle esportazioni;
  • l'allineamento delle misure a favore della produzione dentro il quadro generale della Politica Agricola Comunitaria;
  • un piano di azione a favore dei paesi dell'area Africa-Caraibi-Pacifico (i produttori danneggiati dalla politica di aiuti alle esportazioni europee);
  • infine, un piano di riconversione degli zuccherifici, finanziato da una tassa a carico dei produttori di dolcificanti, per un periodo di quattro anni per un importo unitario di 125 euro il primo anno e 90 euro successivamente per tonnellata di zucchero trasformato.
La trattativa è condotta per l'Italia dal Ministro Alemanno. Le conclusioni lasciavano prevedere, sulla base dei costi di produzione comparati, il sostanziale abbandono del settore.


Di conseguenza, le Regioni mettono in atto azioni di sostegno, finanziate dai cospicui stanziamenti europei, alla riconversione produttiva, prevalentemente in direzione dell'agro-energia (sostenuta dal Programma nazionale Biocombustibili, Probio).
Per fare solo un esempio, l'Emilia Romagna, a fronte della chiusura degli zuccherifici di Bondeno, Finale Emilia e Russi da vita progetti per la riconversione in impianti termoelettrici (ad olii vegetali nel primo caso, a biomasse erbacee (sorgo) per il secondo, a biomasse legnose (pioppo) per l'ultimo) per una potenzialità produttiva a regime di 65 MWe complessivi; ha inoltre erogato un finanziamento di 4.353.654 euro sul programma Probio per la costruzione di 15 impianti aziendali e interaziendali per la produzione di biogas da reflui zootecnici, con lo scopo combinare salvaguarda ambientale e produrre di energia.
Il Molise fa eccezione decidendo di sussidiare il mantenimento in vita dello Zuccherificio di Termoli.
Qualche notizia in più, su:
La politica di riconversione degli zuccherifici della Regione Emilia
ANTEFATTI:
N. 2 – Dicembre 2009

USCITA DALLA COMPAGINE SOCIETARIA DEL SOCIO PRIVATO “STORICO” E SUBENTRO DI UN NOTO IMPRENDITORE MOLISANO
Il socio privato che storicamente aveva retto le sorti dello Zuccherificio del Molise (l'ing. Tesi) decide di vendere la quota (minoritaria) di cui era rimasto in possesso dopo che la Regione aveva deciso di accollarsi l'onere maggioritario (appena sotto il 60%, parte direttamente parte attraverso Finmolise) dell'impresa chiamata a ristrutturarsi per reggere le nuove – proibitive – condizioni di mercato susseguenti alla riforma UE.
Come acquirente si fa avanti un imprenditore isernino, Remo Perna, che ha una certa notorietà, non solo in Molise, per alcune passate disavventure, consistite in un fallimento (ex-Pantrem, o Pop 84) di cui - per la dimensione non indifferente delle persone (lavoratori) e delle cifre in ballo - si sono occupate le cronache nazionali.
Secondo un’inchiesta di Mignogna e Di Bello pubblicata da L'Infiltrato.it e ad oggi mai smentita avrebbe acquistato le sue quote, di minoranza, in un’azienda in cui il socio maggioritario è la Regione, con i soldi della Regione. Secondo l’inchiesta avrebbe fatto ricorso all'espediente di un giro di fatture fasulle alimentate da finanziamenti provenienti da un fondo riferito, sulla carta, ad una legge nazionale (la n.598/94, art. 11 che dispone finanziamenti agevolati per “Progetti di ricerca industriale e/o sviluppo precompetitivo”) ma in realtà, poiché quel fondo non ha più disponibilità dal 2003, a totale carico della Regione.
Su questi particolari sono, inevitabilmente, attesi i necessari chiarimenti, che dovrebbero arrivare nella risposta a un’interrogazione dell’opposizione che è stata calendarizzata per la seduta fissata per il giorno di San Valentino.
Sulla vicenda appare qua e là qualche critica sulla stampa locale. A febbraio 2010 l'Ufficio Stampa del Presidente Iorio dirama una nota, per tutta risposta, in cui si rivendica il percorso seguito. La Regione non è stata a guardare, si è attivata per la scelta del socio: “non abbiamo fatto altro che seguire il percorso intrapreso dalla FIAT quando si è affidata, per il suo rilancio, a Marchionne ... presi dalle capacità del manager e dal progetto industriale che aveva in mente ... che abbiamo discusso e condiviso anche con i bieticoltori, i lavoratori e le altre forze sociali”.

