sabato 22 dicembre 2012

Due domande su PD Molise e elezioni regionali


Nel Lazio Zingaretti ha aperto il comitato elettorale, già da alcuni giorni, senza primarie, essendoci l'accordo di tutto il centrosinistra. L’udc farà, a seguire, le sue scelte: si prospettano una mezza dozzina di candidature dalla galassia centrista ma alla fine potrebbero optare per Zingaretti.
In Lombardia Ambrosoli ha vinto le primarie, a cui hanno partecipato 150.000 persone già una settimana fa. Se domani Albertini decide di candidarsi contro Ambrosoli (e contro Maroni) l'udc e la galassia centrista dovrà scegliere se appoggiarlo ma in quel caso molti elettori di quell’area opteranno per Ambrosoli.
E in Molise? La direzione del pd del 21 dicembre non ha ufficializzato ancora la candidatura di Frattura perché il Presidente e il Segretario hanno lasciato intendere che era imminente la chiusura di un accordo con Romano e con l'udc. Nelle stesse ore Petraroia invece di partecipare alla direzione ha scritto una lettera aperta richiedendo le primarie per il 13 gennaio (!?) con l'intenzione, ribadita nel commento a un post sul gruppo Unire il Centro-sinistra. Primarie per novembre 2011! ancora alle 16 del 22 dicembre, di far venire allo scoperto Massimo Romano perché, "se rifiuta di partecipare se ne assuma la responsabilità al cospetto dei cittadini del Molise".
Ma su Termoli TV (http://www.termoli.tv/news/attualita/item/2319-massimo-romano-mi-candido-a-governatore-del-molise-l-intervista-su-telodoioilpresidente-it) “il giovane consigliere regionale rilascia un’intervista intensa e a tutto campo nella quale, oltre a ufficializzare la sua decisione di candidarsi alla guida della Regione, ha parlato di alleanze nazionali possibili con il Movimento Arancione di De Magistris e Ingroia e con Fermare il declino di Oscar Giannino. (e FLI se l’è dimenticata?). L'anticipazione esce alle 17 del 22 dicembre e il video alle 19,15.

Prima domanda: i tre maggiori esponenti del pd molisano, non sapevano, e si sono fatti prendere in giro da Romano, o sapevano e hanno preso in giro gli iscritti al pd? 

Seconda domanda: ma il pd Molise non ha l’autonomia e la capacità di iniziativa del pd Lazio e Lombardia perché è piccolo o perché non è in buone mani?

venerdì 14 dicembre 2012

MESSAGGI ELETTORALI (3) Tra primarie e votovero


Torniamo sulle primarie del centrosinistra.
Renzi, è stato detto, ha avuto comunque il merito di mettere una pietra sopra al dualismo degli ex (PCI-DC). La maionese era impazzita, l’olio (santo) di qua e il tuorlo d’uovo (rosso) di là. E, come si sa, se la maionese impazzisce si può solo ricominciare daccapo.

 
Non che fosse sbagliata l’idea dell’incontro tra socialdemocrazia e sinistra cristiano-sociale. In Europa la socialdemocrazia ha già da tempo compiuto questa sintesi, senza che la componente cristiano-sociale si sia mai sentita in dovere di metterne in discussione la matrice fondamentale. Così invece è andata in Italia. L’ambizione originaria ne è risultata frustrata, la sintesi non ha convinto gli elettori, che pure, lo si è visto, erano ben disposti in linea di principio.
Con l’esigenza di andare oltre quel tentativo incompiuto si era già misurato il PD all’origine. Veltroni si era proposto di guidarlo verso un approdo nuovo, volgendo lo sguardo al Partito Democratico americano, in cui del resto il filone della dottrina sociale cristiana è fortemente presente (la dimensione religiosa informa la cultura politica USA sia a destra che a sinistra). Quel modello poteva dunque risultare ben accetto a entrambi i contraenti originari, per una sintesi su basi tuttavia diverse da quelle su cui si realizza nelle socialdemocrazie europee.
L’idea di una contaminazione tra la cultura d’oltreoceano, fondata sulla persona, e la tradizione europea delle aggregazioni sociali intermedie come strumento di valorizzazione e di tutela delle persone attraverso il veicolo della socializzazione, poteva essere feconda. Anche per le socialdemocrazie europee che vivevano un momento di difficoltà dopo la caduta del Muro. Nel momento in cui la storia passata dava loro ragione, alla fine del secolo breve che si era aperto con la divisione all’interno dell’internazionale socialista, il nuovo scenario sembrava coglierle impreparate. L’Italia, per molte ragioni di carattere storico, si prestava a fare da laboratorio per un simile tentativo di innovazione politica, che però è finito male, forse è prima ancora di cominciare.

Non so se possa essere riesumato. Mi sembra tuttavia chiaro che  l’esito che Renzi ha configurato non ha molto a che vedere con quello all’origine del PD. D’altronde neanche il PD ha risposto agli interrogativi attorno alla sua missione: quello che esce dalle primarie non è un Partito Socialdemocratico, anche se certamente assomiglia più a quel modello che a quello dei democratici USA. Il pragmatismo bersaniano lo ha modellato come partito europeo di sinistra riformista. Del disegno veltroniano rimane, più che la tensione verso un’innovazione della cultura politica, che appare abbandonata, proprio la cosiddetta “vocazione maggioritaria” che era stata più ferocemente rimproverata a Veltroni fino a portarlo a rinunciare alla segreteria.