Alla nuova gestione (affidata operativamente nelle mani del socio di minoranza), nel biennio successivo, sono concessi finanziamenti per circa venti milioni di euro. Il totale delle erogazioni della Regione nelle casse dello Zuccherificio raggiungono così i cinquanta milioni circa.
Qualche notizia in più, su:
L'ingresso del socio privato nello Zuccherificio del Molise
ANTEFATTI:
N. 3 – Inizio dicembre 2011

IL FORNITORE DI ENERGIA (GAS) PRODUCE ISTANZA DI FALLIMENTO
Inizio Dicembre 2011
La società E. On Energy Trading, fornitrice dell'energia, che vanta un credito di quasi 4 milioni di euro, produce un'istanza di fallimento (che sarà discussa in udienza mercoledì 29 febbraio 2012).
Questo atto giunge dopo che a lungo, già da molto tempo prima, erano stati lanciati allarmi sulla situazione dello zuccherificio, sulle difficoltà finanziarie che mettevano a rischio perfino la campagna di raccolta delle barbabietole del 2012 e dunque la stessa continuità aziendale.
Il neo-ri-eletto e ri-nominato assessore alla Programmazione, Gianfranco Vitagliano, aveva però rilasciato dichiarazioni per tranquillizzare lavoratori e fornitori: passerete ancora una volta un Natale tranquillo.
LA REGIONE SULLO ZUCCHERIFICIO
N. 1 - 31 Gennaio - 1 Febbraio 2012

LA GIUNTA REGIONALE AFFRONTA LA QUESTIONE E LA PORTA IN COMMISSIONE CONSILIARE, CON PROCEDURA DI URGENZA
A due mesi di distanza dall'istanza di fallimento e a oltre due anni di distanza dall'ingresso del nuovo socio provato (il 31 gennaio) la Giunta discute il da farsi. La seduta si protrae fino alle 21.
La mattina del 1 febbraio gli intendimenti della Giunta sono trasmessi alle Commissioni consiliari competenti che nel pomeriggio dovrebbero deliberare. L'opposizione chiede che sia concesso più tempo alla discussione, dopo tutto il tempo trascorso. E' peraltro la prima occasione in cui il Consiglio neo-eletto può affrontare una questione di questo rilievo. Nel merito, pone una serie di questioni relative ai rapporti col socio privato, alle prospettive gestionali (tempi e modalità della privatizzazione) e produttive (ammodernamento o riconversione).
La Giunta, rappresentata dagli assessori Scasserra e Vitagliano, sostenuta dalla maggioranza, si oppone con veenebza alla richiesta “dobbiamo riconquistare la fiducia dei fornitori [che hanno presentato istanza di fallimento – N.d.A.] ma dobbiamo anche riottenere fiducia e subito dai bieticoltori, perché senza la semina primaverile (abbiamo pochi giorni ancora!!) non c'è campagna saccarifera e si perde il futuro; dalle banche che devono sostenere, come hanno sempre fatto, la campagna e il piano industriale; dai lavoratori che certamente non hanno responsabilità per le perdite.