E Renzi allora? Il richiamo al Partito Democratico USA non è mancato. Ad Obama, in particolare. Ma è stato, secondo me, ingannevole. Entrambi giovani, sì, contro l’apparato, sì. Ma a ben vedere Obama non si è collocato fuori dagli schemi. Si è voluto caratterizzare piuttosto per la riscoperta dei valori fondanti, non solo del suo partito ma della nazione americana. Il richiamo rivelatore del posizionamento di Renzi è stato piuttosto quello a Blair (e semmai, in ambito Democrats, a Clinton che aveva tentato una strada nuova, più o meno in contemporanea).
Ma qual è stato l’approdo di Blair? Quale modello ha costruito? Difficile dirlo, visto che non sembra avere avuto seguito, né con Gordon Brown né con Milliband.

Dove vuole andare Matteo Renzi
Se dovessi provare a dire in breve quale sembra essere la nuova missione, il nuovo “ubi consistam” della sinistra blairiana-clintoniana credo stia nell’idea (o nell’illusione) di rendere compatibili i fondamenti del pensiero socialdemocratico con il dominio planetario della finanza globale.
Dagli anni Venti del secolo scorso la cultura socialdemocratica era giunta alla conclusione che si dovessero porre vincoli al funzionamento spontaneo del mercato delle merci per correggerne le gravi distorsioni sul piano sociale. C’era poi voluto all’incirca mezzo secolo riuscire a farlo davvero, con grandi difficoltà e attraverso enormi lutti, in base a ricette politiche su scala nazionale, “coordinate” a livello internazionale.
Quell’equilibrio e quelle ricette sono saltate con la globalizzazione e con la libera circolazione dei capitali. Non esistendo una dimensione politica sopranazionale dotata di strumenti neanche solo paragonabili, come efficacia e potenza d’impatto, a quelli di cui la politica nazionale poteva disporre nei confronti del mercato delle merci, il mercato dei capitali ha preso il sopravvento. Con la tendenza all’accumulazione di ricchezza illimitata, sproporzionata, che lo caratterizza, ha determinato distorsioni e sconquassi sociali ben più gravi di quelli provocati in precedenza nell’economia reale.
 
Il tentativo di sposare la finanza globale e di farla andare d’accordo con la coesione e con il principio di uguaglianza si è rivelato una tragica illusione. Su quella sono naufragati sia Blair che Clinton. Le ricette per porre rimedio non sono ancora messe a punto, la sfida per la politica e per la democrazia è enorme e inedita. La sinistra, socialdemocratica e “democrat”, si candida a vincere questa sfida, senza di che avrà perso la sua ragion d’essere. Ma non la vincerà tornando a quei tentativi illusori, che appaiono inservibili, non fanno guardare avanti ma condannano a ripetere esperienze di sconfitta.

Questo è stato, credo, il piombo nelle ali di Renzi. Non “ragazzetto ambizioso” ma apprendista stregone. L’abbraccio del finanziere Serra, l’abbinamento con l’immagine delle Cayman e dei paradisi fiscali, gli sono costati cari perché segnalano una condiscendenza verso l’evasione fiscale e l’illegalità e perché lasciano intendere la tentazione di legittimare l’egoismo e il cinismo del capitale finanziario come forze propulsive della società. Quasi fossero paragonabili alle catene di montaggio della grande manifattura o ai garage dove si sperimentavano le nuove frontiere dell’ICT.
Tuttavia, ancor più caro gli è costato l’aver provocato un riflesso legalitario, che ha segnato l’omega della sua campagna: un moto di ribellione per la “monelleria” dell’invito al “mail bombing” tra primo turno e ballottaggio, episodio istruttivo e rivelatore, più che del “progetto-Renzi” forse del comune sostrato morale della squadra che aveva messo in piedi.
Un autogol, peraltro. Era stato dato per acquisito che nessuno avrebbe usato la lente di ingrandimento, né richiesto l’analisi del sangue, a chi si fosse registrato in ritardo. Presentarsi ai seggi, negli orari stabiliti, firmare un’autocertificazione, appariva un filtro efficace contro inquinamenti e provocazioni. L’abbraccio finale dopo il confronto a due su Rai-Uno suggellava questo appeasement raggiunto anche sulle regole. Ma comprare pagine a pagamento per dire - la sera stessa! - “cerchiamo di fregarli che sennò abbiamo perso” è stato un pugno nello stomaco per molti. Non ha probabilmente fatto perdere voti a Renzi ma ha reso inossidabile e impermeabile la schiera bersaniana portandola a votare in una proporzione altrimenti difficile da raggiungere. Perché ha dato corpo, plasticamente, alla tendenza a travolgere le regole, qualsiasi regola, che è tipica del capitale finanziario globale.

Insomma, l’idea che la parola d’ordine “arricchitevi” possa essere ancora attuale, che possa, anzi, rappresentare oggi un simbolo di modernità e perfino combinarsi felicemente con il pensiero socialdemocratico ... si è rivelata un’idea fallace. La sintesi è illusoria, la tigre non è fatta per essere tenuta in giardino. Almeno, gli elettori di sinistra, in maggioranza hanno dimostrato di non crederlo possibile.

Non solo PD. Ma ...
E gli altri competitor? Ho dedicato grande spazio al PD nelle primarie del centrosinistra partendo dall’affermazione iniziale che il PD le aveva vinte. I sondaggi dei giorni successivi, convergenti senza eccezioni, lo hanno confermato. Ma il ruolo degli altri non è stato certo marginale. In particolare, Vendola ha giocato, anzi, un ruolo che è apparso decisivo.
Il fatto è che nel momento stesso in cui esercitava quel peso metteva a nudo anche una contraddizione che difficilmente appare risolvibile. Ha pesato nella misura in cui si è sommato alle posizioni, largamente sovrapponibili a quelle di SEL, che hanno ampia cittadinanza nel PD. Ma, una volta che ciò sia apparso chiaro, quanto resta comprensibile e sensata l’alterità, la divisione?
La risposta resta in sospeso, ma non potrà essere elusa ancora a lungo, ritengo. E il ragionamento vale altrettanto per un PdCI che non ha espresso un candidato ma ha fatto sentire anch’esso la sua presenza e il suo peso. Staremo a vedere.

E ora, primarie di collegio
Intanto, con un coraggio che rasenta la temerarietà, Bersani ha portato il gruppo dirigente del PD a sposare unanime le primarie per i collegi parlamentari. Una sfida ancora più ambiziosa delle “primarie aperte”, i cui rischi sono nascosti in ogni passaggio di un percorso che per forza di cose dovrà essere compiuto a gran velocità. Di corsa, prendendo esempio dalla marineria delle incursioni veloci, o “corsara”. Il diavolo si anniderà nei dettagli delle regole, dell’organizzazione, ma soprattutto nel segno d’assieme del risultato finale. Non potrà essere “tanto rumore per nulla”, l’esito dovrà apparire quello annunciato. Un cambiamento misurabile a prima vista.

Ancora sulle “primarie”.degli altri 
Diciamolo chiaramente: messe a confronto con quelle del PD, le due vicende parallele, di Berlusconi e Grillo, sono apparse in tutta la loro assurdità oltre che nella profonda somiglianza che le unisce.
Tra il dire “decido io” e il far decidere a un corpo selezionato (32.000 persone, se non ancor meno) entro una rosa appena un po’ superiore agli “eligendi” (1.600 per 950 posti) c’è molta differenza? Uno è spudorato (bugiardo galattico), l’altro ha sprezzo del ridicolo (per deformazione professionale). Ma rischia di essere un po’ come la differenza tra hard core e burlesque. Per non dire dell’imbarazzante analogia che affiora nell’alternarsi di deliri di onnipotenza e stati confusionali (qui lo dico e qui lo nego).
Ma non ci si può fermare alle analogie tra i due primattori. Qualche differenza profonda c’è e deve far riflettere. Una vicenda ci dice dell’implosione (irreversibile per ora) della destra italiana, deragliata con un fragore che si è sentito in tutta Europa e ha fatto colpo anche oltre gli oceani. L’altra invece interroga soprattutto la sinistra, anche se non è lecito definire di sinistra il Movimento 5 Stelle.
Possiamo pensare di consolarci rilevando che raccoglie nel suo seno – alcune biografie lo hanno mostrato chiaramente una volta divenute di pubblico dominio – anche gente che “per bene” non è esattamente. Che ne raccoglie altri che non sono “quelli della porta accanto”, mai contaminati dal morbo della politica attiva, ma personaggi che hanno seguito percorsi ben tracciati, con risultati penosi, anche a sinistra ma in misura forse maggiore in ambiti di destra.

Ma è una ben magra consolazione, perché la maggioranza degli attivisti è comunque fatta di giovani che cercano nuove strade di impegno politico concreto, militante, su temi chiave della nostra vita associata, decisivi per il nostro futuro, in un ottica facilmente sovrapponibile a quella che anima i loro coetanei collocati a sinistra.
Prendiamo atto che si sono dimostrati disposti ad avallare le stramberie, chiamiamole così, dei loro diarchi, il guru e il comico. Lo hanno fatto per non rischiare di perdere un potente strumento di condivisione con tutti quelli come loro che hanno incontrato in questa esperienza, per non ritrovarsi soli, punto e daccapo. Per colpa nostra, dunque. Dovremmo farne motivo di riflessione severa, altro che riderci sopra.

sabato 8 dicembre 2012

MESSAGGI ELETTORALI (2) - Archiviate le primarie, verso le secondarie


Archiviate le primarie del Centrosinistra.

Ha vinto il PD, hanno detto in molti. E’ vero. Come è vero che è una vittoria che fa bene al Paese.
Ha vinto Bersani, che ha promesso di cambiare il PD senza cambiare la sua missione statutaria. Renzi voleva invece cambiarla, partendo dal cambiare gli uomini e le donne del PD, ma ha perso. Quasi 4 elettori su 10 hanno però detto che non si accontentano di cambiare persone, modalità, usi e costumi. Vogliono andare oltre, anche accettando il rischio di una nuova missione che non ha ancora preso corpo.

Non ho votato Renzi perché non credo si possa correre quel rischio.
Avrebbe però potuto tentarmi, se fosse stato più comprensibile il nuovo “luogo” politico che il PD secondo lui dovrebbe occupare. Perché effettivamente l’incontro tra la cultura socialdemocratica e quella del cattolicesimo progressista sembra proprio aver fatto il suo tempo. Ma su questo ritornerò, se a qualcuno può interessare.


Verso le secondarie

E Bersani? Le promesse su cui ha costruito la sua vittoria sono impegnative. La campagna per le primarie è molto diversa da quella per le secondarie. Non ammette promesse da marinaio, perché devono essere esigibili PRIMA delle secondarie, e ne determinano l’esito. Chi ha detto la verità nelle primarie e ha mantenuto le promesse, in genere ha vinto le elezioni. Veltroni ha perso nel 2008 perché, dopo aver vinto le primarie con la promessa di riassumere nel PD la proposta di tutto il centrosinistra nelle sue varie articolazioni, ha poi presentato all’elettorato un’immagine (candidati, proposte, linguaggi) espressione di una parte, neanche quella più gradevole, del PD. Aveva di fronte la potenza di fuoco del Cavaliere, certo, ma il suo esercito aveva perso per strada ogni carica propulsiva.
Oggi Bersani promette di cambiare davvero. Promette le primarie di collegio. Promette una squadra di governo nuova, capace di reinterpretare in modo convincente la missione del PD, per dare agli elettori una speranza di uscita dalla crisi che emancipi la politica dalla sottomissione alla finanza sregolata e sproporzionata.
Non può tradire le attese. Sono intimamente convinto che non lo farà.