Non solo. Alle richieste di merito risponde, di nuovo l'assessore Vitagliano, che le decisioni da prendere dipendono molto poco da dati e carte che interessano la Società, sono note a tutti da tempo sufficiente, non riguardano i lavoratori, i bieticoltori, i fornitori, le loro famiglie, ma i rapporti tra i soci che trovano la Regione pronta a far valere i suoi diritti pubblici e ad esercitare i suoi doveri e, soprattutto, a chiamare alle proprie responsabilità chi non ha fatto il suo di dovere!”.
Dunque, traduciamo per una lettura più attenta: 1) le decisioni da prendere riguardano i rapporti tra i soci e non altro (non lavoratori, bieticoltori, fornitori e relative famiglie); 2) sono note a tutti da tempo; 3) trovano la Regione pronta a far valere ..., esercitare ..., chiamare …
Per chiarezza, le decisioni di questa natura, che il Consiglio è chiamato a condividere, non sono l'azione in danno del socio privato, o la denuncia delle responsabilità amministrative di chi lo ha finanziato “non facendo il suo dovere” e producendo un danno al pubblico erario, come qualcuno potrebbe immaginare equivocando il linguaggio sibillino (in cui l'assessore Vitagliano si esercita ritenendo gli procuri grande successo di pubblico e di critica). Si badi che la Giunta stia confessando di conoscere questo stato di cose da tempo. La decisione tuttavia consiste in una ricapitalizzazione, preliminare ad ogni altra azione. In linguaggio corrente si può definire “a scatola chiusa”.
Tra l'altro nell'operazione si destina a questo fine – e quindi si intende legittimare a posteriori – un finanziamento di quasi 5 milioni di euro già erogato dagli uffici regionali senza autorizzazione (in periodo di vacatio prima delle elezioni) che trova ora copertura come anticipo parziale in conto capitalizzazione.
L'opposizione ottiene un rinvio di tre giorni, alla discussione in aula fissata per il 4 febbraio
L'assessore Vitagliano tornando a casa posta su Facebook: “sono amareggiato. 20 ore di discussione e schermaglie inutili. Ogni tentativo di separare le questioni dell'azienda, dei lavoratori, del rilancio, dai problemi della Società e del socio privato è andato a vuoto. La seduta di Consiglio è finita con un autogol incredibile del Centrosinistra: hanno rifiutato l'iscrizione all'ordine del giorno della problematica dello Zuccherificio. Che ci hanno guadagnato? Non avremmo fatto meglio, anche per rispetto agli operatori dello Zuccherificio che ci seguivano da stamattina, a chiudere stasera?”. Per chiarezza, separare i problemi significava non affrontare le questioni dell'azienda, dei lavoratori, ecc. (le decisioni da prendere “non riguardano” questi aspetti, vedi nota precedente) ma solo quelli della Società e del socio privato, “ben note da tempo”). Sempre per non equivocare, repetita juvant.
Documenti citati, per chi vuole saperne di più:
LA REGIONE SULLO ZUCCHERIFICIO
N. 2 - 4 Febbraio 2012

IL CONSIGLIO DISCUTE E DELIBERA LA RICAPITALIZZAZIONE DELLO ZUCCHERIFICIO
La discussione in aula si svolge il 4 febbraio mentre Campobasso è già sepolta sotto una spessa coltre di neve.
Al termine di ampia e approfondita discussione si approva la delibera presentata dalla Giunta per la ricapitalizzazione. Per il riassunto facciamo ricorso alle parole dell'assessore Vitagliano sulla sua pagina Facebook:
  • opporsi, con ogni strumento in proprio potere, all'istanza di fallimento della Società, scongiurandone le conseguenze;
  • ricapitalizzare la Società, attraverso la sottoscrizione di azioni ordinarie, fino alla ricostituzione del capitale sociale (con 8 milioni di euro) con conversione di parte del finanziamento erogato non inferiore al 50% del totale;
  • subordinare la ricapitalizzazione alle dimissioni, su richiesta, degli amministratori o, in mancanza di queste, di procedere alla revoca deli amministratori per giusta causa ( la Regione, cioè, si riprende la gestione dell'azienda).”
Basta seguire la sequenza logica temporale e ci si accorge che è esattamente inversa rispetto all'ordine di esposizione. L'opposizione al fallimento è subordinata alla ricapitalizzazione che è subordinata a sua volta alle dimissioni degli amministratori in rappresentanza del socio privato.
Ma, viene da domandarsi, come si gestisce una società che era stata affidata al socio privato (pur minoritario) perché ne assicurasse il rilancio (“quello che Marchionne ha fatto per la Fiat”) dopo che siano stati revocati (per giusta causa)?