La prima prova si avrà nel Lazio. In Lombardia e in Molise si potrebbe votare prima delle politiche, nonostante i ricatti di Berlusconi, ma al momento non so se ciò avverrà. Quale che sia l’abbinamento, il Molise, piccola regione in confronto ai due colossi, ha davanti a se due strade. Nascondersi, restare nell’ombra e cercare di farla franca. Nel senso che, se la novità non ci sarà o non sarà radicale, potrà tuttavia far finta di niente. La gente si interesserà ad altro. Oppure farsi forte delle sue dimensioni ridotte per proporsi come esempio, laboratorio di novità possibili, percorribili.
Dimostrare che su scala locale si possono percorrere strade nuove su cui non si paga pedaggio alla finanza: si può fare e può aiutare anche chi guarda da fuori.
Misurata sulla dimensione del dibattito politico che prevale in queste settimane in Molise, questa ambizione appare del tutto sproporzionata e infondata. Ma, chissà, uno scatto di reni.
Perché se si sceglie la prima strada, si va incontro a un rischio quasi impossibile da evitare: quello di condannare i cittadini molisani a un disastro economico e sociale che non ha precedenti e che ricaccerebbe la Regione là dove era confinata fino a 50 anni fa. Ultima tra le Regioni dell’area più derelitta. Un tempo, rispetto al resto dell’Italia, oggi, sempre più, rispetto al resto d’Europa.
E’ qui che si balla, non altrove. Non si scappa. Osare si deve, non per spirito di avventura ma per istinto di sopravvivenza. Se ancora ce n’è.

 

Archiviate anche le primarie del centro-destra. 
Cancellate dal ritorno di Berlusconi. “Perché abbiamo cercato un nuovo Berlusconi del ’94 ma non l’abbiamo trovato” ha detto serafico nella cornice di Milanello. Ma che razza di formazione politica ha messo in piedi, che leader è mai stato, se non sono stati in grado di trovare un successore che non fosse un segretario particolare, un portaborse, o qualche arnese riciclato, o improbabili guitti della periferia imprenditoriale? Allora aveva ragione chi diceva, già qualche lustro fa, che l’unica successione che Berlusconi avrebbe accettato sarebbe stata quella di Piersilvio o di Marina!
Si usa dire che il collasso di uno schieramento politico ha ripercussioni, in genere negative, sul sistema nel suo complesso. Probabile sia vero anche stavolta, ma come dimenticare quale collasso al sistema sia stato provocato fin qui da quella coalizione nel fulgore del suo potere!

Archiviate le "parlamentarie"
Nella versione “strana” delle primarie denominata “parlamentarie” si sono contati novantamila voti per milleseicento candidati a un migliaio di posti in lizza. Erano consentiti tre voti per ciascun militante del Movimento 5 Stelle, c’è da ritenere che abbiano votato più o meno 50.000 persone.
Se vi viene da ridere, meglio trattenersi. Potrebbero agguantare più seggi del centro-destra. Personaggi che sembrano provenire dagli sketch delle candid camera? Attenzione! Sono convinto che una buona parte di quei candidati siano animati da genuina passione politica e da una radicata volontà di cambiamento, del tutto giustificata. Gli opportunisti che hanno fiutato l’occasione della vita, agguantare una fortuna meglio di un Gratta e Vinci con molto meno sforzo, ci sono senz’altro ma non possono essere presi a pretesto per banalizzare. La diarchia che detiene il copyright, il guru e il comico, può essere accusata di irritante protervia così come di comicità surreale, ma quel movimento non è il Partito dell’Amore di Cicciolina, né la macchina del potere costruita sullo scheletro Fininvest da Forza Italia. Va preso sul serio. Anche se è possibile che faccia danni seri. Soprattutto se ingabbierà e sottrarrà alla politica vera quei giovani appassionati che dovrebbero essere senz’altro annoverati tra le speranze del Paese.
Quei giovani hanno un moto di ribellione quando li si accusa di restare sul mero terreno della protesta. Ambiscono a molto di più e agiscono in modo molto più fattivo e positivo. Il guaio è che non hanno ancora ben sistematizzato un dato di fatto che dovrebbe farli riflettere: se 50.000 persone in tutto si sono impegnate attivamente per una tornata elettorale in cui è possibile che raccolgano un numero di voti cento volte tanto, la realtà ci dice, impietosamente, che per quanto possano rifiutare l’etichetta di protestatari, gli elettori li sceglieranno proprio in quanto li considerano tali. A torto? E sia. Ma dovrebbero comunque pensarci su, perché se anche così fosse, in definitiva non è rilevante. Tanto più se l’intera strategia comunicativa è sottratta al loro controllo e tutta orientata a veicolare esattamente quel messaggio: “vaffa”, senza se e senza ma, e chi si sporca le mani è un traditore. Bannazione! 