La risposta della Giunta è chiara. Non sarà la Regione a gestire lo Zuccherificio. Non rientra tra i suoi compiti. Dunque (sono sempre le parole dell'assessore “competente”) “individuerà rapidamente un nuovo management aziendale che accompagni l'attivazione del Piano industriale”.
C'è dunque un altro passaggio, logicamente preliminare, che deve essere compiuto , l'individuazione del socio privato. Entro quando? L'avverbio scelto è eloquente: lo si farà rapidamente. Non è dunque precisato alcun termine temporale.
Ricapitolando fin qui. Grande urgenza per decidere la ricapitalizzazione. All'opposizione che chiede chiarimenti sulle prospettive e sui rapporti col socio privato si risponde che non si può perdere tempo attorno a questioni i cui termini sono chiari a tutti perché si deve decidere immediatamente (il termine è perentorio: doveva essere il 1 febbraio, poi spostato al 4 per lo sciocco ostruzionismo dell'opposizione) la ricapitalizzazione. Che però richiede una serie di passaggi preliminari relativi alle prospettive aziendali e ai rapporti col socio privato, a partire dalla individuazione di un diverso socio privato cui si giungerà “rapidamente”.
Non c'è bisogno di commento.
C'è però da chiedersi. Che significato si deve dare al fatto che il socio privato dovrà accompagnare l'attivazione del piano industriale?

Qui si richiede molta attenzione perché si tratta del passaggio cruciale.
Non si deve assolutamente pensare che significhi il rilancio produttivo dell’azienda di cui la Regione è diventata socia di maggioranza. Né la messa in liquidazione di un’azienda giudicata senza futuro, che la Regione ha preso in carico per affrontare i risvolti sociali (umani) di una dolorosa dismissione che provocherà senza dubbio perdite di posti di lavoro e di commesse. Che l'opposizione avanzi, come ipotesi, l'idea di prendere in considerazione anche questa alternativa viene denunciata come atto di alto tradimento degli interessi del popolo molisano. Nossignori. Si tratta (continuiamo a citare l'assessore “responsabile”) di gestire “una responsabile strategia di uscita del pubblico dal settore saccarifero, appena ripristinate le condizioni di normale operatività dell'azienda, la stabilità finanziaria, la correntezza dei rapporti bancari, con emanazione, entro tre mesi [N.B.], della manifestazione d'interesse all'acquisto”.
Si dovrebbe perciò ritenere che la Regione abbia fatto tutte le valutazioni del caso e sia giunta alla conclusione che, una volta ripristinate quelle condizioni, saldati i creditori, assicurate le condizioni perché i coltivatori possano avviare la semina delle barbabietole, eseguita l’indispensabile manutenzione degli impianti, quella azienda potrà trovare un compratore privato disposto a investire del suo per il rilancio produttivo di quella azienda, sollevando la Regione da questo, che sarebbe un onere improprio.
Visti gli antefatti, si dovrebbe anzi ritenere che queste valutazioni fossero già alla base della decisione di non riconvertire secondo il piano europeo. Che già allora avesse piena consapevolezza della praticabilità di questo sbocco, della vendita a privati, posto che certamente non era pensabile che fabbricare zucchero rientrasse tra i suoi compiti.
Non si dovrebbe neppure dubitare che fosse in possesso di documenti, di studi, qualificati e argomentati, e progetti dettagliati (analisi di mercato, piano industriale, business plan, piano finanziario). In questi anni aveva senz’altro avuto modo di commissionarli, valutarli e infine accoglierli. Documenti che contenessero in conclusione un’indicazione esplicita, tranquillizzante, circa la praticabilità di una messa sul mercato della struttura, in termini convenienti, industrialmente solidi e tali quindi da assicurare una prospettiva stabile, se non di sviluppo. Senza di che non si sarebbe certo azzardata a un passo che si sarebbe tradotto nel gettare alle ortiche, in modo irresponsabile, i soldi dei cittadini / contribuenti / elettori in un’impresa senza futuro.