sabato 24 novembre 2012

MESSAGGI ELETTORALI


Di elezioni, di primarie ed altro. In Italia e in Molise

Sonata a tema in tre movimenti

Primo movimento
Andante mosso
Le primarie nazionali del centrosinistra

Uno dei momenti clou del confronto tra i candidati alle primarie su SKY è stato quello sulle aperture al centro, in cui Bersani si è più smarcato dagli altri: “Lavoro per la vittoria del nostro campo, diverso da quello dei centristi. Ma sono contrario a chiusure: in una situazione così delicata non possiamo permetterci di riconsegnare il paese alla destra berlusconiana.”
Se a qualcuno può interessare, questo è uno dei motivi per cui voto il segretario del PD: no alle chiusure pregiudiziali, la politica è inclusione, allargare il consenso, non restringerlo.
Le condizioni sono però importanti. Non solo. Quanto più sono salde e ben radicate le posizioni politiche attorno a cui si costruisce la propria proposta, tanto più quella proposta avrà forza di attrazione e saprà includere. Quando sono deboli si oscilla tra cedevole tatticismo (parafrasi per dire opportunismo) e settarismo (le bandiere e gli slogan prendono il posto della proposta politica).
C’è il rischio che anziché attrarre si rimanga invischiati? Secondo la mia modesta opinione, altro che se c’è! Sarà anzi il banco di prova, sin da prima delle elezioni.
Perché agli elettori quel rischio non sfugge affatto. E già dalla gestione della campagna elettorale si faranno un’idea di quanto sia forte, in base all’articolazione delle proposte politiche, ai messaggi forti che si manderanno (le condizioni non negoziabili), agli scenari che si prospetteranno e, non da ultimo, alla credibilità che si dimostrerà nel modo di selezionare i candidati. E, ovviamente, in caso di vittoria, saranno severi nel giudicare se le premesse troveranno conferma negli atti di governo.
Allora, visto che dopo le primarie, e più delle primarie, sarà importante vincere la prova elettorale, è bene prepararsi. Nella massima chiarezza.
Qui non riesco a togliermi di mente l’apologo del re Salomone e del bimbo conteso dalle due madri. E’ convinto Bersani che Casini avrebbe meno remore di lui a lasciare il Paese in mano alla destra, di cui Casini stesso è stato solerte alleato per una legislatura? Teme che in fin dei conti lascerebbe squartare il Paese pur di non cedere il potere? Che dunque toccherà al PD la parte della vera madre, pronta a cedere al ricatto pur di non vedere morire suo figlio?
Posso capirlo. Ma perché non pensare che il sovrano (che in definitiva è il popolo, nella parte di Re Salomone) sarà così saggio da svelare il ricatto e sceglierà per il meglio a chi affidare il figlio? Nonostante tutte le delusioni che gli elettori possono aver dato negli ultimi venti anni (ma quanta responsabilità di quelle delusioni ricade su chi a sua volta ha deluso le loro attese?) avanzo l’idea che potrebbero essere aiutati a smascherare il ricatto se si mettessero in chiaro le condizioni irrinunciabili degli uni e degli altri.
Quali saranno per i “centristi”? Di nuovo le pregiudiziali “confessionali” (non trovo definizione più appropriata)? O l’”ottimo lavoro” – guai a chi lo tocca! – fatto dal Ministro Fornero in tema di pensioni, ovvero di occupazione e diritti? O un veto su proposte – troppo radicali! – che prevedano una redistribuzione significativa e non puramente di facciata, del carico fiscale a favore dei più deboli e a danno dei più ricchi? Su questi temi gli elettori, penso, hanno ben chiara la linea di demarcazione tra sinistra e centro. Se saranno avanzate pregiudiziali di questa natura, e se saranno dichiarate più pesanti, fino ad essere dirimenti, rispetto a quelle che dividono il campo centrista dalla destra berlusconiana (legalità e stato di diritto, etica pubblica, solidarietà, pari opportunità, sostenibilità, ecc. ecc.) gli elettori dovranno saperlo e poter giudicare. Perché averne paura? Proviamo a riporre fiducia nella saggezza di re Salomone (degli elettori). Ma anche nella buona fede dei centristi, o destra “pulita” che dir si voglia.

Secondo movimento
Vivace
Le primarie fantasma in Molise

La riunione del centrosinistra nella sede del Pd in via Ferrari a Campobasso
Il segretario del PD Molise, Leva, ritenendo di ricalcare in questo modo il segretario nazionale, si è imbarcato in una ardita (“complicatissima”, la definisce lui stesso) operazione politica per allargare la maggioranza: da intendersi, quella che l’anno scorso aveva portato Frattura al pareggio con Iorio, che peraltro schierava forze che non erano legittimate a partecipare.
Lodevole tentativo? Dipende.
Allargare a chi? A formazioni che, come UDC nazionale e FLI, hanno rotto da tempo, in modo perfino eclatante, con l’avventura berlusconiana? Nossignore, si lavora per allargare a forze che, ancora mentre scrivo, ricoprono importanti posizioni di vertice nella Giunta Iorio o nei dintorni.
Ci si rivolge ai loro elettori intenzionati ad abbandonare quel campo? Ai dirigenti in dissenso con quelli organici al sistema di potere di Iorio? Nossignore. Ci si rivolge in prima persona a questi ultimi, contando su un ravvedimento imposto da Roma, nel quadro di un patto di spartizione. Che, qui sta il bello, dovrebbe eventualmente essere stipulato da quel segretario nazionale del PD che contro queste “prassi” è solennemente impegnato in quanto “cattiva politica”.
Ma - potrebbe correggermi Leva, in sintonia con il Presidente Ruta con cui condivide questa avventurosa operazione - non si tratta solo di questo ma anche di recuperare due movimenti che si sono allontanati dalla coalizione, Costruire Democrazia e Partecipazione Democratica.
Non intendo tediare il lettore che non avesse seguito le cronache e tralascerò pertanto particolari perfino poco seri della vicenda, basterà però dire che si può nutrire qualche dubbio sul fatto che quei movimenti abbiano mai fatto parte davvero della coalizione da cui dovrebbero essersi allontanati: dei due leader uno (Astore) ha menato vanto dell’essere andato in vacanza il giorno del voto e l’altro (Romano) dal giorno stesso dell’indizione delle primarie fino ad oggi non ha mai perso occasione di prendere le distanze dalla coalizione e da Frattura, accusato di ogni nefandezza, sia politica che personale (e il suo movimento si è distinto per l’ampiezza del voto disgiunto contro Frattura). Né è dato distinguere la posizione dei due movimenti da quelle dei leader giacché, nonostante il richiamo alla democrazia nelle loro sigle, le due formazioni non hanno statuti né organismi elettivi, elementari requisiti richiesti dalla nostra Costituzione (se poi li hanno ma sono segreti si ricade in un’altra fattispecie).
Al di là di tutto questo, il segretario del PD non spiega in che consista la particolare complicatezza dell’operazione. Ostano le riserve sulla persona del candidato presidente? basta un nuovo passaggio attraverso primarie di coalizione: se vengono rifiutate, o non si avanzano altre candidature, il problema decade, altrimenti si indicono. Si richiede un chiarimento politico-programmatico sulla coalizione? Ben venga, si faccia, alla luce del sole: ma se, invitati, non si presentano neanche in terza convocazione, il problema decade.
Ecco, tornando a re Salomone. Davvero gli elettori non distinguono e non giudicano con saggezza? Un leader di centrosinistra dovrebbe rivolgersi a quelli, tra i centristi delusi dal sistema Iorio, che pensavano di trovare nel centro una forza politica equilibrata, legata a valori cristiani di solidarietà sociale. Oppure, fare appello a chi, ricordando Astore come il miglior assessore alla sanità che il Molise abbia avuto, è portato a trascurare le attuali pulsioni negative. A chi, apprezzando le battaglie coraggiose e le denunce, quando sono circostanziate e motivate, del giovane Romano è incline a perdonare le forzature dettate da un’ambizione un po’ fuori registro. Questo dovrebbe significare “allargare il consenso” per il centrosinistra, di fronte al rompete le righe dello schieramento di centro-destra e al bilancio fallimentare del modello-Iorio di gestione del potere.
A questo dovrebbero lavorare segretario e presidente del PD, senza sottoporre a inutili tensioni una coalizione (SEL, IDV, PdCI, PSI) motivata e ansiosa di scendere in campo per cambiare il volto della politica molisana. Prendere esempio da Bersani significa raccogliere, includere attorno a un progetto che va avanti e conquista consensi. Non, trattare su tavoli paralleli usando le pregiudiziali degli uni per destabilizzare gli altri, escludendo e dividendo. Si decideranno, prima che sia troppo tardi? O andranno avanti, convinti che il popolo bue si adeguerà? O che, tra disgusto e sfinimento, gli elettori si rassegnino e abbandonino la partita? Se così fosse, sarebbe una tragica illusione: basta guardarsi intorno e contare quanti degli esponenti di questa cultura politica sono ancora in piedi, in giro per l’Italia. Quanti sono sopravvissuti alle ultime tornate amministrative: nel PD, intendo, mica solo nel centrodestra. E’ credibile, per le imminenti scadenze elettorali, un tuffo nel passato?
Staremo a vedere.

Terzo movimento
Marcia funebre
Le elezioni e le crisi aziendali.

Ebbene si, la conclusione non è un inno alla gioia.
Tredici mesi dopo le elezioni, non valide, si dovranno attendere ancora quattro mesi per avere un governo e un’assemblea nel pieno delle funzioni.
La regione, già allo stremo, rischia di assistere a disastri sociali, e economici, senza precedenti.
Le crisi in atto sono numerose. Tre sono al centro dell’attenzione più delle altre ma in qualche modo le riassumono. Mi riferisco alla Solagrital e allo Zuccherificio (di cui mi sono occupato a più riprese in questo blog) a cui si è appena aggiunto il maggiore centro commerciale della costa, il Carrefour di Termoli.
Dalla prima dipende il destino dell’intera area del Matese. Le altre due, se non saranno risolte per il meglio rischiano di assestare un colpo durissimo al basso Molise.
Quattro mesi sono lunghi. In questo lasso di tempo sarà necessario compiere una serie di atti di natura prettamente politica, che non richiederanno tuttavia modifiche alle leggi vigenti ma avranno natura di provvedimenti attuativi. Atti di gestione, di competenza dell’organo esecutivo, di una Giunta.
Sennonché la Giunta è in carica solo provvisoriamente ed è priva della piena legittimità, essendo stata dichiarata decaduta l’Assemblea che l’ha eletta. Ha davanti a sé un orizzonte temporale molto breve e non ha l’autorità che sarebbe richiesta.
Sarebbe però diverso se gli atti fossero concordati tra i contendenti e solennizzati dalla presenza del rappresentante del Governo. L’orizzonte temporale si allungherebbe in quanto si darebbero garanzie di continuità nel tempo oltre la scadenza elettorale a tutti i contraenti e ai soggetti interessati in genere e si assicurerebbe quell’autorevolezza e quella base di consenso che oggi manca.
Andare in questa direzione significherebbe, dovrebbe essere evidente, espungere dalla campagna elettorale queste emergenze. Nessuno dei contendenti potrebbe farsi forte rispetto all’altro su questo terreno.
Una simile soluzione andrebbe a scapito della chiarezza delle posizioni e sbiadirebbero i motivi di contrasto? Non necessariamente. Di certo, ne guadagnerebbero i cittadini interessati. Che sono varie migliaia.
A proposito del prendere esempio, potrebbe valere la pena di assumersi questa responsabilità in nome degli interessi generali del popolo che si ha l’ambizione di rappresentare, anteposti a quelli delle parti in cui si è collocati. Una scala di priorità che il segretario nazionale del PD non perde occasione di richiamare.

sabato 10 novembre 2012

DOPO MONTI: DIETRO L’ANGOLO, IL BUIO?