Invece non è così. Il “percorso di messa in sicurezza del sistema saccarifero” sarà completato “coordinando attraverso un idoneo gruppo di lavoro tutti gli interventi da attuare”. E a questo stesso “idoneo gruppo di lavoro” spetterà l’onere “di accertare da subito [notare il crescendo temporale N.d.A.], con verifiche e confronti con fornitori e finanziatori, le effettive e reali prospettive di continuità aziendale e di rilancio produttivo.” (la citazione è dalla stessa nota dell’assessore Vitagliano).

Come ci si potrà mai opporre alla ricapitalizzazione preventiva, “a prescindere”, con questi precedenti? Come non dare piena fiducia alla Giunta Regionale, se non per partito preso e per inguaribile amore di polemica, e insinuare che non sussistano tutte le condizioni per “condurre la nave a scarrocciare su un fondale più basso dove gettare l'ancora senza fare vittime”?
Tanto più che c'è sempre un assessore che vede con grande ottimismo – e sicumera - un futuro tranquillo: “noi abbiamo le idee chiare. Ci sono condizioni di contesto e di prospettiva che fanno prevedere tempi buoni per la produzione dello zucchero da bietola, integrata con attività ambientalmente sostenibili e sostenuta da soci affidabili, con capitali freschi e, magari, da azionariato diffuso tra i bieticoltori e, soprattutto, da un'occupazione larga e stabile.” (Stavolta lasciamo indovinare al lettore da chi sia tratta la citazione).

Documenti citati, per chi vuole saperne di più:
LA REGIONE SULLO ZUCCHERIFICIO
N. 3 - 4 Febbraio 2012

MOZIONE DELL'OPPOSIZIONE IN MERITO ALLA RICAPITALIZZAZIONE DELLO ZUCCHERIFICIO.

Prima dell'approvazione in aula della delibera sulla ricapitalizzazione presentata dalla Giunta il Consiglio ha modo di bocciare una proposta di risoluzione presentata dall'opposizione. Per non rischiare la faziosità ricorriamo ancora una volta al riassunto che ne fa l'assessore al ramo. Queste le proposte:avviare subito [notare la diversa scansione temporale rispetto alla Giunta, N.d.A.] le procedure di cessione a terzi della partecipazione azionaria regionale; accertare la consistenza finanziaria della quota di partecipazione del socio privato; accertare la destinazione dell'ultima anticipazione fatta dalla Regione all'azienda di 4 milioni di euro; dare mandato alla Giunta regionale di attivarsi presso lo Stato e l'Unione europea per il coinvolgimento nel garantire la continuità aziendale; impegnare il Presidente della Regione a revocare a Vitagliano la delega assessorile al Patrimonio ed alle Società partecipate, perchè artefice e responsabile politico ed istituzionale del fallimento della situazione finanziaria e patrimoniale dello Zuccherificio e della strategia di rilancio del settore agroalimentare .

Omette solo di precisare, in questo riassunto, come esista una disposizione di legge (Finanziaria 2008, n.244/07, art. 3 commi 27-30) che vietava di assumere o ampliare partecipazioni e imponeva di cederle entro metà 2009. Disposizione di cui la mozione di centro-sinistra torna a denunciare la palese e reiterata violazione da parte della Regione Molise.