Le elezioni sono vicine ma le prospettive, anziché chiarirsi, si fanno sempre più confuse.
Dopo il “fine corsa” del Governo Monti, si era detto, dovremo tornare al “normale” funzionamento delle istituzioni. Non più “strane” maggioranze, ma ritorno alla politica, coalizioni in concorrenza per governare il Paese.
Ma c’è grande confusione e un solo punto fermo emerge con chiarezza: che niente sarà più come prima. Il quadro politico che abbiamo conosciuto fino all’anno scorso è morto e sepolto e non si intravede uno scenario alternativo, a poche settimane dall’avvio della campagna elettorale.

Dei tre poli, iL centro sembrava quello con meno dubbi: dopo Monti non c’è che Monti. Invece è ormai abbastanza chiaro che, per quante alchimie possano inventare per la legge elettorale così da rendere incerto il responso delle urne, Monti ha ben poche probabilità di tornare ad essere premier. Anche perché il centro non ha sfondato, né nelle prove elettorali né nei sondaggi, e si è invece ridimensionato e sfarinato. API da una parte, FLI dall’altra, il gran daffare dei cattolici si è impantanato, resta solo una UDC ben lontana dal 10%. Ricordate Casini? “Non  terzo polo ma primo”. In effetti non è più un polo, né primo né terzo, e deve scommettere, più modestamente, sul ruolo classico di ago della bilancia.
D’altra parte, fin qui non è riuscito a far capire al paese su quali idee forza chiamava le altre formazioni a una mediazione. Invocare una “fase costituente” per superare l’emergenza, puntare sul compromesso per il compromesso significa lavorare non per la salvezza del Paese ma per affossarlo. Perché un futuro politico all’insegna dell’instabilità, in equilibrio precario su mediazioni forzate anziché basato su una sana dialettica democratica, è uno dei possibili scenari che per i mercati giustificano un “rischio Paese” e fanno schizzare gli spread.
Se non si è depositari di una proposta autonoma e convincente si deve scegliere da che parte stare. Non farlo ora ma dopo, senza compromettersi in anticipo, sarebbe un’ennesima manifestazione di degenerazione della politica. Ma se i centristi non vorranno portare una simile responsabilità (che gli elettori hanno dimostrato di saper punire) e faranno la loro scelta da prima, come democrazia vorrebbe, il potere di interdizione andrà a farsi benedire.
Dilemma scomodo, che in una ipotesi di grande coalizione non si porrebbe. Ma non si può continuare a accarezzare questa ipotesi per il dopo Monti a dispetto dell’evidenza.

                 

E i due poli maggiori? Quello di centro-destra, che ha governato l’Italia per nove degli ultimi undici anni, è andato in frantumi. Senza Berlusconi, con la Lega per conto suo, il PdL ha perso del tutto la capacità di unificare l’elettorato di riferimento. Se per una parte “Monti sta portando avanti egregiamente il nostro programma”, la stampa militante, dando voce alla pancia di una larga fetta di elettorato, sostiene invece che ha instaurato uno “stato di polizia”, il “regno del terrore” (fiscale), su un diktat degli odiati tedeschi. E Berlusconi appoggia a giorni alterni l’una o l’altra tesi.
In questa situazione il centro-destra vorrebbe disperatamente tornare ai fasti del passato … ma senza Berlusconi come candidato leader. Per attestarsi, insieme alla Lega, su una prospettiva di opposizione? No, quella pancia, sempre affamata, non è più disposta a “traversate del deserto”, ha assaporato il gusto della ricchezza attraverso il potere e non si rassegna a rinunciarvi. Finiranno per scegliere un abbraccio con Casini, una destra moderata, con il cappello PPE?
E’ una prospettiva che spaventa assai la cosiddetta “sinistra di governo”. Quella che non intende lasciare Monti alla destra. Ma è realizzabile? La destra in versione pulita non ha mai avuto la maggioranza in questo paese. Senza divagare troppo con un excursus storico, basta ricordare che anche la DC dei tempi d’oro per mantenersi nei confini della destra liberale pagava un prezzo alla destra eversiva e alla criminalità mafiosa e a aveva bisogno di “aiutini” (leggi “lavoro sporco”) dagli alleati occidentali nella guerra fredda. Poi, caduta la DC, Berlusconi ha sdoganato l’eversione anticostituzionale della destra radicale.
Questo scenario presuppone dunque che la parte “presentabile”, chiuso il capitolo Monti, trovi il modo di pagare i prezzi necessari per ricompattare l’elettorato che ha sorretto per qualche lustro l’avventura berlusconiana. Altro che agenda Monti: corruzione, evasione fiscale, anti-istituzionalismo (mascherato da anti-statalismo).
Non sembra facilmente realizzabile. Si deve anche considerare che questa prospettiva non spaventa solo la sinistra ma il “mondo libero” (sia pure con eccezioni rilevanti: ma intanto Romney ha perso) e soprattutto i mercati. Lo zoccolo duro dello spread oltre i due-tre anni dipende, a detta di tutti gli analisti, dal semplice fatto che questo scenario, tragico per il paese, è ancora considerato possibile, per quanto improbabile. Le parole di Monti, quando ripete che mandando a casa Berlusconi non si è scongiurato solo il rischio default del nostro Paese ma la dissoluzione dell’intera Eurozona, potranno anche apparire una forzatura, ai limiti del terrorismo verbale, ma è facile ritenere che rispecchino fedelmente un timore, se non una convinzione consolidata, delle cancellerie europee, di destra e di sinistra (oltre che di Washington).