Illuminante il commento dello stesso assessore cui si deve il riassunto:
Seguendo questi signori, nelle more degli accertamenti e delle azioni presso le altre istituzioni, senza terzi che compravano nelle attuali condizioni, avremmo abbandonato lo Zuccherificio al suo destino e, forse, saremmo rimasti senza Vitagliano in politica!!
Per evitare equivoci, quando ci si riferisce all'assessore competente, responsabile del ramo, non si tratta di Scasserra.
Documenti citati, per chi vuole saperne di più:
POST – FACTUM
N. 1 - 4-10 febbraio 2012

MOZIONE (“OTTIMA”) DEL PD IN MERITO ALLO ZUCCHERIFICIO: SPIEGAZIONI E COMMENTI DEI PRESENTATORI

Il quadro dell'opposizione non sarebbe completo se non si desse conto del fatto che sulla risoluzione sopra descritta si sono astenuti i consiglieri del PD, Petraroia e Totaro. A loro si deve invece un ordine del giorno che l'assessore Vitagliano definisce “ottimo” e che, votato anche dalla maggioranza, ottiene l'unanimità. Si distingue dalle mozioni contrapposte per il fatto di non prendere posizione sulla ricapitalizzazione né sull'assetto societario e sui rapporti con il socio privato e di impegnare piuttosto la Regione a “costituire una Commissione d'inchiesta, composta da tre consiglieri regionali e senza oneri per la Regione, col mandato di accertare i contenziosi in essere e tutelare prioritariamente il bene pubblico, il patrimonio aziendale, i salari dei dipendenti, i redditi dei bieticoltori e delle imprese dell'indotto.”

Il terzo consigliere PD, il segretario regionale Leva, assente il giorno della seduta, dichiara (una settimana dopo) che il gruppo ha ritenuto di astenersi sulla mozione presentata dal “resto dell'opposizione” (a partire dal candidato presidente Di Laura Frattura) perché “la gara non può essere tra chi conquista l titolo più grande sulle prime pagine dei giornali... La magistratura farà il proprio corso. E chi ha sbagliato dovrà pagare. Non c'è dubbio che siano stati commessi degli errori nella gestione dello Zuccherificio. Non abbiamo mai approvato le modalità [sottolineatura d.A.] con cui è stato scelto l'attuale partner privato dello stabilimento, come ribadito in svariate sedi ed occasioni. E gravi responsabilità in tal senso sono imputabili esclusivamente al governo regionale. ... Di qui la nostra proposta di coinvolgere l'Unione Europea, il governo centrale, le altre regioni interessate, le associazioni di categoria affinché ciascuno faccia la sua parte in una fase storica che vede, tra l'altro, l'aumento della domanda di zucchero, quindi, del prezzo dello stesso.

L'accenno finale alle "regioni interessate" lascia forse intendere che quelle  che hanno dismesso i loro impianti (Veneto, Emilia, Marche, ecc.) insieme con la Puglia (in cui operano i bieticoltori che riforniscono lo Zuccherificio molisano) debbano fare ammenda dell'errore commesso e dare una mano a chi ha resistito vedendo più lontano e scommettendo con la capacità di reggere la concorrenza dell'India e di Cuba (per non parlare dello zucchero di barbabietola dell'Europa orientale). Mentre l'accenno all'UE può forse essere interpretato come una richiesta implicita che torni indietro di otto anni per riconoscere al Molise i suoi meriti storici. 
Questa opinione appare peraltro in linea con il timore espresso da Petraroia (in un comunicato in versione Ecodem) che tutto possa portare a trasformare lo Zuccherificio in una seconda centrale turbogas. Con questo termine si deve intendere che ci si riferisca al progetto Probio con cui – vedi sopra – si incentiva il settore agro-energetico per la produzione di biogas (o turbiogas, o turbobiogas, non è chiaro) e cela probabilmente un attacco politico alle Giunte di centro-sinistra delle Regioni che, come l'Emilia Romagna, si sono mosse in quella direzione.