Domandiamoci allora: se il primo scenario (“grosse koalition”, grande inciucio) piace al centro ma molto meno a centro-destra e centro-sinistra; se quello dell’accordo destra-centro (ritorno del figliol prodigo Casini) assomiglia molto a un berlusconismo senza Berlusconi che potrebbe far rimpiangere il bunga-bunga e spaventa i mercati, c’è uno scenario realistico che possa vedere la sinistra in un ruolo di governo, determinante?
Su questo versante, nell’anno trascorso con Monti al governo si sono dissolte sia la “foto di Vasto” che l’intesa con Casini. Si è dunque ulteriormente indebolito lo schieramento progressista? “Aiuto, mi si sono ristrette le alleanze”?
Chiariamo: nonostante quello che alcuni fanno finta di credere, quello schieramento non sarebbe stato autosufficiente. Ma neanche quello PD-centro. E la somma delle due non-sufficienze, ammesso che si fossero superate le reciproche incompatibilità, non avrebbe fatto un totale sufficiente. A maggior ragione non lo farebbe ora che è esploso il fenomeno “5 stelle”, che pesca un po’ dappertutto nel vasto scontento, erodendo quindi anche il bacino potenziale del centro-sinistra.
La questione che si pone NON riguarda dunque la scelta delle alleanze, tra apertura al centro e recupero della diaspora a sinistra, ma la capacità di elaborare una proposta convincente e credibile per gli elettori. In primo luogo quelli di sinistra, a partire dal suo bacino tradizionale ma non solo. Tale da attrarre in misura rilevante anche un centro “ago della bilancia” (se parliamo di schieramenti politici) ovvero un elettorato centrista, moderato ma aperto verso le proposte della sinistra.
La condizione perché ciò accada è che la sinistra ABBIA una proposta. E’ tautologico ma non scontato. Poi, che trasmetta la percezione della convinzione di potercela fare: è difficile convincere la maggioranza degli elettori se per primi non si è convinti.
Qui sorgono però i guai. Inutile negare che vi sia stata (e serpeggi ancora) una tentazione, che allontanerebbe ogni sforzo propositivo: arrivare al governo, uscito di scena di Berlusconi, dopo la parentesi Monti, senza grandi sforzi di elaborazione ma, anzi, scendendo il meno possibile nel concreto delle scelte, spesso scomode. Puntando, non alla maggioranza dell’elettorato, ma a una maggioranza parlamentare. Alla Camera, si intende (col Porcellum) per accordarsi col centro al Senato.
Ora, al di là del disgusto che merita il Porcellum, è chiaro che l’accordo durerebbe fintanto che l’alleato decide di farlo durare. Una soluzione costruita ex post, senza un retroterra programmatico, porterebbe l’alleato, per condizionare la sinistra, a caratterizzarsi, anziché sui temi su cui è più facile un accordo, su quelli che darebbero maggiore visibilità, più identitari per una sensibilità moderata, perfino “confessionali”. Film già visto (Prodi 2), senza lieto fine.
Purtroppo, anche le primarie continuano a far parlare di sé più per il confronto tra gli apparati che per la dialettica delle idee e delle proposte. Quando una sinistra con l'ambizione di governare deve invece sforzarsi di presentare agli elettori qualche ipotesi di soluzione, che si misuri con la concretezza dei problemi.


Le idee ci sono. Partecipo a incontri di vario genere, nelle sedi più diverse, ricchi di stimoli e di spunti. Riescono a fare proposta politica?
Gli elettori apprezzano che si voglia riequilibrare il carico fiscale. Chiedono però di capire come si intende manovrare su aliquote e detrazioni; se con una patrimoniale, ordinaria o straordinaria; con quali strumenti contro elusione e evasione.
Apprezzano che si voglia combattere la precarietà, ma chiedono se si pensa di dare spazio ai lavoratori nella gestione delle imprese, di premiare quelle che valorizzano il lavoro, di aiutare a fare impresa giovani, donne, stranieri (che trovano chiuse le porte del mercato del lavoro).
Apprezzano che si intenda tornare a un “pacchetto” di diritti e vincoli nelle relazioni di lavoro, ma chiedono cosa in concreto si pensa sia irrinunciabile perché la libertà di impresa non vada a ledere la dignità dei lavoratori.
Apprezzano il ritorno allo stato di diritto, all’etica pubblica e alla solidarietà, ma chiedono se saranno recisi, combattendoli senza tregua e con efficacia, i legami tra politica e criminalità organizzata, se sarà usato il pugno di ferro contro la corruzione e risanata la burocrazia permeabile o corriva, tagliati gli sprechi.
Apprezzano il richiamo alla sostenibilità, in tema di energia e di ambiente, di economia verde e blu, ma chiedono quali investimenti saranno favoriti e quali vincoli saranno imposti per assicurare la coerenza tra fini perseguiti e mezzi adottati.
Mi fermo per non rischiare di omettere temi importanti. E’ importante però aggiungere in conclusione che, su temi come quelli che ho elencato, nessuno poteva aspettarsi risposte dalla “parentesi Monti”. Ma senza risposte su questi temi, come si potrà davvero salvare l'Italia?

P.S. Devo scusarmi nell’eventualità che qualche lettore particolarmente affezionato ai miei scritti (se mai ce ne siano) mi abbia trovato un po’ ripetitivo. Effettivamente ho ripreso, con minimi adattamenti richiesti dai mesi trascorsi, un pezzo di inizio anno su “Eguaglianza e Libertà” (http://www.eguaglianzaeliberta.it/articolo.asp?id=1477). Purtroppo, lo dico con qualche tristezza, non mi è sembrato di dover cambiare granché.