Si tratta di opinioni interessanti e legittime. Che partono da un presupposto, che Leva pone in apertura della sua dichiarazione: “Riteniamo che la politica non possa lasciare il passo al gusto per i sensazionalismi o all'amore per gli scandali …” 
E chi non ama gli scandali, va da sé, fa in modo, prima di tutto, di non dare scandalo. Men che meno per un titolo di prima pagina.
Documenti citati, per chi vuole saperne di più:
POST - FACTUM
N. 2 – 5-7 Febbraio 2012

L'INFORMAZIONE IN MERITO ALLA VICENDA DELLO ZUCCHERIFICIO

La cronaca che precede forse ha messo alla prova il lettore; forse è eccessivamente minuziosa. Non cerca certo il titolone di prima pagina. Anche perché i quotidiani locali non hanno proprio fatto cenno alle proposte dell'opposizione (salvo qualche richiamo alla “richiesta di dimissioni di Vitagliano” e una certa enfasi sul voto unanime a favore della proposta PD di una commissione di inchiesta che, come abbiamo visto, intendeva contrastare la tendenza a far politica solo in funzione di un titolo di prima pagina).

Tra le testate on-line, Primapagina Molise ospita, oltre a una cronaca di poche righe, un articolo di Vitagliano (“L'opposizione Brancaleone e lo Zuccherificio che vogliamo”), uno di Totaro, per spiegare la posizione del PD, e un comunicato del centro-sinistra. Primonumero.it ospita invece una cronaca più ampia delle altre sulla seduta consiliare dopo che, il giorno prima, aveva ospitato un resoconto altrettanto ampio della conferenza stampa con cui il centro-sinistra aveva illustrato le sue posizioni.
Nella povertà di assieme, per una vicenda che occupa un posto assai di rilievo nella politica molisana per gli insegnamenti che se ne possono trarre, il quadro potrebbe sembrare in ogni caso equilibrato ed equidistante.

Eppure su Facebook è apparsa questa nota, ancora una volta a firma dell'assessore Vitagliano:”Sono veramente interdetto dalla lettura dei telematici. Dovunque si racconta quello che ha detto e che ha chiesto, in Consiglio regionale, il centrosinistra (minimizzando che lo fa una parte e quindi nascondendo la grave divisione!!!!!) e si dedicano poche righe e con imprecisione a cosa ha deliberato il centrodestra, compatto, per lo Zuccherificio e il suo futuro ... Siamo di fronte ad un asservimento ideologico e preconcetto della notizia alle opinioni politiche di coloro che scrivono gli articoli e che rappresentano, in modo distorto e strumentalmente negativo, una realtà che non condividono … un paradosso molisano che la dice lunga sull'indipendenza e sull'autorevolezza di costoro … MI ricordano gli anni della guerra fredda quando, nei Paesi dell'Est, raccontavano il mondo occidentale riprendendo notizie ed immagini dalle poche zone ancora in difficoltà economica... Come cittadino e come molisano provo vergogna per questa miseria intellettuale!

Il lettore perdonerà se in questo ampio resoconto ho fatto ricorso ad ogni piè sospinto alla versione di Vitagliano. Non potevo correre il rischio di provocare di nuovo reazioni di questo tenore.
D'altra parte, se esprimere la propria opinione, con prudenza e modestia, sui fatti che si raccontano fa parte integrante del mestiere di chi fa informazione (o si propone di farla), viene però prima – sia logicamente che temporalmente – l'aderenza alla verità dei fatti, e la trasparenza e la verificabilità delle fonti documentali.
Documenti citati, per chi vuole saperne di più:

Dai fatti bisogna partire. Una volta che si sia adempiuto al dovere di fare tutto il necessario per “informare” il lettore - cosa assai diversa dal “dare una notizia” in quanto suppone lo sforzo di fornire elementi di conoscenza utili, pertinenti, organizzati - il commento, da tutti i punti di vista, viene dopo. E' secondario. Talvolta può perfino essere superfluo.
La mia opinione è che per questa vicenda, ad esempio, lo sia. Se lo sforzo di informare avrà avuto successo, il lettore avrà certamente avuto modo di formarsi un'opinione solida e ben argomentata. Me lo auguro.